Il Pd unito che traina e quel segnale che arriva dritto a Frosinone

Le vittorie in Emilia Romagna ed Umbria come monito a non cadere troppo nelle conte correntiste: perché senza esse si vince

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

A volerla mettere cattivella Bologna è sempre stata la “dotta” e ad Assisi ci stava il Poverello per antonomasia. Il che – sempre in iperbole salace – escludeva a priori gente come Rita dalla Chiesa che ha prospettato la “prossima alluvione” per far capire agli emiliani quanto abbiano sbagliato a votare o un tipo kung-fusion come Bandecchi. Ma fuor di ironia tertullianea il dato è un altro, ed è quello per cui le fumate nere non fanno per i dem.

Ovvio che non siano il top di gamma per ogni Partito e, in estensione, per ogni sistema complesso, ma col Nazareno è diverso, diverso e di più. Nato per coniugare le istanze di una sinistra morente nella sua accezione originaria e quelle di una Balena Bianca spiaggiata nella forma ma vivida nel tessuto sociale, la creatura battezzata da Valter Veltroni al Lingotto nel 2007 ha tare croniche sottopelle.

E sono quelle che, a seconda di chi le evidenzi, vengono chiamate “dialettica” se le enunciano gli inside e “ammuina” se le enunciano i foresti. Ed è per questo motivo che forse proprio dal 2 a 0 messo a segno dal Pd in Emilia Romagna ed Umbria arriva un segnale, indiretto ma fortissimo al Pd di Frosinone.

O dialettica o ammuina: Frosinone scelga

Francesco De Angelis

Che ovviamente non ha la coperta lunga dell’intento unico e dell’avversario definito su scala di governo di secondo livello con vastissima eco nazionale. E che quindi, nel momento in cui “dibatte” paga pegno più alla mistica della guerra tra bande che al lessico della dialettica fisiologica e perfino benefica. Per la segretaria provinciale e per approntare le forze in campo da cui dovrà emergere la stessa non si è andati oltre due fumate nere.

Che possono essere viste in due modi: come prova provata di una pluralità costruttiva ma difficile o come prova regina di una frattura che stenta a trovare colla. Frattura tra chi, anche a volerla considerare come il nipponico “Kinsugi” in cui le crepe sono oro? La solita, quella che ormai è loop da subito dopo (subito prima, per chi aveva i radar in spazzata) le Elezioni Europee di giugno, quella tra AeraDem e Rete Democratica. Cioè tra Daniele Leodori e Claudio Mancini, cioè tra Francesco De Angelis e Sara Battisti, cioè tra Mauro Buschini e l’ex pupillo Luca Fantini.

Stavolta la riunione è saltata perché è saltata la possibilità di trovare uno schema unico che fosse totem della sintesi fra le diverse sensibilità interne: Area Dem di De Angelis, Rete Democratica di Battisti, Base Riformista di Antonio Pompeo. Il nodo era la composizione della Commissione congressuale, cioè dell’organismo dal dosaggio delle cui forze dipende in buona parte l’esito finale.

Prima la conta delle truppe, poi il resto

Sara Battisti

In pratica la Commissione è ex ante una sorta di exit-poll certificato di quello che andrà ad accadere. Non se ne è fatto nulla anche se il clima è di quelli che sembrano sottintendere come la “quadra” non sia poi così lontana, ma il dato è un altro. E’ quello per cui più il Pd rifugge come la peste il concetto di “conta” e più ci si trova impelagato dentro. E più si conta al suo interno meno conta quando deve combattere battaglie esterne.

Esterne e cruciali, come in Umbria o in Emilia Romagna, tanto per dire. Dove Elly Schlein si è messa al fianco uno Stefano Bonaccini più sornione e garrulo dello stesso Michele De Pascale e, nel ringraziare gli elettori, ha parlato di una “vittoria che è anche il segno della coesione di una squadra. Di una coalizione ed anche dell’unità del nostro Partito.

È esattamente questo il primo dei segnali che arrivano a Frosinone dalle Regionali. Vediamoli. Un Partito che si fondi sulla conta muscolare è debole perché segnato dalle crepe che rischiano di allargarsi alla prima tensione. Bene allora il braccio di ferro in atto a Frosinone se il traguardo al quale vuole arrivare è un accordo solido e duraturo ma non un atto di forza.

Da Assisi a Veroli e Ferentino

Piergianni Fiorletta

Il secondo segnale è quello che arriva dall’Umbria: a vincere è stata Stefania Proietti, sindaca di Assisi e presidente della Provincia di Perugia. Cioè una candidata civica, senza tessere di Partito  su cui il centrosinistra unito ha puntato per riprendersi l’Umbria. È la risposta alle polemiche di questi giorni sulle coalizioni larghe messe in campo vincendo a Veroli, Ferentino, Sora: si fa un campo ma serve chi guida la coalizione se non hai chi la guida allora sei costretto ad aggregarti.

E gli elettori non vanno in confusione ma oggi capiscono benissimo. Infatti i risultati sono stati al di là di ogni dubbio tanto in Umbria quanto nei 3 Comuni ciociari. Il problema semmai è dopo la vittoria: dimostrando che davvero quel progetto è un campo largo, nel quale il Pd può anche avere un ruolo centrale. Ma l’alleanza deve tenere. Altrimenti sarà solo il Pd a pagarne il prezzo. Proprio per il suo ruolo guida.

Schlein e la vittoria della “coesione”

Stefano Bonaccini ed Elly Schlein (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

E quando ieri sera Elly Schlein ha fatto riferimento all’unità è chiaro che si riferisse al fatto che il Pd era il trattore e che M5s e riformisti sono stati player. Ed è chiaro che la segretaria ce l’aveva con i suoi. Quello shining aureo lo ha fiutato e riconosciuto anche Claudio Cerasa, che sul Foglio ha ammesso un fatto evidente. “Le vittorie ottenute in Umbria, di un soffio, e in Emilia-Romagna, a valanga, sono lì a testimoniare uno stato di salute dell’opposizione, e soprattutto del Pd, migliore del previsto.

E sarà anche vero che “le elezioni regionali valgono quello che valgono, lo sappiamo, e raramente storie molto locali possono offrire segnali utili per indicare un trend chiaramente nazionale. Ma un dato emerge, anzi, letteralmente sopravvive a questo dogma politico ovvio. Ed è il dato per cui oggi i dem possono cassare le recenti sconfitte e soprattutto guardare al futuro con la “boria buona” di chi sa che può darle, oltre che prenderle.

La “boria buona” di chi poi vince

Giuseppe Conte

E per quanto Cerasa spieghi che il segreto della doppietta umbro-emiliana sta tutto nel centrosinistra unito le percentuali dicono altro. Che è solo dove il Pd è unito e non troppo febbricitante delle sue divisioni esantematiche che il centrodestra le busca.

Certo, il campo largo e le sue multiformi declinazioni fanno la loro parte, ma se i dem trainano poi importa molto meno di quante carrozze stiano dietro al locomotore.

Tanto più che mai come oggi è evidente il dato aggiuntivo per cui l’altro gancio della tenaglia, il M5S, ormai è statisticamente relegato al ruolo di sparring ma in versione “tascabile”.

Due modi per fare opposizione

Il che, a fare somma, sta a significare una sola cosa. Che in Italia ci sono due modi di fare opposizione: litigando all’interno del Partito che ne incarna meglio e più la mission, oppure scavalcando davvero il correntismo coatto e mettersi a “picchiare duro” i veri “altri”.

E se dopo il voto in Umbria ed Emilia Romagna non è stato questo un segnale per Frosinone allora vuol dire che non è un problema di emittenza, ma di ricezione.