La mozione parlamentare del Carroccio con cui Salvini spera di acquisire vantaggio su Meloni che volerà in Egitto
Lo scopo è mestare nella brace del sovranismo per attribuire immeritatamente a Donald Trump quello che probabilmente… non spettava neanche a Corina Machado. Perché il Premio Nobel, a pensarci bene, era nato già di suo come faccenda di paradosso. Lo brandizzò l’omonimo scienziato che aveva inventato la dinamite e che non disdegnava di stare nel board delle fabbriche di artiglieria.
Ma per capire meglio la questione bisogna fare un salto in dietro nel tempo non così ampio da raggiungere i tempi di Alfred Nobel. Basteranno sei anni.
Torna “cool” il Venezuela

Siamo all’inizio del 2019 e l’allora Presidente degli Stati Uniti decide di giocarsi la briscola di un tentato golpe nel Venezuela del socialistissimo Nicolas Maduro per rimettere in atto il circuito virtuoso di un Paese che è letteralmente farcito di petrolio.
Nel farlo si affida alla solita Cia e ad un parlamentare “guarimbero” addestrato in una scuola sovranista in Serbia, un po’ come quello che doveva diventare la nostra Trisulti con Steve Bannon: quell’aspirante presidente “buono” si chiamava Juan Guaidò.
Della cosa, dopo sommosse e combattimenti, non se ne fa nulla, e oggi Maduro è più che mai in arcione al socialistese bullo di Caracas. E del Venezuela in questi anni non ha ha parlato-scritto praticamente più nessuno.
Trump e Guaidò

Chi era quel presidente Usa? Donald Trump, lo stesso che oggi si è visto “negare” il Premio Nobel per gli accordi Israele-Hamas nella Striscia di Gaza. Il Nobel è andato a Corina Machado, leader conservatrice dell’opposizione anti chavista di quello stesso Venezuela di cui Trump aveva provato a costruire una leadesrship filo occidentale.
Un’icona, più che una teste attiva, ma ci sta. E veniamo ad oggi, quando poche ore dopo l’annuncio dell’accordo su Gaza il “solito” Matteo Salvini si veste con il suo spavaldo e voluto look trumpiano, con tanto di cravatta rossa, e inizia a squittire di (legittima) gioia per l’accordo stesso.
Poi si auto candida come supporter mondiale massimo del Nobel ad un Presidente che, anche al netto del suo ruolo, proprio non ci sta, nei panni del Nobel per la pace.
La cravatta rossa di Salvini

Ma oggi la Lega ha fatto di più, ed ha deciso di candidare Trump a quel Nobel. Come e quando? In maniera “prospettica” e per il 2026, il che già puzza di spottone inutile, a considerare il format di contesto.
E per farlo il Carroccio ieri ha depositato una mozione alla Camera “sottoscritta da tutti i deputati del partito guidato da Matteo Salvini”. Con questa silloge di argomenti.
Lo scopo è “Sostenere la candidatura del Presidente Donald J. Trump al Premio Nobel per la Pace 2026”.
La mozione alla Camera

Questo “quale riconoscimento del suo ruolo di mediazione e del contributo alla pacificazione in Medio Oriente, condizionando tale sostegno al concreto svolgimento e alla realizzazione del piano di pace per Gaza”.
Ma il clou arriva dopo, quando la mozione, un atto parlamentare che dovrebbe avere la precondizione della serietà attuativa, parla di un Nobel che andrebbe conferito “anche in chiave prospettica, quale incentivo alla prosecuzione di processi di pace, ovvero al consolidamento dei risultati diplomatici già avviati”.
Chi assegna il Nobel per la Pace, il solo su cui ha competenza la Norvegia e non la Svezia? Un Comitato composto da cinque membri che vagliano le varie candidature.
Troppi paradossi

E’ vero che “il ‘piano di pace per Gaza’, promosso dall’amministrazione statunitense guidata dal Presidente Donald J. Trump, rappresenta ad oggi la più concreta e articolata proposta di cessate il fuoco e di stabilizzazione duratura dell’area”.
Tuttavia è anche vero che Donald Trump si è distinto in decine di altre occasioni non proprio per una veste “peace adn love”. E’ vero, Obama era un’icona prog assoluta, il premio lo ebbe ed aveva fatto bombardare la Libia, ma il senso è un altro.
E non è meritocratico, ma rimanda alle perenni pulsioni della Lega salviniana di cedere alle lusinghe di uno sloganismo un tanto al chilo che resta quasi sempre fine a se stesso.
Il vero target: doppiare Giorgia

Oppure finalizzato ad una raccolta di consensi “inside” con la quale Matteo Salvini spera sempre e solo di “doppiare” in muscolarità vuota Giorgia Meloni. “L’effettiva attuazione del piano di pace per Gaza, ovvero il mantenimento di un cessate il fuoco duraturo, sotto garanzie internazionali, costituirebbero un motivo fondato e legittimo per proporre la candidatura del Presidente Donald J. Trump al Premio Nobel per la Pace (…)”.
Argomenti difficilmente contestabili, anche in ottica di parte, ma che danno comunque l’impressione netta di voler significare altro.
Che la Lega non ci sta a fare la sparring di una premier che dopodomani potrebbe volare in Egitto e finire di cointestarsi un risultato nel quale tecnicamente non c’entra niente. E che per fare questo serva una mozione per un Premio Nobel… per la brace.



