
La prima deve volare da Trump e il secondo “la brucia” e chiama JD Vance, mentre da noi Abbruzzese e Ruspandini...
Il primo parla beffardo di “Effetto Ventotene” a pubblica sui suoi social una card con i sondaggi di Agi-Youtrend sul centro destra a trazione Fratelli d’Italia che vola. Il secondo schizza a Napoli per il convegno “Tutta un’altra sicurezza” e preannuncia il Congresso federale della Lega del 5 e 6 aprile a Firenze.
Massimo Ruspandini è deputato di Fdi, meloniano di ferro e presidente frusinate del partito di Via della Scrofa. Mario Abbruzzese è responsabile regionale Organizzazione della Lega.
Cosa fanno Massimo e Mario

Negli Usa ed in metafora sportiva sarebbero i “quarterback” di Ciociaria, quelli che organizzano il gioco in chiave offensiva. Quelli che applicano le strategie e corrono come i matti in uno di quei fantasmagorici Superbowl “meregani” in cui due minuti di pubblicità costano come il Pil del Belgio.
Ma perché, specie in chiave sovranista, scomodare in metafora un gioco a stelle e strisce e non briscolarci il nostro sempiterno calcio? Perché quello in atto è un match tutto proiettato verso Washington, ed è un match che coinvolge i leader maximi dei due Partiti, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Che ormai di eguale hanno solo gli scontrini della bouvette di Palazzo Chigi pasticciati nelle tasche.
Giorgia da Trump e Matteo con Vance

La prima fa di tutto per non scontentare Donald Trump malgrado aspiri ad essere in sincrono gold-player di una Ue che Trump ha gettato alle ortiche? Poco male, il secondo che fa? Chiama al telefono ed in iniziativa solitaria il vicepresidente JD Vance e lo invita a Cortina.
Un colloquio, definito ‘estremamente cordiale e concreto’, sulla cooperazione tra i due Paesi e su una missione negli Usa del vicepresidente del Consiglio ‘con imprese e investitori‘. ‘Il tema è la pace, non il riarmo‘ fa sapere Salvini. L’iniziativa arriva mentre anche la premier Meloni lavora ad un incontro alla Casa Bianca con Trump nei prossimi giorni. Nessun commento da Palazzo Chigi ma dietro le quinte filtra il fastidio della presidente per una mossa non concordata.
La mossa di Salvini viene fatta con un senso tattico che perfino i più accesi detrattori del Capitano gli riconoscono. Cioè quando Meloni si sta approntando ad essere tra i “volenterosi” che andranno a Summit dal gallo-falchetto Emmanuel Macron.
Insomma, pare proprio che non sia solo in atto una guerra sui dazi tra Vecchio e Nuovo Continente a trazione Maga, ma che questa guerra abbia rinfocolato un “conflitto” che ormai cova da tempo all’interno dell’Esecutivo italiano.
E con un nettissimo distinguo che poi è il vero piede di porco con il quale il vicepremier e segretario leghista si sta aprendo porte di visibilità tutta sua.
Le mani legate di Meloni

Giorgia Meloni è forse il premier tricolore più decisionista di sempre e più legata ad una certa immagine “Fast & Furious”. Il che ha sempre mandato in upgrade certe sue sceneggiature. Ma è pur sempre la premier, cioè espressione istituzionale massima di un ruolo ecumenico che dovrebbe imbrigliare la “coratella” partitica.
E proprio perché si contrabbanda da tempo come una “tosta” nella sua veste istituzionale è costretta più a mediare che ad attaccare a testa bassa. E nella vicenda dazi-Trump-Ue ha le mai legate come mai prima d’ora, obbligata com’è ad una ambiguità coatta che la porta a non scontentare nessuno (quindi a scontentare tutti).
Salvini no; lui è sì vicepremier e teoricamente imbrigliato eguale tra leggi di governo e mistica di Partito, ma è decine di volte più free dell’alleata. E’ un battitore libero, a secco di consensi e capace di entrare con le scarpe chiodate in qualsia stia ovaiola. E quando fa le sue sgroppate in solitaria dà veramente grosse manate sulla scacchiera. E lo sa.
I distinguo frusinati

Scendendo di quel piano nella catena di comando troviamo invece un gioco simile per format ma quasi a parti invertite. Mario Abbruzzese è quello che da sempre media e piazza slogan “forti” solo in caso di necessità, mentre Ruspandini è quello più “de core”. Tanto “de core” da far suo in una card social un tema urticante come quello del Manifesto di Ventotene.
Di una cosa cioè che se non ha bruciato del tutto la sua leader in chiave Strasburgo-Bruxelles è solo perché, appunto, Meloni è la leader “ardita” (vedi la Storia, a volte?) e magari può maneggiare il fuoco con un minimo agio in più degli altri. Ma mai per troppo tempo, neanche lei.
E che in attesa di volar a Washington dal “suo” Donald si è vista sorpassare dal suo vice sullo stesso terreno di gioco. Come in un Superbowl, ma non tanto per andare a meta, quanto piuttosto per abbrancare quei due minuti di pubblicità.
Quella che per ogni sovranista che si rispetti , che vede in ogni cittadino un tifoso, è il vero oro, a prescindere da quanto poi si faccia davvero.