“Io, la cicatrice e quei nuovi occhi”: il viaggio di Francesca oltre la paura

Il viaggio a lungo nascosto di Francesca Cerquozzi, vicesindaco di Veroli e anima culturale della città. Il suo cammino contro il cancro al seno come un viaggio interiore. Gli occhi diversi ed una nuova consapevolezza. E l'inno alla prevenzione da non perdere.

Un post. Poche righe. Ma c’è dentro una vita intera. Anzi, due: quella di prima e quella di adesso. Sono le due vite di Francesca Cerquozzi, vicesindaco di Veroli, mamma del festival della Filosofia, madrina di decine degli eventi culturali in città, donna in prima linea nel Partito Democratico. E per passare da una vita all’altra ha dovuto compiere un viaggio, un pellegrinaggio laico, un lungo cammino dentro se stessa. Senza un’agenzia di viaggio dove prenotare, senza il tempo per fare il trolley, nemmeno il tempo per decidere se partire o rinviare: perché il cancro è così, viene e ti cambia la vita in un istante.

Il cancro ed i nuovi occhi

Francesca Cerquozzi

Francesca ha avuto un carcinoma al seno. L’ha scoperto all’improvviso, come spesso succede: un sospetto, una visita di controllo, un responso senza appello. In quel preciso momento il radiologo diventa come il bigliettaio delle Ferrovie: ti consegna il referto e ti dice “Buon viaggio e buona fortuna”, inizia il percorso di cure, il cammino nella consapevolezza che si potrebbe anche non tornare. Un viaggio in bilico, costantemente in sospeso tra la voglia di restare ed il rischio di precipitare e lasciarsi andare: il confine è ad un passo.

Il racconto del viaggio di Francesca per curare il suo carcinoma al seno comincia dalla fine. Lo ha fatto ieri sera rompendo per la prima volta il silenzio, con un post su Facebook.

“Nessuna terapia, sei guarita” le ha detto la dottoressa che l’ha seguita. È la frase che chiude una storia medica ma apre un racconto esistenziale. Non per attirare attenzione ma per generare consapevolezza. Perché da quel viaggio, come lo definisce lei, Francesca è tornata con “nuovi occhi”.

Non chiamatela battaglia

Non è una guerra. Non ci sono vittorie o sconfitte. È un percorso. Quasi un pellegrinaggio – laico – dentro se stessi. Come andare a piedi fino a Santiago o a Canneto o alla Santissima Trinità di Vallepietra. Con la differenza che la meta non è un luogo ma una nuova prospettiva su sé stessi.

Durante quei mesi – tra la diagnosi e l’intervento – ha imparato la differenza tra angoscia e paura. Quella descritta da Kierkegaard, che non è solo un filosofo da festival ma un compagno di riflessioni per chi come lei della filosofia ha fatto una missione culturale e politica.

Forse avevo provato angoscia nella mia vita, prima. Mai paura. E’ stato diverso dopo la diagnosi: c’era una causa, una causa specifica a spaventarmi, a terrorizzarmi. Eppure questa paura si è trasformata in forza. Quella forza che tutte abbiamo dentro e che ti permette di affrontare un cammino di cura. Non è una guerra, non ci sono vincitrici e sconfitte in questo percorso. E’ la malattia come parte integrante della vita e la risposta della vita ad essa si chiama coraggio della cura.

Mimma Panaccione con le pazienti oncologiche in cura con lei, nel calendario fatto per sensibilizzare alla prevenzione

E proprio la paura, da mostro paralizzante, è diventata forza. La forza della cura, che non ha bisogno di eroi, come scriveva la giornalista di Cassino Mimma Panaccione, spigolosa fino alla fine, anche con il cancro al seno che ce l’ha portata via privandoci della sua voce, della sua sua capacità di raccontare, della sua disillusione. Anche lei fece un viaggio: scoprendo persone capaci di affrontare la fragilità con dignità. (Leggi qui: La folle corsa del treno di Mimma).

L’inno alla prevenzione

Siamo una generazione di donne cresciuta con il timore profondo del cancro al seno, ma siamo anche una generazione che può beneficiare dei progressi della scienza. Oggi sappiamo che la prevenzione e quindi la diagnosi precoce possono fare la differenza. Come nel mio caso.

Ottobre sta finendo ma la consapevolezza di quanto siano importanti i regolari controlli deve accompagnarci ogni giorno dell’anno. Non rimandare, non evitare le visite: non ci deve essere ragione per procrastinare o saltare lo screening. Noi veniamo prima, prima di tutto.

Il nuovo laboratorio della Asl di Frosinone

Il suo messaggio è un inno alla prevenzione ma anche un abbraccio aperto a tutte le donne che si sono sentite, anche solo per un momento, spaventate o sole. E un appello: non rimandate i controlli, non pensate mai che “tanto a me non succede”. Perché in gioco c’è la vita e noi veniamo prima. Prima del lavoro, degli impegni, del senso di colpa, del “lo farò domani”.

Niente bandiere

Francesca lungo il suo percorso ha incontrato il tavolo operatorio, il bisturi, la necessità di intervenire chirurgicamente. Tappa fondamentale di quel cammino in sospeso tra esserci e precipitare.

Oggi guardo la mia cicatrice con gioia perché racconta chi sono.

In quella cicatrice é rappresentato un prima e un dopo in un cui io sono sempre me stessa. Uguale e diversa al tempo stesso, sintesi di ciò che sono stata e che sono ora.

Ci sono io con i miei “nuovi occhi”. C’è la dottoressa Roncella. C’è il suo sorriso rassicurante, il suo coraggio, la sua voglia di combattere per aiutare le donne e la sua fiducia nella medicina. C’è il mio impegno. Per la mia comunità.

Il tatuatore David Allen all’opera. (Foto courtesy Fondazione Veronesi)

Francesca non ha scelto la retorica. Non ha alzato bandiere. C’è chi di fronte ad una cicatrice sul suo corpo di giovane donna si sente lesa, violata, recisa: non è un caso che nel Lazio sia stata varata una legge regionale, proprio dal fronte politico di Francesca, per consentire alle donne di sottoporsi a sedute di tatuaggi con cui ridisegnare il proprio corpo e coprire la cicatrice. (Leggi qui: Un tatuaggio per cancellare dall’anima i segni del tumore).

La vicesindaca Cerquozzi invece invita le donne a guardare con gioia quella sutura, perché racconta chi è oggi: uguale e diversa, forte e vulnerabile. Ci sono nel suo racconto le persone che le sono rimaste accanto. «La famiglia, Mauro, la figlia Marzia, le amiche, gli amici. E ci sono anche quelli che hanno deluso» e che lei cita senza rancore, perché il viaggio sull’orlo del precipizio senza la certezza del ritorno cambia anche dentro e ridisegna la scala dei valori nelle cose, ridefinisce ciò che è importante e ciò che è fatuo.

Andata e Ritorno

Francesca Cerquozzi ed il marito Mauro Buschini

Lei è tornata. E nel suo diario di viaggio ci sono soprattutto lei e il suo impegno. Per la sua città, per la comunità, per le donne. Perché da oggi in poi, ogni sua parola avrà un significato in più.

Perché certi viaggi, quando li hai fatti davvero, non ti lasciano solo una cicatrice. Ti regalano la libertà di essere autentica. E Francesca Cerquozzi lo è. Ora più che mai.