La destra che rinnega Mani Pulite e quando Colombo arrivò a Cassino

Dal Circo Massimo ad un "massimo circo", dove le piroette di chi appoggiava l'autonomia delle toghe si sono sprecate

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Nel 2017, quando arrivò al Tribunale di Cassino per un incontro con gli operatori della Legge, Gherardo Colombo non era più la mezza superstar che era stato all’epoca di Tangentopoli. E per due motivi precisi: lui, occhialuto e nerd ante litteram, superstar non lo era mai stato, né ci si era mai sentito. Poi perché nel 2017, ad un quarto di secolo da Mani Pulite, la metamorfosi di quella stagione cardinale della vita pubblica italiana si era già compiuta.

E quei due anni e mezzo erano già passati dal giusto lavacro contro le sozzure della Prima Repubblica ai mesi bui del giustizialismo forcaiolo. Per poi salire sull’onda di un riflusso per cui Tangentopoli su solo e soltanto un’aberrazione. Il solito problema dell’Italia insomma, che non sapendo analizzare i suoi processi storici li polarizza, perciò li vive come ottimi o pessimi ma senza logica. A seconda di chi agli italiani indichi la rotta più “friendly” del momento.

Uno del “Pool” a Piazza Labriola

Nella sala avvocati della sede arcobaleno del Tribunale di Cassino si erano riuniti tutti: magistratura della Città Martire con il capo requirente Luciano D’Emmanuele, studenti universitari, avvocati. E Colombo spiegò alcune cose che andrebbero rilette alla luce di quel che accade oggi nel tormentato rapporto fra politica e toghe. Lui nel Pool di Mani Pulite ci era arrivato un paio di mesi dopo l’evento che diede input a tutto.

Cioè l’arresto di Mario Chiesa del Pio Albergo Trivulzio per una tangente di poco conto che però divenne bouquet per scardinare un intero sistema criminale e criminogeno della vita pubblica.

Lo aggregarono a “Zanzone” Tonino di Pietro, che faceva gli interrogatori, ad Ilda Bocassini che coordinava assieme a Gerardo D’Ambrosio ed Armando Spataro la parte procedurale, a Piercamillo Davigo ed a Francesco Saverio Borrelli, che dirigeva il lavoro.

Due chiavi di lettura

Silvio Berlusconi e l’annuncio della discesa in campo

C’è un doppio claim che andrebbe ricordato per inquadrare il periodo oltre la sua narrazione, o mistica o tetra. Mani Pulite germinò nell’Italia delle stragi di mafia ed in quella che si apprestava a vedere in Silvio Berlusconi (ed in eziologia diretta) il nuovo che avanzava. E che avrebbe soppiantato una lunga stagione di privilegi, mazzette e ruberie di un’Italia che dopo soli 40 anni di democrazia si era imputtanita nei suoi appetiti primordiali.

Flashback, dissolvenza ed arriviamo ai giorni nostri ma dopo un inciso: all’epoca di Mani Pulite la destra italiana stava con i giudici. Ci stava in maniera partigiana, profittatrice ed urlante perché tra quelli del Msi non erano risultati tangentisti, ma anche per una certa concezione dello Stato come sistema da servire, non di cui servirsi.

I missini “giustizialisti”, ed estinti

Carlo Nordio (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Scendiamo dalla macchina del tempo ed atterriamo al Circo Massimo, ad Atreju 2024, che si è chiuso con una Giorgia Meloni in gran spolvero dialettico ma già usurata dall’esercizio del valore pubblicistico del potere con il suo “Fun-zio-ne-ran-no!” in ordine di Cpr albanesi. Mettiamo il pomello indietro di due tacche strette ed arriviamo a Carlo Nordio, ministro della Giustizia ed ex magistrato. Che tra l’altro e tra le altre cose quando era in servizio proprio di tangenti si era occupato.

(Ri)ascoltiamolo mentre parla della sua riforma della Giustizia, del referendum annesso e delle situazioni-totem della necessità di vararla, quella riforma. “Sono il primo a patrocinare la presunzione di innocenza, che secondo me è un baluardo”.

“Quello che posso dire da cittadino è che una procura che per decenni è stata considerata un po’ simbolo della magistratura italiana ha in un certo senso contribuito al crollo, ormai palpabile, della credibilità della magistratura.

Nordio vs Davigo: forzando la mano

Gherardo Colombo ed Antonio Di Pietro (Foto Carlo Carino / Imagoeconomica)

La Procura è quella di Milano, quella di “Zanzone” Di Pietro e di Colombo. E soprattutto di Piercamillo Davigo, che ha subito una condanna a sua volta dalla Corte di Appello di Brescia per rivelazione di atti d’ufficio. “Abbiamo avuto un protagonista di Mani pulite, condannato in via definitiva. Davigo è ormai, tecnicamente parlando secondo le sue stesse parole usate nei confronti a suo tempi di Craxi, un pregiudicato. E parliamo di una delle colonne della procura più importante di Italia dopo quella di Roma”.

Come se rivelare atti segreti ad un collega fosse equiparabile ad essersi mangiati mezza Italia prima di darsi latitanti in un paese nordafricano al cui presidente golpista si sono fatti favori. Capito il senso? Soprattutto, capito perché se c’è una cosa che in Italia non morirà mai quella è la polarizzazione funzionale. Cioè quella per cui si fanno “mappazzoni” generalisti in cui si va per categorie e non per analisi?

Mai un’analisi serena, in Italia

Come di Mani Pulite non riuscimmo mai a discernere i difetti, le aberrazioni (oggettive) ed al contempo la assoluta valenza etica e procedurale per più parte, così oggi pieghiamo quel periodo al contingente. Un contingente nel quale la clessidra della storia si è capovolta e la destra non è più solidale con la magistratura. Perché è destra di governo e soprattutto perché non è destra post fascista (la più grande balla degli ultimi 25 anni) ma destra post berlusconiana.

Cioè erede di una lunga stagione di conflitti di interessi che ha prodotto la demonizzazione di un potere indipendente – e cardinale – dello Stato.

Meno male che Silvio c’era…

Giuseppe Santalucia (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Nordio ha spiegato che “abbiamo visto altri casi e non è una bella immagine che viene data della magistratura”. Né “è una bella l’immagine voler difendere a tutti costi posizioni che, al di là delle condanne penali definitive, sono pregiudizievoli. E che lo sono “per la percezione che il cittadino ha della credibilità della magistratura”.

Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, che ha preannunciato una mobilitazione, ha sintetizzato l’uscita di Nordio. “Non so cosa c’entri la condanna di Davigo per un fatto commesso 30 anni dopo, con Mani Pulite. Che è stata una stagione, con errori, ma è stato un fenomeno di una grandissima corruzione politico-amministrativa. E penso che questo sia consegnato alla storia al di là degli errori dei singoli”.

Santalucia e “che c’azzecca?”

Già, degli errori dei singoli e degli orrori dei posteri. Che non riescono ancora a capire la differenza tra un’aberrazione e la giustezza della rotta generale. E che non intuiscono la differenza tra una condanna di oggi ed una splendida cavalcata in sella alla Legge di ieri.

Come direbbe Tonino Di Pietro, lo “Zanzone” che mise in moto tutto cimiciando Luca Magni e segnando le banconote della mazzetta: “Che c’azzecca?”.