Nella Sala della Ragione la presentazione del libro sul Cav con un Francesco Giro in gran spolvero ed una pattuglia azzurra non nutritissima
Il colpo d’occhio, all’inizio almeno, era sembrato un po’ deludente, in effetti. Fino alle 18 (l’ora ufficiale dell’inizio della manifestazione), nella Sala della Ragione c’erano non più di una quindicina di persone. Poi, per fortuna, qualcosa si è mosso. Ma, in ogni caso, non si è mai superata la quarantina (abbondante, diciamo) di spettatori. Se togliamo quelli che ci dovevano essere per forza, sia quelli arrivati da fuori che quelli di Anagni il bilancio non è troppo confortante.
C’erano Ombretta Ceccarelli, Giuseppe Patrizi, Gianluca Quadrini, lo stato maggiore attuale e passato di Forza Italia (rivisto per l’occasione anche il desaparecido generale Guglielmo Rosatella). Ma quante sono in effetti le truppe di Forza Italia nella città dei papi?
Pochine, sembra, per un Partito che ha appena irrobustito, e di molto, la componente consiliare per contare di più.
L’opera di Francesco Giro
Ma, al di là di queste divagazioni, l’occasione di venerdì sera è stata davvero interessante. In sala, infatti, si è presentato “Silvio Berlusconi e la città ideale”. Un testo breve e denso, scritto da Francesco Giro, per anni referente strettissimo del Cavaliere. Che ha voluto, come ha detto, fornire un suo personale contributo alla memoria del fondatore di Forza Italia, cominciando a lavorare al libro ad un anno di distanza dalla morte di Berlusconi.
Un libro di poco più di 100 pagine che ha il merito indubbio di osare una prospettiva diversa nel racconto di Berlusconi Non l’uomo di spettacolo, non il fondatore della Tv privata, non il politico che scende in campo per salvare l’Italia dai comunisti, non l’uomo di sport che rilancia un MIlan alla canna del gas, non il perseguitato (ipse dixit) dalle toghe rosse.
No, Giro ha scelto di indagare il rapporto di Berlusconi con la cultura classica. Per il senatore, il Presidente è stato il vero erede della cultura umanistica, fondata sull’assoluta prevalenza dell’uomo.
Il classicismo del Cav
I suoi fari sono stati i grandi utopisti: Tommaso Campanella, Erasmo da Rotterdam, Tommaso Moro. Di cui il Presidente ha ereditato la vocazione a portare avanti con coraggio le scelte più coraggiose, folli appunto. Giro ha tenuto a ribadire quanto il suo libro sia diverso da chi (più facilmente, è sembrato di capire) ha scelto, per raccontare la storia dello statista azzurro, la strada dell’analisi di costume. Che ha fatto di Berlusconi la quintessenza delle debolezze umane e dell’uso della politica per interessi privati ( tipo il Ceccarelli di “B. una vita troppo” per intenderci).
O quella giudiziaria di chi ne ha raccontato le traversie contro i giudici. Berlusconi, questa la tesi, è stato anche cose, diciamo, discutibili. Ma è stato capace, ad esempio, di mettere assieme le ragazze del Drive In e l’attenzione al mondo cattolico. Che, dopo il 1992, rischiava seriamente di diventare l’ancella della cultura progressista, se nel 1994 avesse vinto la giacca marrone di Achille Occhetto.
E invece no; l’uomo dell’ “ostinato rigore”, lo statista di centrodestra che citava Marx, è stato capace di riportare all’unità politica il mondo cattolico come, a suo tempo, aveva fatto solo De Gasperi. Un conoscitore di Croce e Gentile, idealista nel profondo.
Prosa “alta” e torrenziale
Un uomo che “ha commesso errori” indubbiamente; ma, nel complesso, una personalità tracimante, ottocentesca. Che si può criticare ( e si critica infatti) ma non trascurare. Il tutto detto (da Giro) con una prosa torrenziale, che in alcuni momento ha messo in seria difficoltà parte dell’uditorio. Uditorio costretto a fare riferimento a vecchie letture e ricordi vaghi della scuola per provare a padroneggiare le tematiche proposte.
Ed infatti nell’analisi post presentazione, la maggior parte degli interventi ( La Ceccarelli, Patrizi, Quadrini) ha puntato sul lascito politico. O, per rimanere all’oggi, sulla sempreverde critica alla magistratura rossa. Che allora criticava Silvio come oggi attacca Matteo.
Una chiusura che ha oggettivamente abbassato il livello di una presentazione, dal punto di vista culturale, interessante.