
Una premier che non spiega e che punta il dito contro le opposizioni violente e che concimano il terrorismo. Ma un'autocritica sul magrissimo bottino ai ballottaggi proprio no?
“Andiamo avanti con determinazione: è agli italiani che dobbiamo rispondere”. Qui un bel punto esclamativo ci sarebbe stato un amore, ma Massimo Ruspandini è tipo da averlo omesso apposta, in modo da dare un tono di maggiore ed olimpica fermezza nell’asseverare quel concetto. Concetto che sta fra inappuntabile e generico, a dire il vero, perché il deputato ceccanese di Fratelli d’Italia lascia sottintendere quel claim ormai decotto.
Quello che parte epico ma finisce frignone, per cui sembra sempre che il Partito di Giorgia Meloni sia il Guerriero Orso Bersekir che avanza fiero malgrado i tranelli di popoli nani, sabotatori ed infidi. “Per favore sinistri, non accettiamo la morale da chi ha distrutto la sanità!”.
Ruspandini: “Avanti con determinazione”

Daniele Maura invece qui al suo punto esclamativo non ci ha rinunciato, né a quello né alla sardonica e forzata metonimia per cui chi è di sinistra è “sinistro” nel senso più negativo e gotico di sempre. In realtà è tutto molto più facile e per dare un’idea credibile della linea di Giorgia Meloni delle ultime ore basterebbe l’intramontabile Mina de “Non gioco più, me ne vado”.
Perché dopo le vittorie del centro sinistra e del Pd in particolare ai ballottaggi in molti capoluoghi questo sta succedendo. Che il partito, gli uomini e le donne e la leader-premier stanno facendo come quei ragazzini la cui squadra le ha buscate nel campetto parrocchiale. E che invece di modificare lo schema si avvalgono della proprietà del pallone e se lo riportano a casa a metà partita. Ecco, punto e gnanagnà.

Il tutto fonda su alcuni elementi che vale la pena di enunciare e provare ad analizzare. Il primo è quello rappresentato dal video diffuso sui social da Meloni a valle del magrissimo bottino elettorale nei Comuni. Un video in cui alle spalle della premier campeggia un Tricolore largo come le Fiandre. Ed in perfetto mood alla Tonino Di Pietro dei tempi d’oro, quando il Pm poi politico molisano metteva un “che ciazzecca?” ogni due per tre. Non una parola sull’analisi del voto che è pur tema caldissimo e giù di spiegone solenne sulle riforme.
Su quelle e soprattutto sulla solita solfa piagnona delle sinistre che invocano Piazzale Loreto o che usano toni da guerra civile. L’impressione è che Meloni abbia capito benissimo che parlare di cerotti prima ancora che siano volati schiaffi ed a prescindere dal fatto che siano volati sia il solo modo per tenersi fedele e compatto un popolo di sodali indignati, più che di elettori in purezza.
Piazzale Loreto per distrarre

La Meloni parla di premierato forte ed autonomia differenziata e poi fa come si fa col pollo: lardella. “Pensate che alla Camera dei deputati una parlamentare dei 5 stelle ha evocato per noi Piazzale Loreto. In pratica io dovrei essere massacrata e appesa a testa in giù”. E poi: “Dalle opposizioni toni irresponsabili da guerra civile”. E qualcosa, magari pure un cenno critico su Bari, Firenze e Perugia? Maddechè…
Eppure il problema di Fdi con i territori c’è e resta tutto, ed è problema sistemico. Man mano che ci si allontana dal vertice e ci si allarga verso i luoghi della base luce e carisma del vertice decrescono, come il cavallo due della biga alata di Platone, quello terragno. Lo è nel senso che se non c’è Giorgia a guidare la cordata, come successo alle Europee, il partito di Giorgia accusa colpo. A cosa? Ad una classe dirigente approssimativa come poche (ci sono lodevolissime quote e nicchie di eccezione ma appunto quelle sono: eccezioni). Ad un radicamento territoriale che ha prodotto solo presunzioni di carisma infuso dalla capa ma non di affidabilità autonoma e quadrata.
Arianna che tira molto poco

E ad una certa difficoltà di Arianna Meloni, la Sorella d’Italia, di surrogare degnamente la consanguinea in quanto a potere di traino. Vedere Civitavecchia, dove la presenza di Meloni Due e la sua arringa finale non hanno trascinato la Meloni uno a staccare lo scalpo amministrativo. E Dove Massimiliano Grasso nulla ha potuto contro Marco Piendibene ed il suo schiacciante 54,48%.
Per non contare, in solo ambito laziale o frusinate, Palestrina, Tarquinia, Cassino, Veroli, Monterotondo e Casalvieri. Il guaio vero è che gli esponenti territoriali di Fratelli d’Italia sono mediamente ottimi come cassa di risonanza dei vaticini della generalessa, Tuttavia paiono mediamente scarsi (sempre con le dovute e sacrosante eccezioni) nell’applicazione dello strumento consensuale locale in purezza.
Strumento che prevede la capacità di dare maniglie fiduciarie e nuovi personaggi non proprio ortodossi con il partito e giocare sulla loro capacità di aggregare numeri. Insomma, Fdi non si fida di nessuno se non di Fdi, anzi, di un Fdi certificato secondo un disciplinare che ne decreta purezza e vulnerabilità al contempo. Solo che tutto questo Meloni, magari con un lessico di garbo ma quanto meno centrato sul focus, non lo dice.

Lascia che lo dica uno come Fabio Rampelli magari, che in quanto Gabbiano la sua piccola libbra di carne se la deve pur prendere. “Va sicuramente fatta una riflessione su come incidere nei grandi centri, visto che governiamo il paese e le zone fuori dalle città, diciamo per semplicità le province”.
Di Michetti, Truzzu ed altre testardaggini
I casi romano e sardo di Michetti e Truzzu non hanno insegnato nulla a Via della Scrofa, se non che a costo di buscarle non si va oltre i pedigree testardi ma poco funzionali. Tanto poi alla fine ti sbuca Meloni sui social e a suon di vittimismo ti sposta la lente del microscopio su altri vetrini. E siccome, piaccia o meno, oggi nel destra centro quello che accade è solo quello che Meloni enuncia, avviene la magia, il trucchetto alla Silvan.

Scompaiono i dati e dal cilindro appare il coniglio de “noi andiamo avanti malgrado questi ci vogliano appendere”. Al punto da suscitare un’impressione netta: che il fascismo per Meloni & co. sia fondamentale non tanto (anzi, non certo) come ceppo storico primevo, ma come sfondo teatrale su cui ottimizzare il copione di schiene forti che avanzano malgrado le frustate di tutti.
Le pezze di Donzelli e la Russa
Una cosa mezza evangelica che acchiappa l’elettore e lo galvanizza al punto tale che egli stesso non vede nulla se non questo Martirio Ingiusto.

E con Giovanni Donzelli che grida alla vittoria crepando perfino l’aritmetica ed Ignazio La Russa che dà la colpa allo strumento dei ballottaggi (in modalità “per dispetto di mia moglie me lo taglio”) accade il più italiano dei miracoli.
Quello per cui se incocci addosso ad un palo è colpa del palo o della macchina, non di te che poco prima eri al banco del bar a chiedere il quarto spritz e non hai voluto che guidasse l’amico astemio.