La guerra santa nella quale Anagni rischia di arrotolarsi ancora una volta. Il progetto Blossom Avenue. Dove non ci sono una ragione ed un torto tra chi lo vuole e chi è scettico. Al momento ci sono due ragioni. Che hanno la necessità di convivere. Se si vuole tornare a far crescere la città
Sarebbe troppo facile (ed in fondo riduttivo) derubricare le polemiche inerenti al recente Consiglio comunale di Anagni come scontri ideologici tra maggioranza ed opposizione (che comunque ci sono). Oppure come carenze di comunicazione (che comunque sono presenti anch’esse; un buon social media manager non farebbe male). O ancora ridurli a tentativi di rivalsa politica: il sindaco Natalia dopo la controversa discussione sul biodigestore (che fino ad un certo punto ha cavalcato mentre da un certo punto in poi ha ostacolato, dando infine l’impressione di averlo subito) cerca evidentemente di legare il suo nome ad una nuova grande opera ma, questa volta, balzandoci in sella dall’inizio alla fine.
Meglio, dunque, provare ad approfondire.
L’approfondimento necessario
Approfondire. Partendo, ovviamente, dalle discussioni scatenate dalle dichiarazioni fatte in Aula dal Consigliere comunale di Cuori Anagnini Luigi Pietrucci nell’assise dedicata al polo logistico di San Bartolomeo. È l’ormai famosa struttura da 400.000 metri quadrati da realizzare, secondo il progetto del gruppo Blossom Avenue and Partners, investendo circa 60 milioni di euro nella zona di San Bartolomeo, al confine tra Anagni e Colleferro. Con una previsione occupazionale di circa 800 -1000 nuovi posti di lavoro.
Pietrucci, replicando alle preoccupazioni della minoranza (ed anche di parte del pubblico presente) legate al possibile impatto del progetto sull’ambiente circostante, aveva detto sostanzialmente che a protestare contro il progetto erano, in particolare, quelli che possono permettersi di fare le battaglie sull’ambiente. Perché, in quanto dipendenti statali o pensionati, hanno il posto fisso ed il reddito garantito. E non hanno perciò la preoccupazione del lavoro da creare in città. Un fiammifero lanciato in una polveriera.
Ed infatti le parole pronunciate da Pietrucci avevano fatto molto rumore. Tanto che lo stesso Consigliere, qualche giorno dopo, era stato costretto a tornare sulle sue parole. Per dire cosa? Che non aveva mai pensato “di offendere alcun cittadino, specialmente i pensionati“. Ma di aver voluto solo porre delle domande.
Le domande del Consigliere
Quali domande. “Perché alcune persone che oggi osteggiano la costruzione di un polo logistico in una ex cava di pozzolana, nulla hanno detto sulla costruzione del polo logistico Amazon che sorge a pochi metri dal parco naturale della Selva? Anzi ancora oggi sono sostenitori di quelle amministrazioni che hanno votato a favore di quel polo Amazon“.
Oppure, “perché, se questo insediamento logistico va a compromettere il futuro del comparto agricolo anagnino, tra le associazioni che, legittimamente,si oppongono non ci sono associazioni di categoria tipo Confagricoltura o Coldiretti?“.
Le Associazioni che protestano ogni volta che ad Anagni arriva qualche progetto di sviluppo “sono composte, per lo più da ex bancari in pensione e pensionati del pubblico impiego“. Questo però non significa che “i pensionati o chi ha un lavoro non possono protestare“; ma solo che hanno “un punto di vista differente rispetto a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato“. Soprattutto perché con la crisi occupazionale che c’è “dire di no a priori a 800 posti di lavoro non aiuta questa città e questo territorio“.
Il punto sensibile
Pietrucci fa polemica? Sicuro. E certamente rischia di appiccare incendi anche dove non vorrebbe. Come nel caso della stoccata sul polo logistico Amazon al confine con Anagni. Messa così sembra un attacco contro gli amministratori di Colleferro e simili: in realtà (senza voler fare l’esegesi) l’attacco era a chi criticava il progetto presentato ad Anagni ma è rimasto in silenzio di fronte ad un progetto analogo fatto a due passi però sostenuto da un’amministrazione di colore diverso.
Ma è comunque necessario approfondire. Perché il Consigliere di maggioranza ( a modo suo, in maniera evidentemente ruvida, con un’innegabile tendenza alla polemica verbale) tocca un punto sensibile. Cioè quello di chi ogni santo giorno lotta con l’incubo della precarietà e della povertà. Ad Anagni negli ultimi anni sono stati persi migliaia di posti di lavoro. Per ognuno di essi c’è qualcuno che guarda con paura al futuro. Per queste persone è importante la prospettiva di creare nuovo lavoro con cui portare a casa pranzo e cena. Per sé e per la propria famiglia. E non puoi dire loro che la salvaguardia dell’ambiente porterà vantaggi domani. Perché non si capisce quali benefici porterà il domani mentre sono chiarissimi quelli che porterebbe il progetto di oggi.
E non depone bene quanto accaduto con il progetto del biodigestore. Quando il sindaco ingranò la retromarcia e disse “bene, allora blocchiamo il progetto”. Nemmeno aveva finito di parlare che proprio una parte di chi protestava allora piazzò il suo progetto di biodigestore. Dando l’idea che il problema non fosse il biodigestore; ma che lo facesse qualcun altro.
Due facce della stessa medaglia
Allora hanno torto gli ambientalisti? No. Perché pongono questioni importanti. Rappresentano lo sguardo di chi ha visto e sentito cosa significa anteporre lo sviluppo alla salute. Anagni, come buona parte della Ciociaria, ha subito lo stupro di un’industrializzazione selvaggia negli Anni 70. Dove l’Ambiente era tema sconosciuto prima, sottovalutato dopo. C’è voluta la catastrofe di una generazione per comprenderlo. Legittimamente gli anagnini non vogliono continuare a fare l’elenco dei morti di una terra che ne ha già avuti troppi. Ed hanno tutte le ragioni di continuare a tenere alta la soglia di attenzione.
Il problema nasce quando si attacca a testa bassa senza guardare. A prescindere. Cosa contiene il progetto Blossom Avenue & Partners? Ciminiere? Non se ne prevedono. Produzioni pericolose? Nessuna. Produzioni non pericolose? Nemmeno. Allora cosa vuole fare? Un polo logistico: con milioni di scatoloni in arrivo dalle fabbriche ed altri milioni che partono verso i clienti finali.
Il problema è che ancora una volta, come nel caso del biodigestore, le cose non sono state messe in piazza. Spiegando con chiarezza cosa si intende fare. E se non si farà ad Anagni il progetto si farà pochi chilometri più in là, fuori da Anagni.
La soluzione possibile
In questa fase ci sono due ragioni. Non una ragione ed un torto. Le ragioni di chi vuole vedere tornare i posti di lavoro ad Anagni. E le ragioni di chi vuole che questa occupazioni non sia un nuovo stupro per il territorio.
Queste due parti vivono nello stesso territorio. E continueranno a farlo. La soluzione dell’impasse, quindi, non è né nella fideistica accettazione del progresso, senza guardare a ciò che accade ad aria acqua e terra circostante, né nel ritorno al sogno bucolico di campi e terreni coltivati di virgiliana memoria. Come sempre, bisogna studiare, approfondire. Cercare una strada comune.
Per farlo, però, bisogna fare una cosa mai fatta. È necessario che le parti parlino fra loro. Rinunciando a lanciarsi anatemi contrapposti. Evitando guerre di religione. E confrontandosi su cosa si deve fare per mettere assieme, finalmente, sviluppo e rispetto dell’ambiente. Ma sul serio. Con proposte concrete, condivise ed esaustive. Cosa mai fatta finora.
Negli ultimi anni è stata una prassi costante; ogni volta che c’è stata qualche proposta, il dibattito relativo non si è mai incentrato nel merito, ma è sempre stato caratterizzato da un inasprimento dei toni. Che, fatalmente, ha ricoperto ogni possibile contributo costruttivo.
Un atteggiamento che, bene ripeterlo, va cambiato. Altrimenti lo sviluppo ed il progresso di pasoliniana memoria resteranno sempre due cose separate. E gli alfieri del no a tutto ( da una parte) e quelli delle magnifiche sorti e progressive ( dall’altra) continueranno a farsi la guerra. Chiusi ognuno nella propria visione. In mezzo, un territorio che aspetta.