
Il cardinale "scomodo" che non le manda a dire ed i vescovi che su premierato ed autonomia diventano spina nel fianco di FdI e Carroccio
Quando giusto un anno fa Papa Francesco lo incaricò di una missione in Ucraina che istituzionalmente sembrava cucita addosso al Segretario di Stato Parolin fu tutto abbastanza chiaro. Il vestito era quello ma a Bergoglio serviva un uomo che incarnasse all’ennesima potenza la volontà di pace del Vaticano, perciò a Kiev ci andò Matteo Zuppi. L’arcivescovo di Bologna elevato al rango di Presidente della Cei non era solo più “skillato” sul tema, ma anche e soprattutto era la faccia dei vescovi. Quindi rappresentava il totem perfetto per mettere in campo le forze “parlamentari” della Santa Sede ed incarnare l’univocità di una linea che all’epoca stava ancora molto stretta ai governi europei, in primis quello di Roma.
Ecco, già allora si capì un’altra cosa ancora: che quella berretta rossa di origini verolane era il discrimine vivente tra la Chiesa accorata sulla guerra e quella impegnata contro la guerra. E che quel cardinale amante delle uscite “laiche” e prog non avrebbe fatto sconti alla Roma d’Oltretevere accasata a Palazzo Chigi.
Premierato ed autonomia: i nodi al pettine

Accade perciò che proprio in questi giorni su premierato ed autonomia differenziata, cardini della linea politica in cui vanno a crasi ed incastro Giorgia Meloni e Matteo Salvini, la Cei abbia storto il naso. E forte, al punto da innescare tutta una serie di letture che sono arrivate perfino a scomodare il Concordato. Cose che accadono quando in Italia il ruolo di guida etica che tutti riconoscono alla Chiesa diventa ruolo scomodo perché eccentrico al sentire delle maggioranze politiche di turno.
A quel punto al sistema complesso di governo sale il fariseismo laico e ad uno come Matteo Zuppi si contano i cosiddetti peli. Eppure, a volerli cogliere, i segnali per cui Zuppi era “prete scomodo” per l’ortodossia del pensiero politico già dominante c’erano già. Ad ottobrre 2021 il cardinale giunse a Veroli per ricevere dalle mani di Simone Cretaro la cittadinanza onoraria.
E disse: “Veroli ha una patrona che viene da fuori ed è diventata nostra, è lei che ci aiuta a guardare verso il mondo. Mettiamo sull’altare colui che dona tutto se stesso e lasciamoci rinnovare da lui. (…) Oggi crediamo di poter fare tutto grazie a internet. Possiamo far credere di essere qualunque cosa ma poi, a furia di ricordare il nickname, perdiamo il name. Vorrei che ritrovassimo tutti l’orgoglio e la forza della cittadinanza. Ognuno di noi può donare cittadinanza all’altro, non lasciandolo solo, accogliendolo con amore, dolcezza“.
Accoglienza ed amore: roba ingombrante

In quelle parole c’era già il germe di una ispirazione ecumenista che, ad esempio sul tema dei migranti, sarebbe diventata un pungolo per la linea di Giorgia Meloni, che all’epoca su quel tema approntava piani con cannoniere a scrutare mastine i confini marittimi dell’Italia. E un anno esatto fa arrivò una bordata, non da una cannoniera e non di piombo, ma di lessico prog che fu peggio delle palle incatenate di Morgan contro Veracruz. “Aiutarli a casa loro? Tanto vengono lo stesso, bisogna aiutarli a partire e aiutarli a restare, questo è all’altezza di una tradizione anche cristiana che dobbiamo conservare”.
Meloni era premier da quasi un anno e direttamente chiamata in causa in quanto tale. Partì uno strappo sottile che oggi si è slabbrato ancor più. Questo perché lì dove prima la Cei aveva una posizione “passiva” rispetto alle esternazioni del suo uomo di Presidenza oggi invece, specie sull’autonomia cara al Carroccio, la Cei emette note ufficiali. E sono note che non stanno sullo partito di Salvini. La nuova loquacità della Cei ha fatto prendere d’aceto la premier e il terreno di scontro sé fatto insidioso. Perché?
Innanzitutto perché esso si foraggia di temi che sono la quintessenza della laicità “made in Porta Pia”. Cioè, secondo Il Foglio, “difesa della Costituzione e dell’unità nazionale e rimbrotti alle reazioni della premier per quelli che vengono definiti ‘incomprensibili attacchi’ all’episcopato”. Dal canto suo il mainstream di destra ha tirato fuori due briscole secche: lo spettro di quando la “dottrina Ruini” terremotava i capisaldi del Concordato ed una faccenda di basso appetito contabile.
Tutta una questione di Otto per Mille

Quale? Quella per cui la Cei avrebbe rivolto il vivo di volata delle bocche da fuoco contro l’Esecutivo a seguito di una decisione. Quella “di aggiungere una voce all’otto per mille (il recupero dalle tossicodipendenze) che finirà per ridurre gli introiti alla Chiesa cattolica, per altro in calo già da un ventennio”.
Di questa difficile situazione Zuppi non è però solo sommatoria aritmetica e figura totem, il suo è un filone più a sé stante e sottile. E’ quello di un presule di rango altissimo che, mettendo a frutto anche quelle tigna ciociara che gli colora il sangue più della berretta, vuole spiegare per maieutica sottile ad un certo ramo della politica italiana cose che evidenziano paradossi.
Come quello per cui l’ingerenza della Chiesa nell’allora caso sul fine vita di Eluana Englaro venne salutata dalla destra come “benedetta”, mentre oggi che si palesa ancora ma su temi che urticano la destra diventa materia tale da scomodare il Concordato.
Insomma, il problema non è la Chiesa in sé, che se è ancella del pensiero dominante viene tutto sommato utile, ma i suoi rappresentanti “eccentrici”. Che se hanno peso politico, intellettuale ed etico e lo poggiano sul piatto della dialettica tra le due Rome diventano avversari interni più che mestatori di coscienze.
Due Rome a confronto: e Veroli “in mezzo”

Come Matteo Zuppi, che incarna una Roma che oggi a quell’altra Roma piace molto poco. E che ha origini in una città ciociara che di Roma porta i colori e l’acronimo-format SPQV. Quella Veroli che oggi indirettamente e per costrutto analitico rimanda più allo Spirito di Ventotene che allo Spirito Santo (absit iniuria verbis – nda).
E che forse ha dato a Zuppi i geni inquieti di una ortodossia che sa anche derogare da sé stessa. Al punto da far incazzare perfino Giorgia e Matteo.