La “sfiga” del Comune di Latina che vuole fare impresa: dalle terme ad ABC

Il Comune di Latina ha una storia di fallimenti imprenditoriali, iniziando con le Terme nel 1996 e continuando con il progetto dell'ex Zuccherificio e la gestione dei rifiuti. L'amministrazione comunale ha cercato senza successo di rilanciare l'economia locale. Ma sono mancati i fondamentali

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Latina ha una “sfiga” nel farsi impresa. Ogni volta che il Comune vuole farsi imprenditore arriva un rovinoso fallimento. Si inizia con le Terme. Latina doveva essere una Fiuggi al mare, come Montecatini: aveva acque salsobromoiodiche (vado a memoria) ma il risultato è che a Latina non si accorgevano che le terme erano declinanti, marginali. Un sogno che divenne incubo

La lunga ombra delle Terme di Fogliano

Il tramonto a Fogliano (Foto © Andrea Apruzzese)

Tutto comincia l’8 agosto 1996, quando il Comune di Latina firma un accordo con la società Condotte. L’intesa prevede la realizzazione di due pozzi per la ricerca e captazione di acque termo-minerali, con l’impegno di verificarne qualità e quantità. Il costo massimo dell’operazione viene fissato in 5 miliardi di lire (pari a circa 2,58 milioni di euro).

Nel novembre 1997 partono i lavori di captazione delle falde, conclusi ufficialmente il 22 giugno 2009. L’acqua estratta viene successivamente analizzata e giudicata idonea all’uso terapeutico da parte delle Università di Roma e Napoli. Parte così l’iter per il riconoscimento ufficiale delle proprietà curative da parte del Consiglio Superiore della Sanità. Ma servono ulteriori documenti tecnici, che spetterebbero per contratto alla società Condotte.

Il Comune sollecita più volte l’adempimento, con una raccomandata ufficiale anche nel maggio 2000. Ma Condotte non risponde. E il 22 ottobre 2003 presenta al Comune un decreto ingiuntivo: pretende il pagamento di 4,57 milioni di euro per i lavori eseguiti sui pozzi. Il lungo stallo si trascina fino al 20 dicembre 2017, quando viene dichiarato il fallimento della società.

L’amara storia dell’ex Zuccherificio

Lo Zuccherificio nel 1940 (Foto: Archivio Fotografico Digitale della Libera Università della Terra e dei Popoli)

Poi si occupò il Comune di logistica, voleva fare un grande centro intermodale a Latina scalo nel sito dell’ ex Zuccherificio. È l’area nella quale nel 1935 il fascismo decise di creare nell’Agro Pontino una coltivazione di barbabietole per trasformarle in zucchero. Per realizzare lo stabilimento dello zuccherificio venne scelta un’area di 25 ettari su quella che oggi è Via delle Industrie. Lavorarono ai cantieri diverse centinaia di operai. Lungo tutto il  corpo di fabbrica principale fu scritto: “Costruito in dieci mesi durante l’assedio economico”. La fabbrica fu dotata di tecnologia all’avanguardia di fabbricazione tedesca.

Nel 1997 l’amministrazione comunale di destra guidata dal sindaco Ajmone Finestra decide di rilevarla. Con due buone intenzioni: risanarla per farne un centro intermodale specializzato nella logistica, togliere dal degrado una zona che richiamava degrado e delinquenza. Cosa fece pensare all’amministrazione Finestra che quello fosse un buon affare? La stessa illusione che in quel periodo colpì altri Comuni italiani: la presenza di grossi finanziamenti Europei e della regione Lazio. 

Il sindaco Ajmone Finestra

C’era un paradosso. Negli anni in cui l’amministrazione Finestra rilevava l’ex Zuccherificio e si faceva imprenditore, lo Stato chiudeva il suo primo ciclo di privatizzazioni dismettendo le partecipate e smettendo di fare l’imprenditore. Ma la cosa non fece scattare alcun allarme a Latina. Anzi: dal Comune costituirono la società in house Logistica Merci Spa della quale deteneva il 95%. La sua mission era acquisire l’area, bonificarla, trasformarla in un centro intermodale dove arrivavano i treni carichi di merci da mettere nei capannoni e poi affidare ai camion per le consegne su gomma. Detto oggi fa sorridere, detto negli Anni 90 era una genialata.

La questione non andò a buon fine. Mancavano i fondamentali: le strade e la ferrovia. A Frosinone in quel periodo provarono a fare lo stesso: fondando la Società Interporto Frosinone mettendo insieme soci pubblici e privati. Non ebbe migliore fortuna. A Latina poi un’inchiesta ha congelato tutto per un paio di anni, al fine di verificare eventuali reati ambientali. Il mondo non aspetta: a fare l’interporto, a Frosinone ci hanno pensato i privati. Ed allo stesso tempo ne è nato uno ad Orte

Risultato? Un fallimento con una barca di soldi europei buttati al vento. La rinascita europea divenne rovina comunale.

L’idea dei rifiuti

 Ma il Comune non era soddisfatto e si credeva Ferrero, quindi si dedicò all’ immondizia, fece una società per gestire i rifiuti: la Latina Ambiente era proprietaria anche di una discarica (una delle poche pubbliche in Italia). Il risultato? Fallita e la discarica venduta. Sulle sue ceneri ora c’è ABC – Azienda dei Beni Comuni che, pure senza discarica, rischia di saltare.

Il Comune, dal punto di vista imprenditoriale, negli anni non è stato il massimo. Insomma volle fare l’ imprenditore senza esserne capace. Uno che vuole fare il tenore ma non sa neanche lo spartito di una canzone ed a Nessun dorma, il pubblico russa.

La reputazione è importante e Latina, per i motivi di cui sopra, è poco affidabile. Cosa fare? Uscire dalla ideologia con la sua prosa e passare al rigore dell’economia.

Una delle linee di lavorazione della Saf

Primo:  bisogna che il servizio sia non micro ma macro e interessi anche altri comuni in modo da fare economie di scala. Bisogna fare gli impianti per trattare i rifiuti fino al termovalorizzatore e alla discarica annessa: come Frosinone che ha i centri per la raccolta sparsi sul territorio, ha lo stabilimento di lavorazione Tmb a Colfelice dove ricicla tutto il possibile, non ha più una discarica convenzionata ma ha una convenzione con il termovalorizzatore a San Vittore del Lazio al quale portare i rifiuti trasformati in Css cioè combustibile per ricavarne energia elettrica. 

Bisogna poi per gestire i servizi avere una filiera di fornitori privati che rendano economici e efficienti i servizi, dallo spazzamento alla raccolta.

Insomma bisogna imparare dalle terme non rifare le terme. Cioè fallire.