La strada di Salvini e la sentenza buona che gli serve: sennò torna il burian

Il vento freddo dei consensi ridotti, l'azione non impeccabile come ministro ed il processo Open Arms che si chiude... con Zaia alla finestra

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ormai è da tempo che sulla testa di Matteo Salvini spira e spira forte il “Vento del Nord”. Cioè quelle raffiche forti, tese e gelide di un monito a ché la Lega torni alle sue origini primordiali e che il Carroccio si riprenda quell’identitarismo che il Capitano aveva deciso di barattare con la colonizzazione dello Stivale. Come sia poi andata lo hanno visto tutti: non bene, anzi, decisamente maluccio.

Insomma, la Lega Salvini premier dal 2020 ha collezionato solo e soltanto mezze scoppole: elettorali, nei sondaggi e di credito rispetto ad una base disillusa per gran parte.

Domani sarà il giorno cruciale, non tanto da un punto di vista procedurale, ma politico e proprio secondo questo claim di erosione. Il collegio giudicante del tribunale di Palermo potrebbe infatti emettere sentenza.

“Non ho paura di una condanna”

(Foto: Open Arms)

Quella chiave in ordine al processo Open Arms che vede imputato il vicepremier per sequestro di persona. Vicepremier che rischia fino a sei anni di galera per fatti dell’agosto 2019.

Il diretto interessato ci è andato giù “bullo” ed ha dichiarato: “Non ho paura di essere condannato”. Tuttavia questo sarebbe stato più vero se Salvini avesse potuto contare su una base più solida ed estesa, ed oggi non è così, non più.

Base che segue ancora Salvini, ma che lo fa a ranghi ridotti e soprattutto senza più il dogma di un carisma che prima stava solo e soltanto in testa all’attuale ministro. Decisamente a Salvini i ruoli di governo portano male, e non è solo una figura retorica a ben vedere.

Il dato è che il leader leghista sta comodissimo nei panni del guastatore, ma come propositore alla fine cade in contraddizione.

Zaia e le Regionali in Veneto

Luca Zaia

Ed è lì, in una base fratta, che comincia a spirargli dietro le spalle il burian, il vento del nord. Nella rosa dei venti è mercanzia che porta dritta a casa del “Doge”, di quel Luca Zaia che in questo scorcio finale del 2024 non ha fatto mistero di volere una Lega talmente nuova da essere identificabile come vecchia.

Zaia sta per cedere il Veneto ad un nuovo candidato ed ha paura di perdere la Regione roccaforte del Carroccio. Quella che lui, da governista, ha guidato con uno stupefacente ed efficacissimo mix di slanci prog ed ortodossia padana. Il senso è che, al netto del nuovo Codice della Strada che Salvini si è fieramente intestato come ministro dei Trasporti, quello che serve a lui è ben altro “Codice”.

Una nuova rotta inside che lo rimetta in asse con il partito primigenio, e stavolta non solo per esigenze speculative, ma perché nel 2025 si voterà in Veneto e lì proprio non si può toppare.

Abbruzzese gongola per il Codice della Strada

Mario Abbruzzese con Claudio Durigon, Laura Cartaginese, Davide Bordone

Mario Abbruzzese che della Lega è Responsabile Organizzazione per il Lazio, l’aveva messa giù tra tecnico e slogan facile. Ed in ordine all’ultimo “lascito” legiferativo del Capitano aveva scritto sui social: “Il nuovo Codice della Strada è finalmente Legge. Più sicurezza e prevenzione, contrasto ad abusi e comportamenti scorretti, norme aggiornate ed educazione stradale vera. L’obiettivo più importante è: ridurre le stragi sulle strade italiane.

È stato uno dei temi al centro dell’incontro avvenuto nelle ore scorse all’interno della sala Mechelli del Consiglio Regionale del Lazio con circa trecento tra sindaci, amministratori e militanti. Presenti il sottosegretario Claudio Durigon, la consigliera regionale Laura Cartaginese, l’assessore regionale Pasquale Ciacciarelli, il coordinatore regionale Davide Bordoni, il Segretario provinciale di Roma Angelo Valeriani. E naturalmente Mario Abbruzzese.

È stato il pretesto per tenere a raccolta i sindaci e gli amministratori, invitandoli ad un confronto sulle attuali parole d’ordine che muovono il Carroccio: dal Giubileo alla Sanità, dall’Urbanistica alla Cultura. Ed i Trasporti con il nuovo codice salviniano con tolleranza zero.

Quando Durigon correva ed Ottaviani era sindaco

La Sala Mechelli piena

Tutto liscio e condivisibile, mentre sul fronte di quell’altro codice la via è sdrucciola e lo è da tempo. Nel 2020 la Lega salviniana non scendeva mai sotto il 27%, Claudio Durigon si dannava per la candidatura alla presidenza della Regione Lazio e Nicola Ottaviani era il sindaco-Zar di Frosinone.

Oggi Durigon è un proconsole efficientissimo ma già sprecato in Sicilia per raccattare voti che alle Europee non sono arrivati. Riportato al suo ruolo più congeniale di Sottosegretario sta declinando le nuove teorie per modificare le finestre dalle quali andare in pensione a 64 anni. Ed Ottaviani, che è deputato, è quello di sempre. Cioè un pragmatico tagliato a punta che è riuscito a far passare l’emendamento che assegna alle province di Frosinone, Latina e Rieti una “Zes in zona Cesarini” che darà ossigeno alle economia territoriali.

Insomma, Salvini arranca ma ci sono sempre più esponenti leghisti che leghisti lo sono a prescindere, quando non malgrado, il segretario.

Dal 27% al 7,7%, troppo

Matteo Salvini e Claudio Durigon (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Un segretario spettinato dal burian che dopo la scoppola in Emilia Romagna e la mezza tragedia in Umbria “assicura di guardare avanti”, secondo AdnKronos. E che ha chiesto “di aumentare lo sforzo, l’impegno e le sedi e quindi trasformare due evidenti sconfitte in due future vittorie”. Come la veda fattibile, tale alchimia lessicale, questo probabilmente Salvini, che tra poche ore potrebbe diventare un condannato in primo grado, lo sa solo lui.

Tanto che ormai anche dalla base arrivano minacce a “non votare più” le iperboli legislative del leader, come quel Codice della Strada draconiano e terrificante.

Di certo non lo sa Luca Zaia. Che era stato protagonista di un vero “brain-storming – a tratti serrato – sulle ragioni di una sconfitta che, assicura ai suoi Matteo Salvini, non si aspettava in Umbria”. Salvini pare avesse cazziato tutti meno che se stesso, e che quel 7,7% che in Umbria gli ha assegnato il solo Enrico Melasecche gli bruci più dei sedili dell’aula bunker di Palermo.

Per il Capitano si doveva lavorare meglio e Zaia, da remoto ma con un vigore ormai da frondista, gli aveva voluto rammentare maligno che forse la Lega per resuscitare dovrà tornare a considerare “i temi identitari, con un invito a concentrarsi sul voto nella sua Regione, previsto nel 2025”.

La corsa cruciale per Palazzo Balbi

Mario Abbruzzese

A parte la rassicurazione che quello in corsa per Palazzo Balbi sarà un candidato leghista Salvini pare non abbia saputo dire di più e di meglio. A lui interessava il congresso lombardo del Carroccio che ha visto eleggere per forzata acclamazione Massimiliano Romeo. Che ha detto: “Ci vuole la Lega delle comunità e dei militanti, non delle personalità”. Un altro mezzo segnale, un altro spiffero.

Con il segretario federale che avrebbe voluto da subito la solita candidatura unitaria che non scontentasse nessuno e non spaccasse in due un partito già spaccato in quattro. Perché il burian quello fa: si insinua nelle crepe, e magari, assieme ad una sentenza palermitana, fa crollare tutto.