La terza vita di Zaia (e De Luca): FdI riscrive le regole del gioco

Fdi rompe il silenzio e apre al terzo mandato per i governatori. Gasparri frena, la Lega s’infuria, Zaia si sfrega il mento. E Meloni? Fa finta di niente, ma ha già dato l’ok

Altro che vento del cambiamento. A soffiare nei corridoi della politica in queste ore è una bella folata di restaurazione strategica: messa in moto non dalla sinistra ma dal Partito che per anni ha fatto della “discontinuità” un brand. Cioè Fratelli d’Italia. Nessuna conferenza stampa, nessuna fanfara. Solo una riunione dell’esecutivo di Partito e una frase detta con finta leggerezza: “Possiamo discutere del terzo mandato per i governatori. Senza preclusioni. E subito.” Boom.

A lanciare il colpo è il responsabile organizzazione di Fdi. “Non c’è una preclusione ideologica ad affrontare il tema del terzo mandato se viene posto dalle Regioni” perché “sbagliato” era che “ciascuna Regione scelga il numero dei mandati“, non che si faccia “una riflessione nazionale” ha detto Giovanni Donzelli.

La mossa meloniana che spiazza gli alleati

Giorgia Meloni

Una mossa che sa tanto di terremoto, ma che – sorpresa – non scuote Palazzo Chigi. Perché Giorgia Meloni sapeva. Anzi, ha benedetto. Lo dicono i tempi, lo confermano le facce. E se l’aria è cambiata, non è stato per caso: il Doge Luca Zaia ha ancora troppo consenso per essere mandato in pensione in silenzio. E pure il guascone don Vincenzo De Luca, col suo sarcasmo campano e i suoi comizi da teatro di varietà, potrebbe essere utile. E allora, rieccoli: fuori dalla porta per scadenza naturale, ma rientrati dalla finestra del “cantiere aperto” sul terzo mandato.

Il colpo è arrivato tra capo e collo a Forza Italia, che è contraria al terzo mandato. E ancora di più ha gelato la Lega, che ci aveva provato un anno fa a infilare la deroga nel decreto Trentino ed era stata stoppata proprio da Fdi. Ora che le parti si invertono, la rabbia è doppia. Perché Salvini si ritrova a dover inseguire una proposta che fino a ieri era sua, con l’amaro in bocca per aver dovuto lasciare ai meloniani il merito (e l’onere) della svolta.

Il Doge? Spiazzato pure lui. Ma solo a metà. “È innegabile, ora vediamo il prosieguo”, ha detto. Tradotto: se davvero me lo chiedete, io ci sto. Dopotutto, il Veneto consegna a Fdi numeri bulgari, e senza Zaia, nel 2025, potrebbe non essere più così.

Il “caos calmo” di Meloni

Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica

Non è un fulmine a ciel sereno: dopotutto i Fratelli d’Italia avevano già dato una più generica disponibilità a riparlarne, con due interviste parallele di Francesco Lollobrigida (capodelegazione Fdi nell’esecutivo) e proprio di Giovanni Donzelli (che tiene le redini della macchina del Partito).

Giorgia Meloni intanto fa finta di niente, minimizza il prossimo voto regionale, dice che la legislatura non traballa. E rilancia sul record di governo: vuole arrivare al 2027 senza cambiare un ministro. Compatti, dice lei. Ma nel frattempo qualcuno le cambia i piani sotto il naso, o meglio: col suo assenso implicito. Perché il caos generato da questa mossa – un Renzi indemoniato (“cambia idea per convenienza, per galleggiare”, creando “il caos” a sinistra e risolvendo i problemi con la Lega“), le Regioni nel panico, il centrodestra che si guarda in cagnesco – è tutto calcolato.

Meloni lo sa: il terzo mandato azzera il tavolo e rimette in gioco gli equilibri. Altro che semplice norma tecnica. È politica viva, pulsante. È la mossa per congelare le ambizioni degli alleati, dividere la sinistra, spiazzare chi pensava che il tempo fosse finito. Zaia incluso.

La strada? Stretta. Ma non impraticabile.

Maurizio Gasparri (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Il disegno di legge è l’opzione più elegante. Ma occhio all’emendamento infilato dove meno te l’aspetti, magari in un testo che riguarda tutt’altro. Sotto la superficie, i giuristi di Partito sono già al lavoro, soppesano le parole, calcolano i numeri, misurano i nervi.

Gasparri dice: “Ne parleremo con i leader”. Traduzione: c’è da trattare, ma l’aria è cambiata. E se l’idea prende forma, i candidati per le sei Regioni in autunno potrebbero cambiare volto. Altro che accelerare, come chiedeva Salvini. Qui si rimescolano le carte e si ridisegnano le mappe.

A chi conviene, davvero? A Zaia, sì. Ma anche a Meloni, che in questo modo toglie alla Lega il suo asso migliore e lo riporta sotto l’ombrello tricolore di Fdi. A De Luca, che può fare ancora la sua “sceneggiata napoletana” con lo scudo della legittimità. E pure a chi, nel centrosinistra, non ha ancora trovato una vera alternativa locale e si accontenta del “meglio il diavolo che conosci”.

A perderci? I principi. Ma quelli, ormai, sono sempre gli ultimi a votare.