Puntare a vincere "local" per offrire la propria ricetta al Paese e puntare a perdere per proporre quella ricetta, ma solo a chiacchiere
Partiamo da un concetto su cui in questi giorni si stanno spendendo in moltissimi ma che forse ha perso il suo significato originario: quello della vocazione maggioritaria. Di cosa parliamo? Dell’attitudine di un Partito ad organizzarsi per vincere ed andare a governare invece di incarognirsi sulla sola, fiera e sterile proclamazione della propria identità dal sedile comodo di chi si oppone.
Il senso è: se veramente credi di poter cambiare le cose in meglio devi metterti in condizioni oggettive di poterle cambiare davvero, e in Italia (come in Occidente) per cambiare le cose devi arrivare a governare. Che è una cosa molto più difficile che affermare ogni giorno che sei diverso, ma da una posizione minoritaria che lascia spazio comodo solo ai tuoi (inutili) proclami di eugenetica morale e tecnica.
Come Meloni, anzi: peggio

E’ una contraddizione, questa, che per ceti versi sta vivendo anche Giorgia Meloni ma con un format diverso. Lei intanto ha vinto e quindi le si può solo contestare il fatto (oggettivo) che oggi governi seguendo l’usta della sua sola fazione.
Ma intanto lei sta a Palazzo Chigi e decide le sorti del Paese, cioè nostre: di chi l’ha votata, di chi no, e di chi neanche è andato in seggio.
Non avere una vocazione maggioritaria ed avere il culo di andare a “comandare” è cosa aleatoria, innescata dall’astensionismo e dai flussi pop di una cittadinanza stanca e diventata basica.
Non è solo colpa di Elly
Tuttavia se si vuole “costruire” una vocazione maggioritaria vera e sistemica allora bisogna darsi da fare. Come non ha fatto il Partito Democratico, e non solo “per colpa” di Elly Schlein e del suo massimalismo di bottega a parte che sono solo parte terminale di un lungo processo. Esempio nostrano: il Pd di Frosinone? O ci si conta o si depongono le armi e si fa vincere il più forte che non sempre è il migliore, tertium non datur.

Oggi il Nazareno ha conservato la sua vocazione maggioritaria ma solo su carta. Lo sta facendo un po’ come quei “quasi laureati” ebbri ed insoddisfatti che al terzo spritz straparlano con i 20enni spiegando che “ai miei tempi Tacito sì che si studiava davvero”.
E’ roba di facciata, roba che che dai tempi di Veltroni e del Lingotto è diventata stantia, retorica, vuota. Roba etilica e fallimentare da boomer sfigati che dicono cosa sono senza mettere a frutto quel che dovrebbero aver già fatto.
La somma che non dà il totale
Si lavora di somma aritmetica fra tutte le componenti di un campo largo improbabile e non si ragiona (ed agisce) su un totale che non dà affatto la somma di intenti comuni, ma solo di scopi aleatori ed infidi.

Tutto questo porta al crash della vera piattaforma di ogni Partito che abbia conservato una vera e tenace vocazione maggioritaria: i programmi. C’è qualcuno che, senziente, oggi sia in grado di snocciolare almeno sommariamente quale sia il programma del Campo largo che si appresta a vincere (sì, a vincere) le regionali in Campania?
Manca una visione collegiale, ci sono pezzi di idee che cozzano, in fissione quasi nucleare, con altri pezzi di idee del tutto contrapposte, però l’importante è vincere.
Alleanze di scopo
Vincenzo De Luca e Roberto Fico, messi in una stanza isolata per meno di due ore, si accoltellerebbero come cattolici e luterani. Lo steso De Luca, se in circostanze più asettiche incontrasse Elly Schlein, le metterebbe il Guttalax nel bibitone vegano.

Clemente Mastella vorrebbe (solo in iperbole, sia chiaro) aver la patente D solo per mettere sotto tutto il cucuzzaro, ma non può. E lo stesso Pd, al suo interno, conta più correnti agguerrite ed autonome di quanti non siano i peli di uno Schnauzer.
Dov’è la vocazione maggioritaria invocata da quel Lingotto che fu? Conta il risultato estemporaneo, quello che ti fa dire che ha vinto “quella ricetta là”, non quel dato libro di ricette.
Campania ipotecata, ma poi?
Poi magari (certamente) vinci in Campania e il giorno dopo tutte le agenzie sono tue, e tutte le speranze che il tuo modo di vedere la faccenda vanno a crasi nelle tue parole. Che sono parole di fazione, non di Partito che sognava in grinta omogenea di andare dove si comanda a comandare meglio di altri per dare il meglio a tutti.
La scala nazionale manca, o quanto meno diventa riflesso del localismo, senza contare che dovrebbe essere il contrario.
E la sola colla è la lotta contro Giorgia Meloni, mentre la vera colla dovrebbe essere una visione concreta che sia meglio di ogni Meloni che il Fato, i social e l’analfabetismo funzionale di noi stessi ci mettono tra i piedi.
Colla e nodi al pettine

Il guaio è che i nodi al pettine non aspettano, neanche quando sei sul picco del podio, ed il maggioritario vero come scopo è molto di più del maggioritario come totem da vernice.
Una volta il mondo progressista venne chiamato all’adunata civica per darsi una ragione comune, oggi il mondo progressista è spicchio di un agrume composito che guarda solo allo specchio di camera sua. E che non sa più da che parte stia la finestra.
Quella dalla quale, affacciati e prima di scendere gioiosi e finalmente in basso, giù dove ti aspettano, si guarda quel che serve alla gente, e non quel che serve alla tua fazione.



