Una reazione che all'apparenza sconcerta. Un gesto di solidarietà collettiva, verso la memoria di un bracciante che invece di un sogno ha trovato in Italia un incubo mortale. Ma quell'abbraccio viene rifiutato. Con sdegno. Colpa delle barriere invisibili e della nostra sciocca convinzione di essere al centro
Carne da lavoro. Corpi da sfruttare senza pensare all’anima. Quella di chi suda tutto il giorno sui campi, quella di chi approfitta della loro fame. Nessuno si è preoccupato dell’uomo Satnam Singh, mutilato nei mesi scorsi dalla macchina per cui doveva lavorare su un campo a Cisterna di Latina. Nessuno ha pensato ai suoi sogni, le sue sofferenze, la sfida per salire sull’ascensore della vita che doveva migliorare in Italia la sua esistenza e quella dei suoi familiari rimasti in India. Ma è solo un pezzo della storia, questa del bracciante morto dissanguato, senza essere soccorso e portato in ospedale ma abbandonato a casa con quel braccio infilato in una cassetta della verdura.
L’altro pezzo della storia, altrettanto crudo e sanguinoso, lo ha scritto nelle ore scorse suo fratello Amritpal Singh, arrivato ora in Italia. Una sorta di rito di purificazione collettivo: per non avere visto quegli schiavi indiani nei campi, averli visti ed ignorati, averli ignorati come se il loro sfruttamento fosse normale.
La divergenza tra intenti e aspettative
Non è andato come ci si aspettava, quell’incontro. Pensato tutto con mentalità occidentale. Senza considerare che oltre la nostra porta c’è un mondo diverso, una cultura con la sua dignità. L’incontro avvenuto ieri a Cisterna di Latina fra le istituzioni italiane e Amritpal Singh, fratello di Satnam Singh, rivela un quadro complesso in cui valori, principi e tradizioni divergenti si sono scontrati. Innescando scintille, creando tensioni difficili da sciogliere. L’episodio mette in luce come il tentativo di costruire ponti tra due culture diverse possa scontrarsi con barriere culturali profonde, difficili da percepire ma reali e pesanti.
L’accoglienza organizzata dalle autorità italiane comprendeva un appartamento arredato dove alloggiare, un buffet e la scritta “Benvenuto” tradotta in lingua indiana. Era stata progettata come un simbolo di solidarietà e vicinanza. Tuttavia, quando Amritpal Singh è arrivato, ha subito mostrato disagio e distanza emotiva, rifiutando l’incontro e lasciando la città inaspettatamente. Un gesto che ha colto di sorpresa tutti i presenti, permeati solo di cultura occidentale, per nulla pronti a capire che oltre a noi esistono anche gli altri con il loro modo di vedere le cose.
Un gesto di rifiuto che nasce da incomprensioni culturali profonde: quello che per l’Italia rappresentava un gesto di solidarietà e supporto, per Singh era visto come un’invasione e una politicizzazione della vicenda familiare.
La complessità della cultura indiana
Il concetto di onore e reputazione è fortemente radicato nelle famiglie indiane. Sicuramente più che nelle culture occidentali. L’affermazione di Singh riguardo alla natura della relazione del fratello con Soni (“una convivente non è una moglie“) e la sua conseguente diffidenza verso il sindacato CGIL, colpevole a suo avviso di aver favorito Soni, riflettono una mentalità che distingue nettamente fra relazione formale e informale.
Questo concetto, che potrebbe apparire marginale in un contesto italiano, rappresenta per Singh una barriera invalicabile, particolarmente in una vicenda tragica e dolorosa come quella della morte di suo fratello. Per la comunità indiana, il concetto di matrimonio non è solo un legame tra due persone, ma un vincolo sociale e morale riconosciuto dalla famiglia e dalla società, senza il quale i rapporti sono considerati informali o non degni della stessa dignità.
Da noi è la sola convivenza a generare la famiglia. E lo abbiamo pure codificato. Da noi la convivenza è tale quando è more uxorio cioè come se fossero marito e moglie: e chi se ne importa – dice su molti aspetti anche la Legge – se non erano sposati. Per gli indiani, assolutamente no. E non per bigottismo religioso. Perché per loro il matrimonio non è vincolo personale. Ma è sociale e coinvolge le famiglie.
L’incomprensione reciproca
L’Italia ha accolto Singh con tutte le risorse a disposizione, nell’idea che l’ospitalità e la compassione siano valori universali. Tuttavia, Singh ha percepito questo gesto come una spettacolarizzazione della tragedia e della sofferenza della sua famiglia. Nonostante il contributo dei sindacati e del comune, che hanno messo a disposizione fondi e un alloggio per la sua permanenza, Singh si è sentito estraneo e tradito, una sensazione alimentata da una comunicazione carente e da una mancata comprensione dei suoi valori.
Questa discrepanza mostra quanto sia difficile per le istituzioni italiane leggere correttamente i segnali culturali provenienti da realtà come quella indiana, in cui i gesti di ospitalità e sostegno pubblico non sempre trovano lo stesso significato.
Alla base di tutto c’è la nostra presunzione Occidentale, la nostra supposta superiorità morale e culturale, basata sul nulla. Nessuno si è posto il problema di come potessero essere interpretati i nostri gesti se letti da un indiano. È la stessa superiorità che ha portato al colonialismo ed allo sfruttamento dell’Africa. La mediazione culturale in questi casi non è stata sufficiente a tradurre appieno le sensibilità e i principi di una cultura familiare indiana in un contesto istituzionale italiano.
Mediazione ed integrazione
L’episodio solleva una domanda cruciale sulla mediazione culturale e sui suoi limiti. In Italia, l’accoglienza di Singh era stata pensata come un evento pubblico di supporto morale, che includesse i sindacati, la stampa e persino il sindaco. In India, invece, una simile esposizione pubblica può essere vista come un’indebita attenzione su una questione intima e familiare. Singh ha esplicitamente dichiarato che “non era venuto per la causa”, ma per difendere l’onore del fratello, risentendo dell’attenzione pubblica sulla questione.
O impareremo a dialogare con chi ha culture diverse dalla nostra o ci troveremo nel mezzo di uno scontro. Quanto accaduto nelle ore scorse a Cisterna è segnale dell’importanza della mediazione culturale nel favorire un reale dialogo tra culture diverse, dove le aspettative e le sensibilità devono essere valutate attentamente.
In Italia, l’espressione di solidarietà assume spesso connotazioni pubbliche, ma è fondamentale ricordare che non tutte le culture accettano con favore una simile visibilità. O impariamo ad essere più cauti o saremo origine di conflitti. Che possiamo evitare solo costruendo un dialogo che non si limiti a tradurre le parole, ma sappia interpretare e rispettare i significati profondi di cui sono portatrici le persone.
Il dialogo necessario
L’Italia, come molti Paesi europei, è sempre più multiculturale e per garantire una vera integrazione è necessario un maggiore sforzo di comprensione reciproca. La vicenda di Amritpal Singh mostra quanto sia importante, soprattutto in contesti delicati, saper accogliere le differenze culturali non solo come dati di fatto, ma come aspetti che richiedono dialogo, rispetto e discrezione. In questo caso, l’Italia ha mostrato una grande apertura e solidarietà, ma la mancanza di una comprensione profonda delle differenze culturali ha portato a un risultato imprevisto.
Il dialogo tra culture richiede una sensibilità attenta e rispettosa delle differenze. In un mondo sempre più globalizzato. L’ospitalità e l’accoglienza sono valori preziosi, ma la loro espressione deve essere bilanciata da una conoscenza autentica delle sfumature culturali, in modo da evitare incomprensioni e costruire veri ponti fra le persone. Se non capiremo questo, il nostro braccio teso verso l’altro sarà un gesto di solidarietà ma verrà interpretato come un insulto.
(Foto di copertina: Antonio Gravante © DepositPhotos.com).