Le Frattocchie che furono e la nuova politica online: che funziona malissimo

La politica urlata sui social che ha spodestato quella ragionata e di formazione: con effetti disastrosi per addetti ai lavori ed elettori

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Un esempio per tutti che però è paradigma di un format: non sono pochi quelli che, vedendo Francesco De Angelis impegnato nel difendere la posizione di Area Dem nel “derby” Pd per la Federazione provinciale, pongono coram populo (traduzione: davanti ai bar) una domanda. E cioè: “Ma io questo me lo ricordo dai tempi del Pci, possibile che stia ancora sulla giostra?”.

A questa domanda ci sono due risposte, una qualunquista ed una più analitica. Liquidiamo la prima: “Sono sempre gli stessi e dalla poltrona non si schioderanno mai”. Undici parole per dire nulla, visto che l’ambizione di contare in politica non pregiudica, almeno teoricamente, quello che la politica si dovrebbe prefiggere in mission pubblica.

Dove andava “a scuola” De Angelis

Mentre la seconda domanda ha una risposta più secca, con una parola sola, anche questa emblematica per ogni “bottega”. Questa: “Frattocchie”. Già, la mitica scuola di formazione politica nata nel 1944 vicino Marino di Roma e legata a doppio filo al Partito Comunista Italiano.

A quello ed alla necessità di istruire i quadri sui meccanismi di ricerca del consenso e tenuta dei concetti basilari. Usciamo dal format partitico e concentriamoci sul fine sociale di luoghi che presupponevano il confronto diretto, “vis a vis” tra fautori di uno stesso modello ideologico.

Perché, che fossero convegni a margine delle Feste dell’Amicizia, discussioni ai campi Hobbit o anche solo braciate all’Unità, quei momenti erano accomunati da un trait d’union.

Idee mature perché maturate

Quello per cui la consapevolezza delle proprie idee maturava via via attraverso il confronto diretto: personale e fisico, due cose che, piaccia o meno, del confronto intellettuale sono bastioni. Con gli sguardi, con le sbavature di linguaggio, col sudore e la flemma dopo aver sudato.

Coi giovani che attingevano dalle parole dei “vecchi” solo quello che collimava con la loro mappa caratteriale ed etica. Con la foga degli interlocutori e con la sapienza di cento modi di declinare un apparente pensiero unico.

Tanti e tali, quei modi, che alla fine la decantazione delle idee più paradigmatiche arrivava per sommatoria sofferta, non per imposizione da web.

Grazie ad una dotazione di duttilità intellettiva che ricordava molto la trasmissione orale di antiche tribù australi unita al potere immenso delle radici culturali europee: una bomba. E tutti, dai vertici alla base, si abbeveravano alla coscienza di ciò che dicevano e per cui poi andavano a lottare o anche semplicemente a dare il voto.

Cosa è cambiato (purtroppo)

(Foto Anthony Shkraba)

Oggi non è più così, ed è un guaio grosso. E’ come se una mela ti arrivasse al morso dopo debita maturazione al sole e resistenza agli insetti invece che arrivarti frutto sciapo due secondi dopo essere stata fiore.

Oggi, invece e purtroppo, vige il metodo distanziato, quello per il quale ogni messaggio politico viene veicolato sui social in maniera basica.

Questo per lo più dai soli leader e ciambellani annessi, e non passa nel setaccio della decantazione, del confronto. Ogni slogan è dogma, ogni cosa postata dal “capo” è incontrovertibile ed ogni bufala si fa verità per il solo fatto di essere apparsa in posti dove il solo sudore è quello di loggarsi e mettere un like o un commento insipiente e settario.

Tutto a distanza

Il vero guaio è quello della scomparsa del concetto di “presenza”: si lavora a distanza, si fa politica distanziata, ci si annusa sessualmente perfino, a distanza. E si accettano idee preconfezionate senza lanciarle a sporcarsi nella polvere bellissima della nostra quotidianità, di quello che ci ha disegnato in faccia ogni singola ruga.

(Foto: Vince Paolo Gerace © Imagoeconomica)

Insomma, come ha illustrato splendidamente Antonio Bompani su L’Inkiesta, andrebbero ripristinati i luoghi veri della politica. Non solo per stimolare chi la fa, ma anche per far germinare chi la “subisce” e poi la applica. E qui son guai, anche a livello europeo.

Da questo punto di vista lo stesso concetto di dovere civico tende ad annacquarsi, perché molti, moltissimi cittadini ritengono di averlo già esaurito nel partecipare con entusiasmo orwelliano ai riti social dei loro beniamini.

E loro, i “beniamini”, sono di fatto e per parte maggioritaria inquadrati in una generazione politica la cui mission è esausta nel momento in cui hanno sparato due o tre slogano al giorno sui social.

Esche false

Foto: Philippe Stirnweiss © EU Press Service

Tutto questo depaupera la politica nella sua forma più ampia, falsa il rapporto con la base elettorale, la allama con esche pezzotte e pasce una classe dirigente di rara ignoranza. E soprattutto dà foraggio ad una generazione politica che, anche a livello europeo, è tra le più inconsistenti della storia occidentale dai tempi di Montesquieu.

E con le conseguenze che tutti abbiamo sotto gli occhi, che però (quasi) nessuno attribuisce (anche) a questa tara, ma solo all’incertezza del vissuto.

Un vissuto che non conosciamo più, perché le Frattocchie non sono più un modello. E forse neanche più un ricordo.