L'annuncio sul servizio civile "nei campi" ed i richiami al Ventennio, che però diventano la solita solfa polemica in cui muore il merito
Giancarlo Righini è un uomo concreto, e nel nome del suo concretismo in Regione Lazio sta provando a snellire alcune cose. Cose come ridefinire e semplificare le denominazioni DOP e IGP vitivinicole del Lazio. Qual è lo scopo? Valorizzare un settore importante togliendo ad esso una massa di orpelli burocratici che ne strozzano la visibilità. Spieghiamola meglio. In cose come il vino, cose italiane quindi di rango massimo, il rischio c’è tutto.
Quello di non trovare mai il punto di incontro tra una certificazione di qualità che spinga il prodotto ed una spendibilità pop che quel prodotto lo piazzi nello scenario commerciale giusto. E proprio in queste ore i dati dell’iconico Gambero Rosso certificano che la qualità nei vigneti del Lazio c’è: sono stati ben 10 a ricevere i “Tre Bicchieri” cioè il massimo riconoscimento assegnato dalla Guida Vini d’Italia 2025.
Ad ottenerli sono stati l’Anthium Bellone 2023 di Casale del Giglio, il Biancolella di Ponza 2023 delle Antiche Cantine Migliaccio, il Cesanese del Piglio Superiore Hernicus 2022 di Antonello Coletti Conti che inizia a credere in questo ‘pronta beva’ dopo averlo consderato per anni un figlio minore dell’inarrivabile Romanico. Premiato anche il Fiorano Bianco 2022 della Tenuta di Fiorano ed il Frascati Superiore 2023 vinificato da Casale Marchese. Tre Bicchieri poi per Habemus 2022 dell’azienda San Giovenale, per il Montiano 2021 della Famiglia Cotarella. Per il Poggio Triale 2022 della Tenuta La Pazzaglia, il Roma Bianco 2023 della Poggio Le Volpi. Per gli amanti delle bollicine c’è il Sergio Mottura Brut M. Cl. 2015 di Sergio Mottura.
Parlano premi ed export
Sui vini del Lazio va riconosciuto alla Regione un lavoro iniziato una ventina d’anni fa e portato avanti con alterne convinzioni. L’assessore Righini se ne prende una quota evidenziando che quei dieci premi ai vini del Lazio sono “il segno che il rafforzamento delle politiche di promozione dei vini regionali intrapreso dall’assessorato all’agricoltura, tramite Arsial. I vini del Lazio sono finalmente conosciuti e conseguentemente apprezzati da tutti ad ogni livello”.
C’è poi il dato dell’export italiano. I numeri stanno crescendo: lo ha fatto notare con puntualità di bandiera Massimo Ruspandini sui social. Così: “L’export italiano scala le classiche mondiali, grazie a un governo che ha fatto della tutela e della promozione del Made in Italy la sua cifra distintiva”.
Qual è dunque il comune denominatore, magari ancora un po’ imperfetto, dell’azione politica di Fratelli d’Italia? L’identitarismo accoppiato ad una concezione smart della sua affermazione, diremmo. Ecco, è qui, in questo punto esatto, che Francesco Lollobrigida si ferma, ed a volte si arena. Attenzione ché non è un problema di gaffes in purezza, roba a cui il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare ci ha abituati, un po’ come il range del menu del nostro ristorante preferito.
Incapaci di sfrattare la retorica
No, è qualcosa di più sottile. Cioè l’incapacità assoluta di buona parte della classe dirigente del partito di Giorgia Meloni di concepire un pensiero pubblico o una pubblica iniziativa senza lardellarli con la mistica di provenienza. E’ tutta una questione di dosaggio lessicale, si badi, perché va anche detto che con Fratelli d’Italia ogni singola parola del suo vocabolario viene guatata, analizzata, sminuzzata sotto la lente. E messa su Piastra di Petri per individuare colture batteriche che rimandino ad una recrudescenza del Ventennio.
Così si vive male, poco da fare, anche perché a vivere male non sono solo i protagonisti di questa polarizzazione – che le spara e chi le nota – ma i cittadini. Perché alla fine di una iniziativa tutto sommato “potabile” o con margini di utilità socio-economica alla fine resta solo il sedimento della dialettica tignosa di sempre.
Quella tra chi cerca i fantasmi del fascismo e chi quei fantasmi proprio non li sa dribblare. E non perché ad essi ci creda (ovvio che ci credono tutti, in Fdi, ma in petto) ma perché non sa addomesticare il loro apparire in punto di lessico.
Il servizio civile agricolo
L’ultimo degli esempi? “Per la prima volta i giovani potranno servire la Patria con una attività di valore agricolo”. Testi e musica di Francesco Lollobrigida che da poco ha annunciato il Servizio civile agricolo, che partirà il 2 ottobre con la manifestazione d’interesse aperta alle aziende. Attenzione alle sfumature ché qui siamo in Italia e le sfumature contano più degli angoli.
Tecnicamente non c’è nulla di male nel dire che la Patria va servita e che lo si può fare nei campi, ma anche un paracarro capirebbe che, disegnato lessicalmente così, quello è uno scenario evocativo. Scenario che, se evocato da uno che si è fatto le ossa a Colle Oppio negli ‘80, fa venire in mente Benito Mussolini a torsaccione cubico nudo che inforca fiero fienagioni come se fossero i figli della Perfida Albione. E che si deterge la pelata accerchiato da contadinelle adoranti che gli porgono l’Acqua dei Giusti. Oppure che evoca i motti da petto villoso e sterno sudato come “è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”.
Dove la spada andrebbe in combo perfetta perché le affermazioni di Lollobrgida sono state saggiamente messe in endiade con il rinnovato dibattito sulla riesumazione del servizio di leva. (Non è vero, è solo un accostamento dei media furbi e quello sulla new naja è dibattito stagionatissimo).
Spezzare le reni alla… Gricia
Insomma, messa così sembra che Lollobrigida abbia confezionato un format in cui i giovani o vanno di nuovo militari a spezzare le reni alla Grecia oppure vanno per campi e porcilaie in servizio civile per spezzare le reni alla Gricia fatta col guanciale spagnolo.
“Sarà un anno a spese dello Stato che vuole valorizzare questa attività”. A dire il vero è roba molto meno arcigna e patriottarda. E’ in arrivo l’Avviso per la progettazione dedicata agli enti di Servizio civile universale, poi partirà una prima sperimentazione che coinvolgerà mille giovani con un età compresa tra i 18 e i 28 anni. Ed entro il 28 novembre, gli enti interessati dovranno “presentare i loro progetti che potranno riguardare vari ambiti affini alla realtà rurale e all’agricoltura”.
Il Ministero di Lollobrigida ci metterà 7 milioni iniziali di euro e lo farà in tandem con quello dello Sport retto da Andrea Abodi. Attenzione: non esistono solo le responsabilità di sottigliezza linguistica che sono (parzialmente) attribuibili al ministro ex cognato d’Italia. No, e chi dicesse cose del genere mentirebbe, perché come sempre in Italia non c’è solo chi è pronto a scarrocciare dialetticamente in forza del suo mai del tutto sopito background.
Bonelli e la “visione nostalgica”
In Italia e con pari sfortuna ci sono orde di avversari politici che, invece di pesare il valore sociale ed economico di un’iniziativa, si avventano sull’unico polpaccio che sembrano ormai conoscere: quello della requisitoria sulla nostalgia canaglia. La riprova? “Il ministro Lollobrigida non si smentisce mai e continua a portare avanti una visione nostalgica del ventennio per il futuro dei nostri giovani”.
Qui parole e musica sono del deputato di Alleanza Verdi-Sinista, Angelo Bonelli. Che ha incalzato: “Mesi fa diceva: ‘I giovani vadano a lavorare nei campi, invece di stare sul divano con il reddito di cittadinanza’, e adesso dalle parole passa ai fatti con il Servizio Civile Agricolo. Un’operazione che, di fatto, introduce il caporalato di Stato“. Che è un po’ come dire che quello di Israele contro gli arabi di Gaza è un genocidio invece che un massacro indiscriminato di decine di migliaia di innocenti che fanno contorno inerte a migliaia di terroristi. Questi sono errori lessicali, e gravi. Iperboli del tutto fuori squadra.
Ci sarebbero dei numeri su cui ragionare, è vero, perfino dei potenziali rischi, ma si perdono nella contro retorica polarizzata di un continuo scontro ideologico. “Dietro la retorica molto cara a questo governo del ‘servire la patria’ si cela una realtà ben più amara: giovani dai 18 ai 28 anni, pagati 507,30 euro al mese, verranno reclutati per lavorare nei campi”.
Via il merito, qui si fanno gargarismi
“Questo ‘invito nostalgico’ non è altro che una misura di sfruttamento mascherata da opportunità, con un compenso da 3 euro l’ora. È questa la politica del lavoro del governo che ‘fa la storia’? Mandare i giovani a lavorare nei campi ed essere sfruttati? Questo si chiama caporalato e lo vogliono anche legalizzare”.
Il senso è che a loro modo entrambe le parti una loro buona fetta di ragione ce l’anno ed ognuna di esse avrebbe componenti-rilievi di merito di cui seguire l’usta. Ma non in Italia, qui ed oggi, non in un paese che pensa più ai gargarismi che ai concetti. E che, a discapito dei suoi cittadini, da questo male infido e sebaceo non guarirà mai.
Perché noi delle cose non parliamo mai per risolverle, ma solo per usarle come tester di superiorità. E maledetti noi, superiorità rigorosamente lessicale.