La partita sugli extraprofitti e la filiera del credito in epoca Zel e Zls: perché alla fine nessuno ci rimetterà... eccetto il Lazio
“Sviluppo ZES e ZLS di Intesa Sanpaolo accompagna la tua impresa in un percorso di crescita lungo alcuni assi strategici, sostenendo la tua volontà di investire in queste aree speciali, strategiche per il nostro Paese“. Questo appare sulla homepage di uno degli istituti di credito più mainstream e quotati del Paese. E il significato è abbastanza evidente: nella loro mission le banche si adattano, plasmano i loro protocolli di approccio all’utenza di sistema sulla realtà socioeconomica in cui agiscono. E quando la politica si mette di traverso alla loro mission non si asserragliano, ma puntano alle soluzioni mediate.
Quelle che, per natura insita di cosa è un banca, alla fine la avvantaggiano sempre. Come nel caso della tassa sugli extraprofitti in Finanziaria che tassa non è ma che di fatto prelievo rimane, a voler dribblare il lessico peloso di queste ore “giorgettiane” assai.
In ordine a Zes e Zls ad esempio, l’offerta è settata per ogni scenario. Si va dai fondi per il rafforzamento delle infrastrutture “produttive, commerciali, logistiche, della flotta e dei mezzi di trasporto all’interno della ZES Unica e delle ZLS”. Fino alla costituzione di comunità energetiche ed agli investimenti per la costituzione di comunità energetiche rinnovabili: su “solare, eolico, fotovoltaico”.
La Zls della Pisana e la Zes di Coppotelli
Ora, volendo restringere il campo all’areale che ci riguarda, c’è un dato: la mancata concessione della Zona Economica Speciale ad alcune zone del Lazio in virtù “dell’Isee” di Roma è stata uno smacco.
A fine estate il segretario regionale della Cisl Enrico Coppotelli aveva lanciato un appello alla Politica per una Zes laziale con sgravi fiscali e burocratici per le province di Frosinone, Latina e Rieti. Ed aveva detto che “vale la pena provarci anche a livello regionale, attraverso agevolazioni equivalenti a quelle della Zes”. Non se ne è fatto nulla. E non perché l’idea non fosse buona. L’assessore regionale allo Sviluppo Economico Roberta Angelilli lo aveva spiegato intervenendo nei giorni successi in diretta nel salotto di A Porte Aperte su Teleuniverso. Aveva detto che a prescindere dalla validità della proposta, realizzarla presuppone l’esistenza di una legge: che va scritta, bilanciata, coperta con i fondi, approvata e varata. E quella legge al momento non c’è. Quindi, per la vice presidente l’unica via percorribile rimaneva quella delle Zls.
E la via della Zls, la Zona Logistica Semplificata a cui è stato dato recente disco verde alla Pisana, è un’alternativa importante ma non determinante. Soprattutto è un’alternativa che rimette in posizione centrale il credito bancario alle imprese in uno scenario nazionale molto controverso.
Il pannicello caldo per il Lazio
E’ il classico scenario in cui le menti propense alle mediazione strategica possono fare la differenza, menti come quella di Antonio Patuelli, presidente dell’Abi e grande mediatore. Tra cosa? Tra la pubblicistica pop di Giorgia Meloni che non vuole rinunciare ad adescare le masse e la realpolitik di Antonio Tajani, che guida un partito nato per partenogenesi proprio dalla finanza e dalle banche. E che dietro ne ha una del calibro di Mediolanum.
Il ring è quello degli extraprofitti e non potrà mai essere ring da knockout, semmai da vittoria ai punti. Sì, ma vittoria di chi?
Innanzitutto del cerchiobottismo italico, mai benedetto come ora, in quest’epoca di polarizzazioni truci. Ci sono elementi di base da cui partire, in questa analisi, ed il primo rimanda alla Bce di Christine Lagarde, che ha tagliato i tassi di interesse. Lo ha fatto accludendo un report per cui quel taglio “inciderà sulla redditività delle banche dell’Eurozona, anzi che l’impatto si sta cominciando già a far sentire”.
Extraprofitti? Tutta questione di lessico
Lo ha spiegato molto bene nei giorni scorsi su Il Foglio Mariarosaria Marchesano. Ed è in questo clima, andando di Focus su Palazzo Chigi, che il duo Giorgia Meloni-Giancarlo Giorgetti sta gestendo la difficile partita con l’Abi, l’Associazione bancaria italiana. Come? Innanzitutto in punto di lessico sul tema extraprofitti: si passa da “tassa” a “prelievo” fino ad un ben più pacioso “contributo”.
Tuttavia la modifica è molto più strutturale, dato che la Legge di Bilancio dovrà passare non solo il vaglio del Parlamento italiano, ma anche di Bruxelles, il che spiegherebbe, a voler essere maligni, anche la decisione di tagliare i tassi della Bce.
Il duello è ancora in atto ma è passato dal velluto immerso nel curaro al velluto con evidenti tracce di curaro. Il vicepremier e segretario di Forza Italia è stato chiaro ma sornione “No a nuove tasse”. E se fosse un contributo?
Dta, rinvio della deducibilità
Qui Patuelli ha fatto, per parte sua, un piccolo capolavoro di accomodamento, offrendo una scappatoia che sembra avvicinare i due “poli opposti” – Lega-Fdi da un lato ed azzurri dall’altro – ma che in realtà mette al sicuro “bottega sua”. Il Mef di Giorgetti sta imburrando il pane con il rinvio della deducibilità delle Dta, cioè delle imposte differite.
L’aria è di compromesso dunque, ma resta l’assoluto bisogno di Palazzo Chigi di fare cassa per almeno 3-4 miliardi “attraverso una partita di giro contabile considerata accettabile dal fronte bancario poiché il danno sarebbe tutto sommato limitato rispetto a un vero nuovo prelievo fiscale”.
Che significa? Il quotidiano diretto da Cerasa cita un report di Equita: “Una manovra di questo tipo avrebbe principalmente l’effetto di una minore generazione di capitale da parte delle banche”. Questo grazie all’utilizzo “di un minore stock di Dta in compensazione dei crediti generati”. Tradotto? Le banche scuciranno con il format del “contributo” ma alla fine non accuseranno colpo, non in maniera particolarmente incisiva e non al punto da polarizzare lo “scontro” con il Governo.
Scappatoia tecnica… e politica
E la scappatoia non è solo tecnica, ma politica in purezza di seconda lettura, perché Giorgetti non farà la parte di chi si è dovuto rimangiare la sua linea “rigidista”. Mentre Meloni non ne uscirà come quella che promette di stare sulle barricate col popolo e poi invece spara a palle incatenate dai balconi con tende di velluto di chi il popolo a malapena lo vede.
In tutto questo Patuelli ne esce come il vero vincitore. Come quello che due mesi fa al solo sentir parlare di extraprofitti aveva suonato i tamburi di guerra e che oggi passa dalla modalità Cavallo Pazzo a quella Toro Seduto perché ha incentivato un capolavoro di capracavolismo.
Capolavoro che poggia su un dato mosntre: nel 2023 gli utili delle banche italiane sono stati poco meno di 50 miliardi di euro ed il 2024 si preannuncia anche migliore, con il costo del denaro più basso.
Utile utilissimo: 50 miliardi
Grazie al setaccio stretto della Bce che però adesso si sta allentando, spingendo gli istituti di credito ad essere più interlocutori e chiacchieranti con il Governo nazionale. Insomma, tra un “che pacchia” ed un “è finita la pacchia” la pacchia alla fine resta.
Basta cambiare lessico ed aggiustare un po’ la rotta e sono tutti felici: Meloni, Tajani, le banche e quei cittadini che, invece di vivere, si sono fatti sentinelle degli slogan dei loro beniamini. Di solito quelli che le banche le vedono solo per la vita da piccolo-medio cabotaggio. Miracoli del sovranismo applicati all’economia.