Il governatore di centrodestra riconfermato con l’8% di vantaggio su Ricci. Fratelli d’Italia primo partito, Pd giù al 22,5%. La premier Meloni al centro della dedica del vincitore, mentre il “campo largo” si lecca le ferite e promette di tenere unita l’alleanza. Ma la lezione è chiara: nelle urne, per ora, vince la stabilità più che la promessa di cambiamento.
C’è una parola che sintetizza il voto nelle Marche: continuità. Francesco Acquaroli è stato riconfermato presidente con il 52%, lasciando a Matteo Ricci e al centrosinistra il 44%. Un distacco netto, ben superiore alle attese della vigilia, che ha reso chiaro fin dalle prime proiezioni l’esito della partita.
Tre ore dopo l’apertura delle urne, Ricci ha alzato bandiera bianca, certificando una sconfitta che non è solo personale ma collettiva: il campo largo non ha sfondato, nonostante la compattezza apparente e un candidato forte di un solido consenso europeo.
Non solo aritmetica

Il dato politico più rilevante, però, non sta solo nel risultato aritmetico ma nella conferma di un trend: il vento nelle Marche, inaugurato nel 2020 con la prima vittoria del centrodestra, non è cambiato. Anzi, ha trovato consolidamento. E qui torna la chiave di lettura: continuità. Acquaroli, uomo mite, quasi dimesso nel suo stile, ha giocato la carta della normalità di governo. Ha rivendicato cinque anni di riforme strutturali – in primis sulla sanità territoriale, tema su cui pure è stato contestato – e un metodo basato sul lavoro “di filiera” con Palazzo Chigi.
Un centrodestra marchigiano compatto, senza fratture evidenti, ha fatto il resto. La dedica alla premier Giorgia Meloni, “la prima a credere in me”, non è un dettaglio ornamentale: sancisce la centralità di Fratelli d’Italia come perno nazionale e regionale, con il Partito che vola oltre il 27%, superando il Pd fermo al 22,5%.
Unità necessaria ma non sufficiente

Dall’altro lato, il centrosinistra. Ricci ha provato a costruire una narrazione alternativa, più combattiva, spesso portando nel dibattito temi globali come Gaza o i diritti civili. Ma la sua energia vulcanica non è bastata a scaldare un elettorato che ha preferito la stabilità del presidente uscente. Le piazze piene non si sono tradotte in urne piene: l’affluenza in calo di dieci punti fotografa un dato impietoso, con il campo largo incapace di mobilitare gli indecisi. “Unità necessaria ma non sufficiente”, hanno commentato i leader di Avs. La realtà è che, per ora, quella proposta non convince la maggioranza.
Per Elly Schlein e Giuseppe Conte la linea è tracciata: andare avanti con l’alleanza, testarla nelle prossime cinque regioni al voto entro fine novembre, sperare in Toscana, Campania e Puglia per segnare punti. Ma la delusione marchigiana resta. Il Pd mantiene la leadership dell’opposizione ma non il primato regionale. Il M5s scende dal 7 al 5%. Avs si attesta al 4%. Ricci, pur riconosciuto e ringraziato da tutti, paga il prezzo di una campagna generosa ma inefficace.
Acquaroli guarda al futuro

Acquaroli, dal canto suo, guarda avanti. Promette di completare la riforma sanitaria, rilancia l’obiettivo di riportare le Marche tra le regioni “più sviluppate” d’Europa, insiste sulla lotta al dissesto idrogeologico e sul rilancio infrastrutturale. Ancora una volta, sotto la regia di un governo nazionale che qui ha investito molto, dalla ZES alle risposte agli alluvionati. Il gioco di squadra, ha detto, vince sempre.
E qui sta la lezione di questo voto: gli elettori marchigiani hanno preferito la continuità alla discontinuità, la concretezza alla promessa di cambiamento. È un segnale che va oltre i confini regionali: a due anni e mezzo dalle politiche, la roccaforte di Giorgia Meloni tiene salda la linea. Chi pensava a un “effetto Marche” capace di invertire il ciclo dovrà attendere. Per ora, il vento non è cambiato. E nelle urne, la parola d’ordine resta una sola: continuità.



