Il bollettino quotidiano dell'Automotive. La situazione è seria, l'automotive cambia rotta: con premier, ex premier e vicecommissario Ue chiamati a risolvere
Le novità del giorno portano solo speranze e nessuna certezza. In mattinata Mercedes Benz annuncia il taglio delle stime per la Cina: va giù in Borsa. Subito dopo i sindacati dei Metalmeccanici Fim – Fiom – Uilm convocano per martedì 24 una conferenza stampa nella quale annunciare iniziative di mobilitazione dei lavoratori di Stellantis e della filiera automotive. Dicono che “la situazione del settore automotive in Italia e in Europa è sempre più critica e, in assenza di una netta inversione di direzione, si rischiano effetti industriali e occupazionali senza precedenti“.
Il bollettino del giorno
Che la situazione sia grave lo dicono i numeri sulla produzione. Anfia ieri ha certificato il crollo della produzione e delle vendite in Europa. Oggi lo ribadiscono anche i numeri sul netto calo la produzione giornaliera nello stabilimento della Magneti Marelli di Sulmona. Dai 1200 pezzi di furgone Ducato che erano stati confezionati a settembre 2023 si è passati ai 620 attuali. Un dato che ricalca la crisi del settore automotive e il rallentamento dell’ex Sevel di Atessa.
Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso conferma che “Nei prossimi giorni presenteremo una proposta italiana sull’automotive. Proprio ieri ha avuto il conforto e supporto dell’associazione dei costruttori europei: ha detto esattamente quello che ho proposto ai primi di settembre a Cernobbio, su cui stiamo lavorando in Europa“.
Non ci credono i sindacati. Uilm propone “una grande mobilitazione unitaria che coinvolga i lavoratori di Stellantis e di tutta la filiera“. La loro fotografia della situazione descrive “un tavolo automotive che ha peggiorato la situazione, stabilimenti quasi fermi, una produzione al minimo storico e record di cassa integrazione, il disimpegno di Stellantis dall’Italia, con l’assenza di modelli in grado di garantire l’occupazione, lo stop al progetto della Gigafactory di Termoli, la mancanza di commesse alle imprese della componentistica”.
Fiom condivide e parla sostiene che “La situazione del settore Automotive in Europa diventa sempre più critica, nel nostro Paese è concreto il rischio cessazione”. Anche Emma Marcegaglia è allarmata “Credo ci sia un tema anche di normative europee che stanno imponendo la rinuncia al motore endotermico dal 2035 a favore delle sole auto elettriche. È una scelta sbagliata“.
Il controllo delle catene di valore
Cosa attende la parte “italiana” di Stellantis dal ritrovato mezzo idillio tra Mario Draghi e Giorgia Meloni? Decisamente un piano, una rotta di salvezza e recupero che possa passare magari proprio per il merito del Rapporto dell’ex premier sull’ultima chanche per un’Europa possibile ma lontana. Ed un po’ ovvia, a dire il vero, almeno in enunciazione secondo una modalità “guru” che non rende giustizia a Draghi stesso.
La chiave sta tutta in una frase magica rannicchiata nelle 400 pagine con cui “Supermario” ha disegnato la sola Ue in grado di sopravvivere alla sua bolsa versione attuale. Lo snodo, soprattutto per l’Italia, è quello del “controllo delle catene del valore”. Cioè?
Che in un sistema complesso il dovere dei solutori di rango, cioè dei governi e dei vari livelli di controllo, è quello di creare soluzioni legiferative. Che mutino scenario di base ed incentivino mutamenti secondi. E di farlo per impedire che ciò che faccia ricchezza diventi o sterile oppure produca ricchezza foresta pur avendo domicilio dentro i confini di una data Nazione.
Salvate Cassino Plant, come a Melfi
La parola Stellantis viene talmente naturale, in un contesto tale, da essere quasi archetipo. E non di quello che i governanti italiani stanno facendo, ma di quello che gli stessi avrebbero potuto/dovuto fare e che non hanno fatto. Come ad esempio, in ordine al Lazio ed a Cassino-Plant, mettere in sicurezza il pericolante stabilimento di Piedimonte San Germano. Cosa si poteva fare?
Gli industriali di Unindustria lo avevano anticipato 3 anni fa ma nessuno li ha ascoltati. Nelle settimane scorse la Regione Basilicata ha fatto ciò che nel Lazio non abbiamo voluto fare. Con un investimento-cuscino da 100 milioni di euro per produrre energia green a disposizione dello stabilimento di Melfi: e se Stellantis vorrà usufruirne per produrre a costi ridotti, bene; se vorrà dismettere Melfi, con quella centrale lo stabilimento diventerà appetibile per chiunque voglia produrre qualunque cosa. (Leggi qui: Melfi mette in sicurezza Stellantis, Cassino no).
Ora, e senza alcuna velleità offensiva, c’è un dato. Che la Basilicata sia stata in grado di fare ombrello ad un suo spot produttivo cardine ed ai lavoratori, mentre la Regione che include la Capitale “ha fatto pippa”, come dicono proprio a Roma, un po’ impressione la fa.
“Ancora amici”: l’incontro
Ed è esattamente per questo motivo che la rinnovata friendship tra Giorgia Meloni e Mario Draghi è molto più che roba da analisti e studiosi di cinesica applicata. E’ – o potrebbe essere di fatto – un’occasione. Quella per mettere a crasi una leader che si è scrostata di dosso l’ennesima placca di sovranismo alienante ed un master and commander dell’Economia che oggi rappresenta non solo una lente di diagnosi, ma anche un totem di prognosi. Questo a volerlo mettere nell’equazione.
Da un po’ di tempo Draghi sembra una via di mezzo tra i Pooh e Ophrah: è di fatto in tour e tiene incontri con i principali player della politica e dell’imprenditoria italiana. Solo pochi giorni fa l’ex premier associato alla iconica “agenda” aveva incontrato Marina Berlusconi. Nulla di che, direbbero i più scettici: un premier che è quintessenza di competenza economico bancaria e l’erede della verve imprenditoriale del fu Cav sono di fatto accasati nella stessa casella. Quella che partendo dalle banche e per mezzo delle banche conduce dritta… alle banche.
Piacere Marina, e lancio segnali
Ma qui anche il fattore politico ha avuto un peso determinante, e la Berlusconi jr ha colto l’occasione nel conoscere di persona Draghi, anche per lanciare qualche segnale abilmente (e facilmente) fatto passare per i media. Quale? Primo: far capire alla Meloni che il Forza Italia a trazione Antonio Tajani “po’ esse piuma o po’ esse fero”, come la mano di Mario Brega buonanima. Che cioè nessuno attenta inside alla saldezza dell’alleanza di governo ma che, a volerlo, “se po’ ffà”.
Secondo: che gli arcoriani considerano Draghi il solo tester per verificare se Giorgia sia rimasta “Gioggia” o la Meloni. Cioè una sovranista di pancia o un’europeista di approdo. E qui veniamo al secondo faccia a faccia: cioè a quello che l’ex premier ha avuto con la premier attuale.
Il nuovo ruolo di Pechino
Questo nella cornice temporale del summit di Confindustria che ha visto esordire in presidenza Emanuele Orsini. Non era un test, ma ci è andato molto vicino. Il mercato Ue dell’automotive sta colando a picco ed un fedelissimo della premier, il governatore abruzzese Marco Marsilio, non ha lesinato critiche.
Obiezioni di merito ad un fantamercato – quello elettrico – che rischia di affossare il mondo del lavoro nel nome di una rivoluzione green solo concettuale. Meloni lo sa benissimo e dal palco di Viale dell’Astronomia l’ha messa un po’ “sociologgica”, un po’ concretista.
Il sunto è che quello dell’automotive non è più mercato primario. Ergo e dazi a parte, la Cina dovrebbe passare da competitor ad investor. “Dal dopoguerra l’auto è stato il tramite dello sviluppo, era un modello di vita. Oggi questo sentimento rischia di cambiare, l’auto sta uscendo dai consumi dei giovani, non è più una loro priorità” ha detto la premier esortando a fare i conti con questa realtà.
Giorgia all’incasso con Confindustria
La Meloni era fresca reduce dall’incasso di Raffaele Fitto come vice presidente della Commissione Europea, perciò molto in modalità “Ursula”. Lei e Draghi non si vedevano dal 23 ottobre del 2022, quando la campanella passata in mano alla leader di Fdi aveva sancito l’avvio della (forzosa) metamorfosi di quest’ultima. Ad invitare Meloni, che ha messo in agenda il tema-camola: il rapporto sulla competitività dell’Unione europea. Sì, ma che significa?
Che nell’otto volante delle sue due versioni, quella sovranista-nazionalista e quella europeista-moderata, la premier ha scelto la cabinetta due. E forte dell’endorsement alla von der Leyen che le ha permesso di spuntare un successo per vivere prima che agire, Meloni ha certificato la sua “nuova” rotta.
Lo ha fatto chiacchierando a casa sua con colui che di quelle rotte là è il Cartografo Massimo Ottimo. Merito di Raffaele Fitto, di uno cioè che sta a Fratelli d’Italia ed alla sua mistica ingombrante come un gallo senone starebbe ad una legione romana del I secolo d.C.
Raffaele che mette tutti d’accordo
Un ex democristiano-forzista e “fratello ausiliario”. Abbastanza fedele a Meloni da poter essere presentato come una “persona sua” ascesa nell’empireo Ue ed abbastanza lontano dall’ortodossia di destra da risultare gradito a von der Leyen.
Che così si è messa Meloni in casa ma le ha detto di indossare le pattine ogni volta che entra, azzittendo le “suocere” socialdem e Ppe.
Perché Fitto questo è: un “fratellastro” più che un fratello. Un tipo affidabile ma assente dallo stato di famiglia un po’ “equivoco” e con le foto dei bisnonni trucidi a vista sul comò. Uno che ha messo tutti d’accordo: Meloni che lo voleva, l’Ue che se lo può tenere senza passarci per “polacca” e Draghi che doveva benedire lo scambio. Magari dopo aver verificato se era alla pari. E datemi un Amen.