
La nomina di monsignor Santo Marcianò a capo delle diocesi di Frosinone e Anagni segna un cambiamento significativo dopo il lungo episcopato di Ambrogio Spreafico. Marcianò, con un approccio rigoroso e inclusivo, affronta sfide sociali ed ecclesiali complesse. E talvolta con troppa comprensione
Chi sperava in un rimpasto epocale nella diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino dovrà accontentarsi di una transizione ben calibrata. Ma attenzione: non lasciatevi ingannare dai toni ovattati del comunicato ufficiale. Perché la nomina di monsignor Santo Marcianò, che verrà annunciata domani a mezzogiorno da Papa Leone XIV, è tutto fuorché banale. Non fosse altro per il curriculum, per le polemiche silenziose (ma non troppo) che si porta dietro. E per le questioni che lascia aperte.
Il nuovo vescovo verrà nominato con la formula in persona episcopi, cioè una sola guida pastorale per due diocesi: Frosinone ed Anagni. Nessuno scorporo, alla fine il Papa ha deciso che non ci sarà nessun ritorno alla situazione precedente e però nessuna fusione formale. Come a dire: restano due diocesi ma le guida uno.
La scelta di Marcianò – fino ad aprile a capo dell’Ordinariato Militare per l’Italia – chiude l’episcopato di monsignor Ambrogio Spreafico, figura raffinata, intellettuale e dialogante, che ha segnato la vita della diocesi per quasi vent’anni, lasciando un’impronta fatta di ecumenismo, Sant’Egidio e interreligioso.
Ora però l’atmosfera cambia. Entra in scena un ex generale dell’anima. E non è una metafora.
Dal mitra spirituale al pastorale vero

Marcianò, calabrese classe 1960, ha servito come Ordinario Militare per oltre un decennio. Un ruolo tutt’altro che marginale, a cavallo tra sacrario e trincea, tra i riti della liturgia e la disciplina delle caserme. Un ruolo che ha interpretato con competenza ed anche una certa indulgenza come ricorda bene chi ha seguito le cronache vaticane meno ufficiali.
I suoi avversari gli rimproverano l’indulgenza nell’accogliere seminaristi scartati altrove, Marcianò li accoglieva con la clemenza di padre e con misericordia. Non a tutti è garbato. Forse un po’ di umana invidia per un religioso comunque in vista tra un selfie con un generale, una messa in tv e due presenze a Porta a Porta.
Non a caso, quando Silere non possum (sito ecclesiale spigoloso ma sempre ben informato) ha fatto notare che l’Ordinariato sembrava più una seconda chance che un luogo di selezione, le reazioni non si sono fatte attendere. E quando Papa Francesco ha deciso di voltare pagina nominando Gianfranco Saba, monsignor Marcianò pare l’abbia presa sul personale. A tal punto da infilare una piccata frecciata nella Messa Crismale. Da liturgista esperto qual è, sa bene che ogni gesto ha il suo significato. E in quel caso, il segnale era chiarissimo.
Promoveatur ut amoveatur?

Eppure, Roma è anche la città dei silenzi eloquenti. La nomina di domani può essere letta come una soluzione elegante a una partita complessa: da un lato, si evita di “parcheggiare” un vescovo ancora energico; dall’altro, lo si allontana da ruoli più sensibili. Ma sarebbe ingeneroso ridurre tutto a un “promoveatur ut amoveatur” travestito da promozione.
Marcianò ha una lunga storia pastorale: prima ancora della divisa, è stato formatore, docente, rettore e vescovo diocesano. La sua guida a Rossano-Cariati, nominato da Benedetto XVI, fu apprezzata. Ora è chiamato a un compito duplice e non semplice: prendere in mano una diocesi vivace e vasta come Frosinone + Anagni, dove le istanze pastorali convivono con forti aspettative sociali e civili, e farlo tenendo assieme anche la sorella Anagni-Alatri, culla di papi e di lunghe tradizioni culturali.
Spreafico, l’addio di un teologo

Il passaggio di consegne avviene con discrezione, come si conviene tra ecclesiastici. monsignor Ambrogio Spreafico, biblista di formazione e uomo del dialogo, è stato una figura di equilibrio e cultura. Nato nel 1950, docente e rettore dell’Urbaniana, ha rappresentato una delle anime più aperte della Chiesa italiana. A lui si deve molto del clima di inclusione e di confronto che ha contraddistinto la diocesi negli ultimi due decenni.
Ora però inizia una stagione diversa. Non meno profonda, ma sicuramente più concreta. Più pastorale che teologica, più logistica che contemplativa. La nomina di Marcianò porta in dote uno stile militare, ma non autoritario: rigoroso ma inclusivo. Sarà lui a dover cucire, armonizzare, orientare. E magari anche rispondere, con i fatti, a chi lo accusa di essere stato troppo “permissivo”.
Frosinone è sede comoda se si vuole stare a due passi da Roma. Scomodissima se si guarda troppo alla Capitale e meno alle esigenze di un territorio che Spreafico ha saputo accudire e bacchettare come un buon pastore. Con le gravi tematiche ambientali che il vescovo uscente ha spesso criticato e condannato, forte dell’enciclida di Francesco che accomuna il reato contro la terra al reato contro Dio. Con un contesto sociale ed industriale in fortissimo cambiamento.
Sarà subito chiaro che a Frosinone non bastano le processioni né le marce militari, servono le visioni.