
A Palazzo Chigi, il giorno dopo i risultati dei Referendum, è tutto un fervore. Il Governo discute questioni cruciali, propone, organizza. Ma sembra un racconto già letto, seppure con una copertina diversa: nessuno farà niente.
A Roma, in un edificio bianco che s’inerpica tra piazze e cupole, le luci restano accese anche quando il sole ha deciso che basta, e che la giornata può pure finire. Palazzo Chigi — che dovrebbe essere il cuore quieto del potere — batte invece come una centrale nervosa in piena allucinazione produttiva. Si lavora, si annuncia, si promette. Si balbetta di leggi, di etica, di spazio, di Irpef e di giustizia. E mentre il Campo Largo barcolla come un pugile col mento scoperto, il centrodestra marcia, agita le mani, muove carte, parla con tono grave.
La Premier chiama a raccolta ministri e sottosegretari come se dovesse ricucire il tempo. C’è Carlo Nordio con l’aria del notaio che sa già come andrà a finire. C’è Eugenia Maria Roccella che ondeggia tra la fede e la legge. C’è Maurizio Lupi che vuole mettere pace nel fisco, Antonio Tajani che sogna lo ius scholae, Matteo Salvini che grida “terzo mandato!” come un banditore medievale. Ognuno ha una ricetta, ognuno una sua orchestra da dirigere. Peccato che spesso leggano spartiti diversi.
Gli spartiti diversi dell’orchestra di Giorgia

Sul Fine vita – tema dove persino le parole pesano più dei fatti – si promette un testo “asciutto”. Si formerà un comitato etico. Si terrà conto della Consulta, ma anche delle coscienze. Il governo non decide, media. Non impone, suggerisce. Il 17 luglio si discuterà in Senato, ma già si capisce che sarà più una danza sul filo che un voto.
Nel frattempo Roberto Calderoli — il misterioso architetto del Terzo mandato che salverebbe i suoi Governatori leghisti nel Nord Est ed al tempo stesso salverebbe FdI dall’avanzata dei sindaci Dem che puntano a prendersi le Regioni — giura di non aver ricevuto input. Eppure lo si vede entrare in una stanza con Francesco Lollobrigida, Giovanni Donzelli, Maurizio Gasparri e Francesco Battistoni. Cosa si saranno detti? Poker, sicuramente. Forse anche una mano di scacchi. Di certo, Fratelli d’Italia pare avere pronto il piano: vedere le carte. E vedere poi se il Pd si autodistruggerà da solo in Campania o in Puglia, non appoggiando per il Terzo mandato i suoi governatori che sono più scomodi al mondo di Elly Schlein che al centrodestra.
Solo ammuina

Ma il paradosso di questa giornata di fervore è che tutto scorre come in un romanzo dove il lettore sa già che non succederà nulla. I decreti sono “difficili”, dice il leghista Stefani. Gli emendamenti tortuosi. I ddl, solo se resta tempo. La Conferenza Stato-Regioni? Deve essere unanime. Che significa: mai.
E mentre si discute della legge sulle auto, si cerca di parlare anche con Bruxelles. Un “non-paper” – bellissimo ossimoro, degno di una novella kafkiana – verrà spedito in Europa per chiedere soldi su tutto: Coesione, Agricoltura, Migranti, persino Spazio. Musk, ascolti: l’Italia potrebbe bussare alla sua porta.
Salvini e Tajani intanto si guardano di traverso sugli eurobond. Uno li vede come una sconfitta, l’altro come la vittoria del buonsenso. Ma si sa, in queste officine d’Italia dove si fabbricano più dichiarazioni che bulloni, anche le contraddizioni servono: alimentano il motore.
Un motore che gira a vuoto, ma fa rumore. Così da fuori sembra movimento.