
Il bipolarismo che persiste di una premier che non sa ancora bene se governare gli italiani o irridere gli avversari, ma che sa far fruttare benissimo questa contraddizione.
Nel capolavoro di Monicelli del 1981 con un Alberto Sordi talmente immenso da risultare praticamente insuperato, il protagonista marchese Onofrio del Grillo, scopre di avere un sosia da cui si fa sostituire in uno dei suoi memorabili scherzi.
Non proprio un alter ego, visto che Gasperino il carbonaro è un uomo prostrato dalla vita umile e dalle consolazioni avvinazzate. È solo un poveraccio che assomiglia sputato ad un nobile ma che di nobile non ha nulla. E che della indolente nobiltà della Roma di primo ‘800 sOtto scacco della Francia Napoleonica non rivendica nulla, soprattutto la quiescente spocchia di natali augusti.
Non ha il blasone, non ha palazzi e servitù ma alla fine si scopre capace di rimpiangere perfino casetta umilissima sua e la moglie che gli cala il badile sulla capoccia appena se ‘mbriaca.
Il dilemma: nobile o carbonara

Il senso di tutto il film, almeno da un punto di vista del “claim” assoluto, sta nella frase che il marchese, quello vero, pronuncia all’indirizzo dei bettolari con cui ama farsela dopo essere scampato, in quanto nobile, ad un arresto: “Me dispiace, ma io so’ io, e voi non siete un cazzo”.
Ecco, a voler giocare di iperbole saltando a pie’ pari dalla Roma ottocentesca all’Italia del 2025 Giorgia Meloni sta messa un po’ così. Cioè sempre in bilico tra la mistica pop di Gasperino che porta i carichi di carbone a zero welfare e quella di una nobiltà partitica, di un “marchesato destrorso” che la spinge a ricordarsi dei “natali” di Colle Oppio.
Di quelli e di un atteggiamento per cui non si sa più se la premier voglia governare o comandare. Magari togliendosi pure (più di) qualche sfizio contro avversari che hanno perculato il suo mondo per decenni.
Una “underdog” piazzata bene

Tutto parte dalla mistica tutta personale della “underdog”, un’altra delle cento cose che Meloni ha messo a registro a metà strada esatta tra verità e mito. Da ragazzina si fece largo a spallata tra situazioni familiari corrusche ed una politica tutta mascula, è vero.
Tuttavia è vero anche che Meloni, grazie a Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, è in politica di rango massimo da troppo tempo per potersi permettere fino alla fine di fare la pasionaria partita dal basso. Il problema comunque non è solo di Meloni, a cui va riconosciuta l’intelligenza di saper mediare con discreto successo tra le due istanze, è di tutto Fratelli d’Italia.
Solo che la leader-premier è, appunto, leader e premier (e molto più della somma dei suoi giannizzeri-flabellieri) e nel suo caso il fenomeno è meno nebuloso. In questi ultimi giorni ad esempio la dicotomia Onofrio-Gasperino è più evidente del solito.
Socialdemocrazia di destra
Si va dalle svisate pop, quasi socialdemocratiche, con cui Meloni è andata a toccare il tema della sicurezza sul lavoro (sembrava Landini con la parrucca) alle prove muscolari con cui è intervenuta contro la “cultura di sinistra”, il Premio Strega ed i cazziatoni a Claudio Amendola & co sul tax credit cinematografico.
Insomma, Meloni e Fratelli d’Italia non riescono ad uscire da un bipolarismo sempre più frenetico nel quale le due opzioni – governare o comandare – sembrano come i cicli del sonno. D’altronde il format è sottile e quello più basico del gradimento su Fdi parla di ascesa nei sondaggi, dove Fdi ha toccato e mezzo sforato quota 30%.
Tanto che i deputati del Gruppo hanno fatto rimbalzare sulle loro bacheche il messaggio “Gli italiani continuano a premiare la coerenza, la capacità e l’impegno di Fratelli d’Italia”. Discutibile nel merito ecumenico ma indiscutibile nella logica tiranna dei numeri, e telefonare ad Elly Schlein fuori orario di armocromista, please.
Giuli il vendicatore

Facciamo un esempio pratico perché probabilmente c’è dell’altro: Alla Cultura Alessandro Giuli sembra essere diventato una specie di Torquemada con lo jabot a fiorellini ed i favoriti di Adolfo Celi-Brooke. E tra cinema, teatri e libri sta dispensando tranvate da ciclope. Cioè colpi durissimi ed un po’ monocoli che rimandano ad Onofrio, perché più che il senso di una rotta politica danno quello di una scelta “punitiva”.
Su tutt’altro fronte invece la premier azzecca dialoghi alla Asimov con Graziano Delrio, si scopre mattarelliana ortodossa epperò si toglie lo sfizio di citare “I Cassamortari” con Claudio Amendola come modello in negativo del cinema di sinistra che vampirizza i soldi dei contribuenti con risultati da botteghino scarsi assai. Ma dimentica il caso omologo del terrificante “Albatrorss”, film caro alle smanie di riscatto della destra che ha incassato meno soldi di un calcinculo ad una festa di paese.
Insomma, da un lato la premier invoca le parti sociali e dice alle sua scalcagnate truppe di usare toni bassi, dall’altro la premier e le truppe stesse non perdono occasione per dimostrare che alla fine quelli di Colle Oppio ce l’hanno fatta.
La profezia di Arianna

D’altronde a fine dicembre 2022, tre mesi dopo che Meloni aveva conquistato Palazzo Chigi, sua sorella Arianna, in occasione del primo party di Capodanno a trazione cameratesco-istituzionale, ebbe a dire cose. Cose come questa: “(…) Auguri anche ai rosiconi che non si ricrederanno mai per puntiglio. Auguri ai nostri amici e ai nostri nemici che remano contro”.
Perché alla fine il problema è sempre stato quello: irridere i rosiconi che irrisero la destra quando la destra rosicava.
Solo che magari governare è un’altra cosa, ma ai marchesi di governare non glie ne è mai fregato nulla. Bastano il balcone di un palazzo nobiliare e quattro pigne da lanciare addosso alla plebe.