L'unità nel circolo Pd di Frosinone è lontana. Il problema non sono i veleni: fanno parte del dibattito. Ma i rancori e le vendette. Una situazione balcanica. Nella quale non c'è un maresciallo Tito ad imporre la pace.
Il caos che sta accompagnando il Partito Democratico di Frosinone verso il suo ennesimo sanguinoso congresso è quanto di più normale possa esistere. Per due ordini di motivi.
Il primo: la dialettica è il sale della democrazia. Se non c’è discussione allora non c’è nemmeno confronto tra idee diverse. Se non c’è passione nel sostenere la propria opinione allora non c’è nemmeno la convinzione in quello che si dice. Se non c’è mediazione allora non c’è sintesi politica che metta insieme le idee contrapposte facendole diventare una: quella di tutto il Partito.
Nella Prima Repubblica funzionava così. Con discussioni, spesso appassionate, accompagnate da trappole e imboscate politiche. Ma comunque si doveva arrivare ad una sintesi.
Grida, gomitate, sediate in faccia, facevano parte della comune storia quotidiana della Politica: quella che ha ricostruito il Paese e lo ha fatto diventare potenza industriale.
I ladri sono arrivati dopo (o li si è visti solo quando ha fatto comodo). Sta di fatto che nelle fogne sono stati buttati sia l’acqua lorda che il bambino, senza fare distinzione.
Il secondo motivo è figlio del primo. Nel momento in cui viene meno l’obbligo di avere una sintesi, di dover conciliare le varie posizioni perché il gioco è una specie di asso pigliatutto, in una partita nella quale ognuno gioca per se stesso, il minimo che possa accadere è lo scannamento politico. Quello al quale stiamo assistendo a Frosinone. ma che non è molto dissimile da quanto avviene in buona parte dei circoli Pd in tutta l’Italia, nelle sezioni di tutti gli altri Partiti, MoVimento 5 Stelle compreso con l’unica differenza che lì lo scansamento è telematico.
Le posizioni sono quelle che abbiamo anticipato dopo la prima vera zuffa avvenuta tra le componenti (leggi qui). In realtà le primarie non si faranno: erano solo una provocazione. Non è possibile che né Otello Mascitti e nemmeno Francesco De Angelis non sapessero che lo Statuto del loro Partito non prevede quello strumento per selezionare i segretari di Circolo. Una provocazione lanciata ed accettata proprio per provocazione. Ma che tale è rimasta.
La verità è che il circolo Pd di Frosinone, così come la Federazione provinciale, sono attraversati da una crisi Balcanica. Nella quale ci sono ormai anni di conti politici da regolare, vendette da consumare, trappole e imboscate.
Per riassumere il quadro. Gli orlandiani contano nelle loro file Norberto Venturi e Francesco Brighindi: il primo è il chirurgo e già presidente d’aula a Frosinone concupito da Francesco De Angelis che gli aveva promesso la candidatura a sindaco, salvo poi abbandonarlo alle ultime due curve prima del traguardo concedendo strada a Fabrizio Cristofari. Il secondo è il presidente del Circolo di Frosinone che ha mediato oltre ogni umana pazienza nel tentativo di tenere unite le componenti prima delle elezioni: poi ha dovuto soccombere di fronte alla chiara volontà di non trovare un accordo. Il minimo che ci si possa aspettare è che entrambi vogliano la testa di De Angelis issata su una picca, figurarsi se sono disponibili ad un accordo con la sua area orfiniana per eleggere Andrea Palladino segretario di Circolo..
Stessa musica dalle parti di Otello Mascitti e Stefania Martini, l’ala che si riconosce nelle posizioni renziane interpretate da Francesco Scalia e Nazzareno Pilozzi. Il nome messo sul tavolo per la Segreteria è quello di Valentina Calcagni ma in realtà l’obiettivo vero è
Stefania Martini. Possibilità di dialogo con gli orfiniani? Nessuna: gli imputano la sconfitta di pochi mesi fa alle Comunali e anche quella di cinque anni fa che consegnò il capoluogo a Nicola Ottaviani, togliendolo a Michele Marini.
Proprio l’ex sindaco è il grande assente in questa tornata. Impallinato sulla via della rielezione, lasciato con le bende su uno scranno dell’opposizione senza che nessuno tentasse di curare le ferite politiche per ben quattro anni e mezzo, ora ha cambiato strategia. Alle scorse Comunali non è sceso in campo, lasciando che Cristofari e compagnia votante andassero a fracassarsi. Ora se ne starà allegramente a casa.
L’unica speranza di una soluzione politica per la sezione Pd di Frosinone è quella balcanica. Quella che il maresciallo Josip Broz Tito impose per pacificare Serbia, Bosnia, Macedonia, Montenegro, Kosovo, reduci degli ustascia e dei partigiani: stabilì quote di potere e di rappresentanza che si bilanciavano a vicenda, accontentavano e scontentavano tutti nello stesso tempo, intimando: “Crescete in pace” ed il primo che derogava lo faceva ricoverare in un manicomio, perché solo un pazzo poteva volere la disgregazione della Patria.
A Frosinone nessuno vuole la disgregazione del Pd: siamo già un passo in avanti. Ma un maresciallo Tito non è a Belgrado, né a Ripi, né a Ferentino.