Quattro morti dopo le dimissioni: l’ospedale di Cassino è il grande malato

Un uomo di 79 anni muore in autostrada dopo un intervento “di routine”. È il quarto caso in sei mesi. La Procura indaga, il Consiglio comunale lancia l’allarme, ma dalla Regione nessuna risposta concreta. Il Santa Scolastica crolla sotto il peso di tagli, carenze e silenzi. Qui non è più solo cronaca: è un’emergenza sistemica che mette a rischio vite e fiducia.

C’è un uomo di 79 anni che è salito in macchina per tornare a casa, dopo un intervento chirurgico “di routine” al braccio. Non ci è mai arrivato. È morto in viaggio, mentre attraversava l’Autostrada del Sole, all’altezza del casello di Frosinone. E adesso, di lui, restano una salma sotto sequestro e una famiglia che ha sporto denuncia. È il quarto caso in sei mesi. No, non si può parlare più solo di cronaca.

Quattro morti in sei mesi. E va bene che in ospedale ci si va quando si è davanti ad un caso di urgenza e di emergenza. Ma se su quattro decessi la Procura della Repubblica apre un’inchiesta non si può più parlare solo di casi e di statistiche. Quando le situazioni si ripetono, diventano un quadro. E quello che si sta dipingendo a Cassino è a tinte fosche. È come se il sistema sanitario locale stesse gridando ma nessuno volesse ascoltare.

Morti dopo le dimissioni

L’ultimo caso è quello del pensionato Sergio Ferracci, 79 anni di Vallecorsa, dimesso dopo un intervento di routine alla spalla eseguito in Ortopedia a Cassino. Il familiare andato a riprenderlo dopo le dimissioni si è accorto che non stava bene, alla Polizia ha riferito che la situazione è precipitata mentre rincasavano, una volta arrivati all’altezza del casello di Frosinone. Lo ha portato subito al Pronto Soccorso dello Spaziani ma lì è morto.

La Procura ha aperto un fascicolo per accertare se ci sia un nesso tra la sua morte e le cure prestate nell’ospedale di Cassino. Esattamente come nel caso dello studente universitario Charles Baffour per il quale la Procura ha concentrato i suoi dubbi sul medico che lo ha curato e dimesso dal Pronto Soccorso. E per Sofja Rossi, la 31enne di Pignataro Interamna morta nello scorso luglio anche lei dopo essere stata dimessa dal pronto Soccorso. Un altro fascicolo è stato aperto nelle ore scorse per la morte di un paziente dopo essere stato operato alla prostata in una clinica di Cassino convenzionata con la Asl.

La colpa non sta sotto il camice bianco

Foto © Livio Anticoli / Imagoeconomica

Quel che accade all’ospedale Santa Scolastica di Cassino ormai ha smesso da tempo di essere un fatto isolato. È diventato un caso istituzionale, sociale e politico. Perché quando le morti si susseguono, quando le denunce aumentano, quando le barelle diventano stanze d’attesa infinite e quando le dimissioni arrivano tra i dubbi dei familiari, il problema non è solo sanitario: è sistemico.

Sia chiaro e senza ombra di dubbi: il problema non è chi indossa il camice. È che il Santa Scolastica è stato trasformato in un avamposto di prima linea ma fornito di uomini sufficienti per gestire una retrovia. I numeri forniti una settimana fa dal sindaco Enzo Salera urlano vendetta. I numeri degli accessi sono pari o superiori a quelli degli altri ospedali ma il personale è ridotto all’osso. Il problema è politico. (Leggi qui: Cassino, in Consiglio l’allarme Sanità: l’ospedale ora è il grande malato).

Enzo Salera con Alessia Savo ed Arturo cavaliere

Il problema è di una classe di politici che ha pensato solo a cambiare il manager pensando che il nuovo arrivato Arturo Cavaliere portasse la bacchetta magica e risolvesse 30 anni di tagli. È di un manager che continua a sognare di portarci tutti sulla luna quando ci basterebbe un Pronto Soccorso che funziona senza dover lavorare sotto costante stress. Da un lato i pazienti in sala d’attesa che ululano, dall’altra una Sanità che deve centrare i numeri nelle prestazioni e quindi guai se si dedica un po’ più di attenzione ad osservare il paziente.

L’urlo del Consiglio comunale

Lo ha riconosciuto anche il Consiglio comunale di Cassino che il 7 ottobre scorso si è riunito in via straordinaria proprio per parlare dell’ospedale. È stata una convocazione anomala solo nella forma, ma necessaria nella sostanza. A chiederla è stato il sindaco Enzo Salera ma il messaggio che ne è uscito è stato corale: maggioranza e opposizione, questa volta, hanno parlato una sola lingua. Quella dell’urgenza.

In Aula si è parlato delle tante criticità già note: la carenza di medici, il blocco dei concorsi, l’organizzazione dei turni, i reparti accorpati, la difficoltà nel reperire specialisti. Ma soprattutto, si è denunciata l’assenza di risposte concrete da parte della Regione Lazio. Una Regione che, dopo il cambio di guida politica, ha promesso una svolta nella gestione del sistema sanitario ma che su Cassino, finora, non ha dato segnali tangibili. Ed anche il cambio del manager Asl non ha portato ad un cambio della musica: si parla sempre di mega attrezzature capaci di fare concorrenza al Gemelli ed all’Umberto I. Ma se poi al Pronto Soccorso devono lavorare come su una catena di montaggio ed i letti per i pazienti non ci sono, diventa tutto inutile.

Il problema profondo

Il problema, però, è più profondo. Perché ciò che si respira nel Cassinate – e lo si avverte parlando con medici, infermieri, pazienti e sindaci del territorio – è una sottile ma crescente sfiducia nelle istituzioni. Quando un ospedale viene percepito come un luogo da evitare, quando si preferisce viaggiare chilometri per una visita o una diagnosi, quando anche un intervento “di routine” può diventare un rischio, allora il sistema ha fallito.

Foto © Paolo Ceccano

La morte dell’uomo di Vallecorsa, proprio come quelle di Charles Baffour e Sofja Rossi, non possono restare numeri in un’indagine giudiziaria. Sono il segnale che qualcosa si è rotto. E che serve più della solidarietà a posteriori o di una nota stampa. Serve un cambio di passo istituzionale. Serve un’assunzione di responsabilità. Serve – e non da oggi – una programmazione sanitaria che tenga conto delle province e non solo dei grandi poli ospedalieri.

Cassino non è marginale. È baricentrica per un’area vasta che va dal frusinate al confine con il Molise e la Campania. È una zona che ha dato tanto ma che oggi chiede solo di non essere lasciata indietro. Il Consiglio comunale ha fatto il suo dovere: ha acceso i riflettori, ha messo da parte le divisioni e ha chiesto un tavolo con Regione e Asl. Ora la palla è in mano a chi governa il Lazio e la Sanità laziale.

Perché la politica non è solo spot a buon mercato e non può continuare a guardare altrove, mentre qui si continua a morire.