Quella Legge Elettorale che nel Lazio semina ingiustizie

Il caso di Pasquale Ciacciarelli alle elezioni Regionali del Lazio del 2023 evidenzia i limiti della Legge Elettorale del 2017. Favorisce i Partiti più forti a discapito di quelli minori. E penalizza le Province. È necessaria una riforma urgente per garantire una rappresentanza equa ed efficiente.

Il caso emblematico porta il nome di Pasquale Ciacciarelli. Elezioni Regionali del Lazio del febbraio 2023: il candidato della Lega raccoglie 14.030 preferenze nella circoscrizione di Frosinone ma non bastano per risultare eletto. Al contrario, al suo collega di Partito Angelo Tripodi sono sufficienti 8.119 voti in provincia di Latina per conquistare il seggio in Consiglio Regionale. Il motivo? In Ciociaria la Lega ha preso il 12,31% dei consensi mentre a Latina la percentuale è stata del 12,71%. Cioè una differenza dello 0,4% nella percentuale di lista e un meccanismo elettorale che sposta i seggi come una pallina da flipper.

Questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie che dimostra quanto la Legge Regionale n. 10 del 3 novembre 2017 sia inadeguata. Scritta per “garantire rappresentanza a tutti i territori”, di fatto ha prodotto il risultato opposto: favorisce il Partito più forte della coalizione vincente – all’epoca il Partito Democratico – e penalizza i territori periferici ed i Partiti minori.

Una legge pensata male, scritta peggio

Mario Abbruzzese

A guidare la Commissione Speciale per scrivere la nuova Legge Elettorale del 2017 fu l’allora Consigliere regionale Mario Abbruzzese. Giunse ad una bozza di testo che poi fu la base di partenza delle discussioni in Aula.

Nel 2017 il Pd decise di eliminare il “Listino”, cioè la lista di 10 candidati bloccata e collegata al nome del candidato presidente. Il Governatore eletto portava automaticamente in Aula quei 10 nomi: non avevano l’obbligo di prendere nemmeno una preferenza. Viceversa, se il loro candidato non veniva eletto loro restavano a casa. Il Listino assicurava una rappresentanza territoriale bilanciata: il candidato Governatore solitamente lo componeva mettendo 5 nomi romani ed 1 per ogni provincia del Lazio. In questo modo c’era equilibrio.

Invece di correggere le storture, la nuova norma del 2017 ha spalmato quei 10 seggi tra i Partiti vincitori. Una sorta di premio di maggioranza. Il risultato? Una macchina elettorale farraginosa, romanocentrica e poco ingestibile, come denunciava già nel 2023 l’ex assessore regionale Donato Robilotta. Il caos non è solo politico ma anche tecnico. A distanza di settimane dalla chiusura delle urne, la Corte d’Appello non aveva ancora proclamato gli eletti, bloccata da una normativa che richiede calcoli complicati e correttivi incrociati tra province, resti e coalizioni.

L’effetto “idrovora” e il danno alla rappresentanza

Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica

Il caso delle elezioni 2018 è illuminante. Nessuno dei 10 seggi del premio di maggioranza andò a Rieti, Latina o Viterbo. Per garantire comunque rappresentanza in queste Province, tre seggi furono sottratti non ai resti (cioè i voti residui, quelli che restano inutilizzati dopo che i seggi sono stati assegnati secondo un criterio proporzionale) del Pd cioè il partito più votato della coalizione vincente. Vennero tolti ai partiti minori: Demos, +Europa, LeU.

Di fatto, la legge funziona come una pompa che risucchia seggi dai Partiti piccoli per consegnarli al primo della classe.

Lo stesso schema si è ripetuto nel 2023: nessuno dei sette seggi del premio di maggioranza assegnati al centrodestra è andato a Frosinone, Latina o Rieti. Per rimediare, si sono presi tre seggi da Roma (uno ciascuno a Forza Italia, Lega e lista civica Rocca) e si sono riassegnati alle province in base ai resti. Premiando di nuovo il partito più forte. Paradosso nel paradosso: Rieti, pur con poche preferenze complessive, ha ottenuto addirittura due consiglieri.

Una soluzione c’è: la lezione Toscana

Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

La Regione Toscana ha affrontato lo stesso problema nel 2014, anche lei dopo la riduzione dei Consiglieri. La sua legge garantisce almeno un seggio per provincia, ma lo fa correttamente: i seggi non vengono tolti agli altri Partiti ma allo stesso Partito che con la ripartizione li riceve. Più chiaro: devo garantire il rappresentante a Rieti, il primo dei non eletti che verrà ripescato è del Pd? Il Partito rinuncia all’ultimo dei suoi eletti su Roma, Questo preserva sia la rappresentanza territoriale che quella politica. Il Lazio, invece, ha importato l’idea senza capirne il funzionamento.

Se i Consiglieri Regionali delle Province vogliono tutelare i loro territori devono promuovere con urgenza una riforma della Legge Elettorale che superi i limiti di quella del 2017. Va riscritta con criteri più equi e trasparenti, che fissino dal principio il numero dei Consiglieri da eleggere in ogni provincia del Lazio.

Pasquale Ciacciarelli ed Angelo Tripodi

Va ripristinato un meccanismo fisso per ogni provincia, con 4 consiglieri ciascuna per Frosinone e Latina, senza toccare la quota di Roma. In questo modo verrebbe garantito che ogni provincia abbia rappresentanza reale, non virtuale o soggetta ai resti. Verrebbe corretto il premio di maggioranza, evitando che favorisca solo il Partito dominante. E verrebbe ripensata la gestione del processo elettorale, evitando lungaggini e ambiguità, anche valutando la possibilità che la Regione gestisca direttamente il procedimento invece di demandarlo al Ministero dell’Interno.

L’attuale Legge Elettorale è sbilanciata, inefficiente e politicamente scorretta. Prima viene cambiata, meglio sarà per la democrazia del Lazio. Evitando altri casi Ciacciarelli.