
L’uomo perfetto per mettere a regime l’ambiguità forzosa della premier tra Europa e Patria. E tra doveri e consenso
Le chat mistiche di Fratelli d’Italia, quelle che portano i nomi dei miti greci e dei totem tolkieniani ed in cui a volte le contumelie tra adepti si sprecano, lo davano da tempo in pole. Sempre e comunque. Per cosa? Difficile capire a fondo cosa rappresenti Nicola Procaccini per l’universo meloniano, eppure a volerci riflettere sopra la verità sta scritta in ogni parola, ogni azione ed ogni gesto dell’ex sindaco di Terracina ed oggi eurodeputato, co-presidente dei conservatori europei.
Procaccini è il “Google translate” di Via della Scrofa. E’ tutto quel che serve a Giorgia Meloni per far capire al mondo che non è lei a vivere ed incentivare contraddizioni, ma che è il mondo che è diventato contraddittorio. E che perciò a volte si deve mediare tra labaro e bandiera azzurra. Tra Patria ed Ue, tra orgoglio e necessità.
Come oggi, ad esempio, quando la premier sarà nell’aula di Palazzo Madama. In Senato Meloni ci arriverà (con Mario Draghi “presente” – ndr) per dare comunicazioni in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Quello, delicatissimo, con la guerra in agenda in attesa di arrivare alla Camera domani. Quando il momento sarà cruciale perché a Montecitorio ci sarà il voto sulla politica estera del Governo.
Tutto ed il contrario di tutto

Procaccini è un apparecchiatore formidabile: è ecologista ma contro il talebanesimo da Green Deal. Si definisce “patriota” ma conosce gli ambienti bizantini di Bruxelles e Strasburgo come le sue tasche. All’occorrenza è incazzoso come un varano di Komodo ma sa mettere in fila un lessico acconcio che saprebbe convincere Don Mazzi a farsi un rave.
E soprattutto è l’anello di giunzione perfetto fra il tradizionalismo sovranista che Meloni non può ricusare e l’innovazione cerchiobottista che Meloni non potrà mai permettersi di sconfessare.
Tenere a bada le frange incazzate
Insomma, lui era (ed è) l’uomo migliore per spiegare all’universo mondo e ad una buona fetta di frange di Fdi incazzate che sì, non si poteva fare altro che dire sì al piano Rearm-Eu di Ursula von der Leyen. E per spiegare che sì, quel nome è sbagliato, e non solo per mere questioni di fuffa lessicale, ma perché il merito della faccenda non ha molto a che vedere con i cannoni, piuttosto con l’economia.

“La Francia da sola ha aumentato gli acquisti del gas liquido dalla Russia dell’81%. Quando Trump dice che l’Europa ha dato più soldi a Putin per il gas che a Zelensky per le armi ha ragione. Quindi anziché chiamarlo RearmEu, chiamiamolo Defend Europe, poiché la pace e la libertà vanno difese non solo con le armi ma anche con infrastrutture e tecnologie”.
Non solo giravolte, ma fatti
Si è trattato di una giravolta che sa di capolavoro lessicale, ma che nessuno riuscirebbe a smentire fino alla fine. Perché poi il problema – e lo sanno tutti inclusi quelli che hanno bipolarmente riempito le piazze con Michele Serra – non è un’Europa (più) armata che possa resistere alle orde putinane affamate di roba baltica, ma un’Europa più minacciosa e consapevole.

Un sovra-sistema complesso e magari un filino più arcigno che non resti escluso dal gioco di Grandi Players che mai come oggi non stanno più a Bruxelles. Poi, a seguire, la stoccata politica, quella che sa di distinguo e che riesce, secondo una formula consolidata, a mettere Fdi nella posizione più favorevole.
Ursuliani e patrioti: difficile
Quella cioè di un partito che si “allinea” all’Europa ursuliana ma che pretende dei distinguo nel nome della sua identità e di sofismi che però fanno comunque presa su gran arte dell’elettorato che conta, quello patrio. E che alla vigilia del voto a Montecitorio non è del tutto soddisfatto dell’ennesima scelta bizantina di “Gioggia”.

“Non abbiamo votato sul piano perché il parlamento europeo era stato bypassato. Ma abbiamo votato a favore per la risoluzione che includeva il piano Rearm Eu. Purtroppo non è passato il nostro emendamento per cambiare nome al piano, visto che la difesa è molto di più di armi ma sviluppo, lavoro“.
L’allusione di Procaccini è in ordine all’esclusione del Parlamento europeo dal processo decisionale sul piano da 800 miliardi di euro “per intensificare gli sforzi a sostegno dell’Ucraina nel breve termine e garantire la sua autonomia strategica per difendersi nel lungo termine”.
Come ti invoco l’articolo 122

Questo perché la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen “ha proposto di creare un nuovo strumento finanziario, del valore di 150 miliardi di euro in prestiti ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue“. Cos’è l’articolo 122? E’ quello, normato, che consente all’esecutivo dell’Ue “di presentare un testo direttamente al Consiglio in caso di emergenza, bypassando così il Parlamento europeo”.
Una botta di parlamentarismo in purezza da parte di un esponente di un partito che in Italia è polpa di un Esecutivo non particolarmente famoso per privilegiare la discussione camerale. Ma in questo momento serviva. Serviva che lo “sherpa d’oro” Procaccini mettesse un po’ di velluto grosso sui vetri che vanno incontro ai piedi della sua leader.
Perché Nicola Procaccini è tutto quello che ogni Giorgia Meloni del mondo vorrebbe avere per sanare la sua ambiguità forzosa e non certo di dolo. E sanarla bene, o quanto meno benino in attesa delle prossime scadenze d’urna. Da noi. Dove si paga pegno a quel che attiene quel Vecchio (in)Continente che non (ri)conosciamo.