Renzi e l’addio alla fase zen di Iv, tranne che in Provincia di Frosinone

I primi 50 anni di un leader che è più del suo partito ed i primi 5 anni di mezza inerzia in Ciociaria e Cassinate

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

L’occasione è stata di quelle importanti: i suoi primi 50 anni, 20 dei quali passati a coltivare un sogno di cesarismo prog. Un orizzonte di socialdemocrazia alla noce moscata che arrivasse a superare l’egualitarismo di logorrea della sinistra italiana. Eppure la sensazione – marcata – è che che Matteo Renzi, anche al netto delle sue indubbie qualità politiche, basculi sempre tra bluff mascherato benissimo e bravura oggettiva ma perennemente incompiuta.

Soprattutto in quel terreno politico fondamentale che è il momento in cui una buona ricetta si traduce in ottimi numeri. In democrazia conta chi segue quello che dici, non quello che dici in sé; raramente è una questione di merito, è roba di camole in punta di amo.

In una recente intervista rilasciata per il suo compleanno a Il Venerdì il leader di Italia Viva incardina tutto su un concetto.

Prima affacciati, ora in piazza

Matteo Renzi (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

Quello della fine della sua “fase zen”, di un momento cioè in cui la contemplazione serena dei sistemi complessi non ha (quasi) mai dato adito all’azione decisa per mutare la struttura di quei sistemi stessi. Che è un po’ come dire in termini più papali che si è stati a guardare ciò che non si poteva cambiare.

E se da un lato Renzi spiega questa sua prima fase con i guai giudiziari da cui prima doveva uscire, dall’altro non ha spiegato bene che mentre lui faceva il bonzo a mezzo servizio il suo partito sembrava esattamente un monastero tibetano.

Semi deserto e con le bandierine garrule e meste agitate dal vento. Soprattutto in Provincia di Frosinone dove la sola azione incisiva degli ultimi 12 mesi e da un punto di vista del mainstream di Renzi & co è stata quella del tentato siluro lanciato contro la nomina in Ales di Fabio Tagliaferri di Fratelli d’Italia.

Battere un colpo: su Tagliaferri

Fabio Tagliaferri ed Alessandro Giuli

Una cosina di genesi verticistica, semi-livorosa e che a prendere i toni della mezza fuffa dopo un paio di settimane di clamore pruriginoso ci aveva messo poco. Quel tanto che era bastato per dimostrare che l’arrivo del frusinate ai vertici della società in house del Mimic non era esito di spintarella forte di Arianna Meloni, ma di valutazione serena della stessa di caselle politiche di opportunità.

Addosso all’ex consigliere comunale ed assessore frusinate oggi Presidente di Arte Lavoro e Servizi Spa era arrivata la cosa più simile ad una shitstorm in format ciociaro degli ultimi 5 anni. E Renzi, che allora fu tutto meno che bonzo, disegnò uno scenario netto.

“La vicenda dell’Ales prima o poi verrà fuori. È imbarazzante che mettano lì un consigliere comunale di Frosinone che con la cultura non ha niente a che fare ma è nella cerchia magica della Meloni. E dicono che non è il governo dell’amichettismo, pensa se lo fosse”.

Oggi, messo in frigo il curaro per il legiferato che impedisce a parlamentari e membri del governo di avere lavori retribuiti fuori dall’Unione Europea e che gli chiude la “via araba”, Renzi si dice pronto a “rilanciare sulla politica”.

Adamo dove sei

Questo magari sperando che nel furor del suo rilancio faccia un cenno – politico, non allusivo sia chiaro – anche ad Adamo Pantano, che di Italia Viva è referente provinciale per Frosinone. E che in angolatura partitica ha una scrivania che sembra un film di Carpenter, da quante ragnatele ci sono.

Le iniziative, le rotte, le prese di posizione ed il tesseramento latitano, e Ciociaria a Cassinate sono toponimo di una situazione desertica a cui sarà difficile che la sola – e indubbia – verve del “capo” e le skill del referente provinciale possano mettere rimedio. E questo anche a voler contare il lirismo dell’ex premier. Che ha parlato, riferendosi agli anni ruggenti di quando aveva percentuali, oltre che carisma, di “sentimento”. Spiegando quindi che si era aperta “una stagione di speranza, c’era l’idea che ce la potessimo fare come Paese”.

Senza dimenticare che, nell’eziologia della fine di quella stagione, c’entrarono non solo gli “errori”, ma anche il fuoco amico. In quella stagione una parte del gruppo dirigente ex Pci-Pds ha voluto perdere il Paese pur di riprendersi la Ditta. L’inizio della fine sono le trivelle e l’indagine su Tempa Rossa nel 2016″.

Il sogno, la Ditta ed il “vivaio”

Tutto condivisibile, al limite, ma il dato crudo è che il sogno attuale di Renzi cozza con quel che Renzi in questi anni ha diserbato. Il sogno è “fare di Italia Viva, un partito ucciso in culla dalle indagini Open, un’altra cosa. Trasformarlo sempre di più in ‘Italia Vivaio’, un polo che attragga i giovani e li porti ad appassionarsi alla politica”.

Solo che per definizione il vivaio è un posto dove soggetti giovani si allenano o vengono allenati per la maturità, e il sogno di Renzi, almeno in provincia di Frosinone ed oggi, appare come quello di certi allenatori che hanno panchina e squadra ma non (molto) tifo.

Le analisi su Meloni e Schlein

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Certo, le analisi su Giorgia Meloni ed Elly Schlein conservano quell’acume politico che da sempre contraddistingue il personaggio. La prima “è diventata presidente del Consiglio grazie a Enrico Letta che ha voluto dividere la coalizione, e lo resta oggi perché i 5 stelle rifiutano l’alleanza organica”.

La seconda, apprezzata con affettazione ove mai riesumasse il campo largo, perché rifiuta la logica del meglio pochi ma buoni“.

Cioè, in lessico moderno ma ancora debole, “Quel settarismo della sinistra che è il miglior alleato dell’estremismo della destra”.

Un palla al centro insomma, un po’ trito un po’ necessario, al quale manca però il nerbo imprescindibile della centralità dei territori che di quel centro dovrebbero essere nerbo.

Come in Provincia di Frosinone, dove Italia Viva sembra essere sempre più in debito di quell’aggettivo dopo il nome del Paese.