Ribollita toscana ed il suo ingrediente principale: centro chiama Elly, forte

Ragioni e torti dell’ultimo salvagente dantesco del Pd, e torti e ragioni per considerarlo un nuovo format allargato

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ok, tutto sommato è andata bene, anche se non benissimo: Elly Schlein è salva grazie al voto toscano. O per colpa dello stesso? I flutti da frangere erano amici, certo, la Toscana è di sinistra per tradizione: ma siamo sicuri che questo upgrade dia alla leader dem un’opportunità oltre che un bonus vita?

Parliamo un attimo di Eugenio Giani: è un post-socialistone della più bell’acqua transitato in un’area moderatamente mancina di contenimento vasto e la Schlein originariamente non lo voleva. Gli avrebbe preferito un suo sodale: il giovane e massimalista Marco Furfaro che ama duellare con Francesco Storace nello studio di DiMartedì.

Effetti immediati

Marco Furfaro (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

E gli effetti della vittoria “a traino” della segretaria del Nazareno sono scattati da subito. Da quando Giani ad esempio, ancora velato di sciampagna per la vittoria, ha iniziato a citare la “Toscana illuminata e riformista”, non proprio il format dell’attuale vertice di comando del Partito Democratico. Ma il dato resta, il fatto che Giani sia governatore bis in Toscana per Schlein equivale più o meno a quando Morgan riuscì a “quagliare” l’assedio di Veracruz grazie soprattutto al carisma di Pietro l’Olonese, che l’inglese corsaro odiava come lo scorbuto.

I Dem sono al 35% in una regione in cui scendere sotto quella deadline sarebbe stata scoppola e nella quale – attenzione – Fratelli d’Italia non ha affatto sfigurato, anzi.

“Quota Zingaretti”

Nicola Zingaretti (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

La potremmo chiamare “Quota Zingaretti”, quel 35%, che oggi è soglia analgesica e propositiva al contempo. Ma in questo caso è come la Tachipirina per la febbre, perché referendum, Abruzzo, Marche e Calabria hanno parlato tutt’altra lingua e dato tutt’altro esito.

Chi in un certo senso “preoccupa” ed al contempo dà sollievo alla Segretaria sono stati i socialisti. Già, quella componente della vita politica italiana via via diventata minoritaria dopo i fasti lontani del pre Mani Pulite e che però non è mai scesa sotto un certo calibro di percentuale e coerenza.

E qui il paradosso si vede tutto: il Psi si è aggiogato alla “gioiosa macchinina da guerra” di Matteo Renzi e della sua Casa Riformista.

Elly e i socialisti…

Nicola Fratoianni con Angelo Bonelli (Foto: Luigi Mistrulli © Imagoeconomica)

Ed ha contribuito a brandizzare un soggetto politico che da un lato ha permesso a Schlein di godersi la vittoria, dall’altro ne minaccia l’ortodossia. A questo punto alla leader dem il risultato moto buono di Avs di Bonelli-Fratoianni appare, in logica inside, come la sola ciambella di salvataggio per la sua linea.

Una mezza “ribollita” insomma, che potrebbe diventare format esportabile, a patto però che Schlein accetti una tagliatina di unghie.

E che i riformisti non calino la scure nelle altre regioni prossime al voto dove il semilavorato riformista di Renzi è ancora acerbo.

Lo scivolone di Giuseppe

Giuseppe Conte

Potremmo dire, restando in tema tosco-romagnolo, che la Leopolda è come Canossa e che abbiamo un Matteo-Matilde. E che Elly Schlein dovrà valutare molto ma molto bene nelle prossime settimane la possibilità di varare un campo largo assai, ma senza i distinguo cervellotici che in passato avevano allontanato il centrismo e prediletto il massimalismo.

Anche quello di un Movimento Cinquestelle che in terra toscana (e non solo) è crashato. Che forse oggi non rappresenta più l’obbligo di scelte radicali per di tenersi un alleato di peso.

E che soprattutto potrebbe aver dato un serio colpo alle mire del suo leader Giuseppe Conte di patentarsi federatore unico degli avversari di Giorgia Meloni nel 2027.