Ricci vota con Elly, Mancini e Battisti si avvicinano a Schlein

Cambia di nuovo l'orizzonte del Pd. L'area di Mancini (e Battisti) vota secondo le indicazioni di Schlein mentre l'area Franceschini (e De Angelis) si allontana. Energia Popolare (Pompeo) in posizione diversa.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Un indizio resta un indizio, due fanno una coincidenza, tre insieme autorizzano a riflettere. Il dato nudo e crudo: l’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci ha votato sulla base della linea dettata dal Segretario Elly Schlein a propostio del riarmo. Nelle stesse ore, il papa della sinistra romana Goffredo Bettini rilasciava un’intervista, dicendo: “Il riarmo Ue è un errore. Schlein fa bene a dire no”. A stretto giro di orologio, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri dichiara all’agenzia Vista: “Difficilmente avrei votato diversamente dalla linea di Partito”. Tre evidenze: che autorizzano a registrare lo spostamento dell’area di Claudio Mancini e Sara Battisti sulle posizione del Segretario Nazionale del Partito Democratico.

Finora non stavano in quell’orbita. C’era invece la componente di Dario Franceschini – Daniele Leodori e Francesco De Angelis (gli ultimi due, rispettivamente Segretario e Presidente Pd del Lazio).

L’orizzonte sta cambiando. il gioco delle alleanze inizia ad imporre scelte che cambiano il fronte e la tattica. Quelle tre evidenze allontanano l’area di Mancini (e quindi Sara Battisti) da Energia Popolare (e quindi l’ex presidente della provincia di Frosinone Antonio Pompeo). Che su molti fronti finora erano alleati. Come nel caso del burrascoso Congresso provinciale Pd di Frosinone.

Cosa succede ora? Un passo indietro per tentare di ricomporre il mosaico.

Eurospaccatura Dem

Foto © Denis Lomme / EU

La spaccatura in Europa nel voto sul riarmo lasciato addosso al Pd più di un livido. La segretaria Elly Schlein ha risposto alle richieste di confronto e congresso rilanciando: “Serve un chiarimento politico. Le forme e i modi li valuteremo“. Come a dire: non sono io che dovrò dare spiegazioni, ma gli altri. Cioè, chi ha condiviso la scelta degli eurodeputati – come Stefano Bonaccini e Pina Picierno – che a Strasburgo non hanno seguito le sue indicazioni ufficiali del Nazareno.

Il dibattito europeo ha allargato le distanze anche dal M5s. Almeno sulla carta, la bocciatura di Elly Schlein al riarmo aveva riavvicinato le posizioni delle due forze. Ma la scelta della Segretaria di puntare sull’astensione, seguita dalla “diserzione” di metà dell’eurogruppo che ha votato ““, ha permesso al presidente del M5s Giuseppe Conte di riaffilare le armi.

Abbiamo visto un Pd che si è diviso in Ue – ha detto Conte – un Partito in forte difficoltà. L’astensione è la cosa più incomprensibile. Di fronte a una von der Leyen che spreca 800 miliardi in armi, senza una difesa comune, tu cosa fai? Dici non mi pronuncio?“.

Il fronte interno

Elly Schlein (Foto: Andrea Di Biagio © Imagoeconomica)

Prima di fare i conti con i possibili alleati, Schlein deve badare alla tenuta del Partito. I riposizionamenti sono cominciati: come testimonia la scelta di Mancini / Ricci di seguire la linea del Segretario. Il prossimo passaggio è in programma martedì al Senato, quando ci sarà da presentare e da votare una risoluzione sulle comunicazioni di Giorgia Meloni alla vigilia del consiglio europeo. E quindi, quando il Partito potrebbe essere di nuovo chiamato a esprimersi sul riarmo dell’Ue, col rischio di una riproposizione della spaccatura di Strasburgo.

Elly Schlein ha ribadito la posizione: “Quando vediamo piani di investimenti sull’autonomia strategica dobbiamo parlare anche di difesa comune, che per noi è una cosa ben diversa dal riarmo dei singoli 27 Stati membri. Il coordinatore dei riformisti Pd, l’area più critica con la segretaria, non dispera di evitare una rottura bis: “Ci sarà un momento di confronto nei gruppi parlamentari. Lo dico da capogruppo in commissione prima che da membro della segreteria. Ho dato ampia disponibilità a trovare dei punti di condivisione“.

Più di un parlamentare ha chiesto a Schlein di promuovere un confronto nel Partito sulla politica estera. E già è tornata a circolare la parola Congresso. Che, viene tirata in ballo da esponenti delle fazioni sia contro sia pro Schlein. I primi a mo’ di minaccia latente di una resa dei conti, i secondi nella convinzione che da una nuova consultazione Schlein uscirebbe di nuovo vincente, e quindi rafforzata.

Riscrivere anzichè consolidare

Dario Franceschini (Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

Come riformatore Dario Franceschini è piaciuto così tanto a quelli storici della ghenga prog da finire a suo tempo in prima pagina su Il Riformista. Dalle cui colonne, assieme a quelle di Repubblica, aveva fatto capire che c’è un Pd da riscrivere e non più un Pd da consolidare. Il che, a ben vedere, è un bel segnale ma solo per alcuni. Magari non lo è per Elly Schlein, che grazie a Franceschini è arrivata al Nazareno e che sempre grazie a lui ma nella sua versione destrutturata e destrutturante oggi vive la sindrome del federatore mancato.

Di quella che proprio non lo vuol capire che col movimentismo si è ottimi amiconi ma aggregatori d’urna scarsini. Nella sua opera di smontaggio della narrazione dem per cui tutto è pronto per briscolare le destre a furia di invocare che “Meloni venga a riferire in Parlamento” Franceschini si è dimostrato per quel che è sempre stato.

Un magnete assoluto, capace di orientare ogni bussola, ma smagnetizzabile appena sentisse l’usta di un Partito che mette cattolici e pragmatismo ai margini della scacchiera a favore di new-age e gorgheggi ideologici. E tanto efficace da far incazzare, tra i tanti, Gianni Cuperlo. Che sul Domani aveva spiegato: “Di fronte a una destra globale, diciamo pure un’internazionale oscurantista che muove all’assalto di democrazia e diritti umani calpestati, rispondere con desistenze elettorali non basta più.

La tattica di Schlein silente

Che significa? Semplice, che come al solito nel Pd c’è chi invoca un de profundis per lo stato dell’arte ed un lavacro per resettare tutto. E chi invece, contento di quello stato dell’arte, parla di assassinio dei progressi raggiunti e chiede al sicario di turno di recedere.

Dal canto suo la Schlein si è imposta ed ha imposto ormai da tempo la linea del silenzio. Anche in queste ore concitate del dopo voto sulla risoluzione Rearm-Eu. Quelle che con un “10 contro 11” ha spaccato il Pd tra Riformisti e Padri Nobili che vogliono un congresso e maggioranza “eterodossa” che va per la sua strada.

Schlein più la attacchi e meno risponde, persa nella mistica tutta equilibrista di non essere lei quella che rompe i cristalli per prima. Perciò si butta in piazza, o ad una kermesse, o su un carro oppure davanti ad un microfono generalista. E sembra ignorare che anche per lei e non solo per Giorgia Meloni il 2025 ha riservato dei “referendum”.

Delle prove del nove che sono in tutto e per tutto rispondenti alla natura fratta ed a volte un po’ pazzoide di un partito che non riesce ad uscire dalla logica dell’Ikea. Quella di “monto, poi smonto e ricostruisco con la vite che mi mancava, poi rismonto perché quella vite forse e tutto sommato lì non ci andava”.

Da Prodi a Parisi, gli incastri mancati

Romano Prodi all’Assemblea Nazionale Pd (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

E il guaio è che i pezzi non sono tutti ad incastro perfetto, chiedere a Romano Prodi, Arturo Parisi o Graziano Delrio tanto per citarne alcuni, please. Quali sono i referendum su Elly Schlein? Non certo quello della politica stradaiola in cui lei eccelle, men che mai quel format un po’ anni ‘70 per cui su ogni diritto negato ci sono cento parole scolpite nella gazzosa a proteggerlo.

I “guai” di Elly li enuncia Il Fatto Quotidiano, ad esempio, e sono “Jobs Act, armi (con upgrade di Rearm-Eu), centristi, grattacieli, De Luca e ora Franceschini”. In buona sostanza e fatta la tara all’ultimo che le ha rilevate e si è fatto lui stesso guaio, sono tutte le questioni totemiche di un Pd a più crani. Un’Idra che cambia testa madre ad ogni bastonata. E che ad esempio sul Jobs Act ha idee inside differenti, come le ha tuttora e che Zelensky che ventila tregue sulle armi a Kiev o sul fatto che Vincenzo De Luca sarà pure un sultano, ma un sultano che vince.

I riflessi su Frosinone

Claudio Mancini

E’ come se Franceschini avesse via facendo esaurito la scorta di fiducia che aveva accordato alla segretaria in ordine alla sua capacità di trasformarsi da ariete in mastice. E che quindi, dopo averla lanciata, stesse suonando la carica dei catto-comunisti per dire che non potrà essere lei a federare tutte quelle anime. Lo ha capito l’ala Riformista di Claudio Mancini con Goffredo Bettini e Roberto Gualtieri: ha subito lanciato il segnale con cui far capire che in caso di uno spostamento di Elly Shlein dalle sue tradizionali posizioni ad altre più vicine alle loro, non sarebbe difficile tentare di registrare una comune sintonia.

Una situazione da gatto a nove code che, specularmente, impasse compresa, rischia di stravolgere l’attuale scenario nel Lazio ed in provincia di Frosinone. Dove AreaDem di Franceschini-Leodori ha in Francesco De Angelis quel grimaldello con cui provare a scardinare Rete Democratica dalle posizioni di vertice. S’è visto al Congresso Provinciale per ora finito nelle sabbie mobili: nelle quali sono intrappolati da settimane il Segretario provinciale uscente Luca Fantini (Mancini / Battisti / Pompeo) e lo sfidante Achille Migliorelli (Area Dem / Comitato Schlein).

Ma se adesso Mancini / Battisti sono più vicini a Schlein, mentre Franceschini / Leodori / De Angelis sono più lontanti ed allo stesso tempo Energia Popolare / Pompeo è più lontana da Rete Democratica, vuoi vedere che ci ritroviamo con Francesco De Angelis e Sara Battisti di nuovo seduti sulla stessa panchina? Chissà se faranno finta di non conoscersi.