Un vicepremier che insegue una premier ed un vicesegretario che sta dietro a vittoria e buoni risultati in Calabria
Diecimila tesserati nel solo Lazio, obiettivi chiari e molto funzionalismo nelle azioni politiche e di governo: la componente laziale della Lega sta tutta in questa silloge. Un sunto che da solo sembra rappresentare una sorta di polizza del Carroccio contro i tre fenomeni paralleli che ne costituiscono il nerbo.
Le sacche governiste concentrate al solo nord del Paese, il populismo spinto di Roberto Vannacci e, soprattutto, certe intemperanze comunicative del segretario. Mercanzia, quest’ultima, che è emerse con una certa veemenza anche nelle elezioni regionali in Calabria.
Nel Lazio invece Davide Bordoni, Pasquale Ciacciarelli, Mario Abruzzese e, soprattutto Claudio Durigon, hanno messo sempre il fatto in primato sulla narrazione.
Più fatti e meno narrazione

E che va a meta nei momenti cruciali. Partiamo dalle dichiarazioni proprio di Durigon in ordine alla vittoria del centro destra in Calabria con Roberto Occhiuto. Da quelle e da un risultato percentile del Carroccio di tutto rispetto, che mette il partito al sicuro dopo il mezzo flop marchigiano, riequalizzando i rapporti di forza con Fdi e Forza Italia.
Le riporta l’agenzia Dire: “Il buongoverno della Lega si afferma anche in Calabria, dove il partito supera il 10% e cresce soprattutto in confronto alle precedenti elezioni regionali. Sin qui emergono dati significativi: il 25% a Lamezia Terme e il 15% a Reggio Calabria, la città del ponte”.
“Gli investimenti messi in campo dal ministro Matteo Salvini vengono premiati dai calabresi. Dalla Lega e dal centrodestra passa la rinascita del Sud Italia. Buon lavoro al presidente Roberto Occhiuto e un ringraziamento alle donne e agli uomini della Lega”.
L’uomo del Carroccio al Sud

C’è un dato su cui riflettere: Durigon è il responsabile per il sud Italia della Lega, e c’è proprio lui, vicesegretario del partito e sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali, dietro questo successo. Questo perché anche al netto della seconda vittoria del centrodestra in Calabria e sul ring delle regionali di autunno-inverno, peraltro ampiamente prevista dai sondaggi, c’è qualcosa che non quadra da un po’ di tempo nella comunicazione di Matteo Salvini.
Roberto Occhiuto ha rispettato i pronostici ed ha piazzato da subito un divario incolmabile con Pasquale Tridico e con il campo largo che rappresentava? Tutto previsto, anche a contare che il centrosinistra si giocherà le briscole vincenti di Puglia, Toscana e Campania, ma il senso è un altro, ed è più subliminale.
A nessuno è sfuggita (e come sarebbe stato possibile?) la strategia comunicativa in mood elettorale del leader della Lega, che sembra essersi “involuta”.
Gli slogan del Capitano

In che senso? Semplice, quel che Salvini dice per abbrancare qualche voto in più sembra tirato via dai cassetti della memoria propagandistica dell’ultimo decennio. Slogan anti-migranti o che alludono alla questione di Gaza senza mai dimenticare la verve macellaia e terroristica (obiettiva) di Hamas non sono roba settata al top sulle esigenze di una regione che aveva ed ha ben altri problemi interni.
Eppure Salvini ha insistito fino alla fine e per uno scopo preciso quanto fallace. Inseguire Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia su un terreno che vede soprattutto la prima imbattibile, per numeri finali, appeal e criteri cinici di utilizzo.
E perché? Perché Meloni questi argomenti li “usa” esattamente per il motivo opposto a quelli per cui Salvini li arciona per battezzarsi cavaliere in purezza di una certa italianità muscolare. Spieghiamola meglio.
La tattica di Giorgia

Da tempo ormai la premier usa politica estera e questioni concettuali (vedi Ventotene, caso Al Masri etc…) come l’arma di distrazione di massa perfetta. Sollevando un caso “etico” ogni tot ed avendo tre quarti dei media a traino ed il restante in usta di casi scuola, Meloni, che sembra sempre più essere una furba di tre cotte di scuola Dc, altro che Colle Oppio, fa una magia.
Cioè fa in modo che il mainstream si sposti dai problemi interni di un Paese che ne ha tantissimi a questioni decisamente cruciali, ma che non influiscono sul vero grado di interesse-azione dei cittadini. E che soprattutto non fanno massa critica sulle loro condizioni di vita quotidiana.
In questo modo i sondaggi volano e pochissimi si concentrano sulle tare di temi come come lavoro, crisi dell’industria, tasse, iniziative mancate e stipendi bassi.
L’opposizione che “abbocca”

L’opposizione maggioritaria di Elly Schlein e Giuseppe Conte “abbocca”, insegue la false flag di turno e tutto resta come prima. Questo perché parlare della Flotilla è importantissimo, ma se parli artatamente della “Flotilla” per non far parlare dei dati Istat che bocciano ricchezza e produttività occupazionale della nazione allora hai fatto un piccolo capolavoro di maquillage politico.
Salvini tutto questo sembra non averlo capito e, in fregola di vampirizzazione di qualche voto all’alleata anziché agli avversari dell’opposizione, pare aver riesumato un lessico del tutto fuori luogo.
Spinge sulla sloganistica un tanto al chilo, si becca applausi fisiologici e se prende punti in più in più nei sondaggi è (quasi) solo perché sul terreno ci ha messo uomini quadrati come Durigon.
Abbruzzese e la defiscalizzazione

Bene fa uno come Mario Abbruzzese ad entusiasmarsi per il libro di Armando Siri “A tutto c’è un perché” presentato a Frosinone che parla di defiscalizzazione.
Questo perché il suo leader sembra ormai obnubilato da Grandi Temi Etici su cui non ha né credibilità espositiva né speranze di vedere la coda della “lepre” Meloni.
Nel voto calabrese i partiti del destra centro hanno confermato un appeal indubbio, ma sono stati quelli come Durigon a trasformare lo stesso in qualcosa di tangibile.
La corazzata Claudio

Ed indirettamente queste skill (ri)accreditano anche il “Capitano”, che a suo tempo decise di esportare il format del Carroccio anche al Sud.
E’ vero, in Calabria probabilmente ha “tirato” anche l’argomento Ponte sullo Stretto che è un po’ il mantra di Salvini, ma Durigon è stato quello che ha tradotto gli slogan in scenario pratico.
Tallonando i dirigenti territoriali, imponendo una dialettica franca e con una sola mission: evitare alla Lega un under 8% che avrebbe segnato l’inizio della Fine per il partito diffuso. Quello che Salvini sogna e che lui sta realizzando.



