
Il rinvio a giudizio della ministra che non si dimette e “l’esempio” da Unicas che dovrebbe spiegare (quasi) tutto
A gennaio del 2014 ed alla veneranda età di 91 anni morì Hiroo Onoda. A suo modo una leggenda tanto leggendaria da innescare un modo di dire. Ufficiale dell’esercito imperiale giapponese alleato bellico e membro a pieno titolo del nazifascismo, si fece quasi 30 anni nella giungla delle Filippine in totale isolamento. Restò a far danni ed a mangiare serpenti sull’isola di Lubang. Questo perché, essendo un infiltrato ed avendo ordini di sabotare tutto il sabotabile da solo e senza appoggio alcuno, non sapeva una cosa. Che la II Guerra Mondiale era finita, ad esempio, e che il suo bellicoso e militarista Paese aveva firmato la resa terribilmente incentivato da due bombe atomiche su altrettante sue città.
Ecco, fatte le dovute proporzioni ed utilizzando il senso lato di questo episodio fattosi metafora, potremmo dire che oggi l’ultima giapponese sull’isola è lei, Daniela Santanché.
Daniela che resiste

Che resiste nella sua personale “guerra di resistenza” pur essendo cessato ogni presupposto per resistere. A cosa? All’opportunità politica ed etica, non certo procedurale, di rimettere il suo mandato di Ministra della Repubblica dopo il rinvio a giudizio per il caso Visibilia. Eppure il mondo è pieno di esempi che testimoniano come nella cosa pubblica non funzioni affatto il format per cui si resta in carica fin quando non arriva la verità giudiziaria con un giudicato quanto meno di secondo grado.
Ovviamente e trattandosi di un contesto che attiene la Procedura ogni caso fa storia a sé. Ognuno di quei fascicoli ha natura, dignità, merito potenziale per tabulas e scenario penale del tutto a sé stanti. Quindi e per certi versi cumulabili in principio solo per paradigma.
Tuttavia, a voler cercare una prospettiva angolare, nella buona amministrazione della Cosa Pubblica vale sempre uno scenario che non ha nulla a che vedere con il merito della reità o meno. Quello per cui se si è sotto verifica della magistratura si dovrebbe rimettere il mandato. E farlo perché il solo sospetto che possa aver violato la legge inficia te che non molli, il tuo operato e soprattutto l’istituzione che rappresenti.
Lo scenario di opportunità

A Cassino ad esempio, dopo che Piazza Labriola aveva scoperchiato il calderone del caso “Luna Viola” e dei concorsi Tfa presuntivamente truccati a mezzo ipotetiche mazzette, uno degli indagati si era tirato indietro dalla sua casella operativa.
Perciò l’ex dirigente Unicas Massimilano Mignanelli, dopo l’applicazione di una prima misura di cautela confermata in queste ore e ben prima della fase Gup, ha rimesso il suo mandato. Senza stare a fare i pelosi sui distinguo di ruolo e fattispecie penale contestata per parte requirente vale sempre quel principio. Quello per cui, al di là delle tattiche difensive in ordine ai tre pericoli che potrebbero tenerti in misura coercitiva, se sei pubblico ufficiale e se sei nei guai è meglio che molli. (Leggi qui: Pagavano e passavano il concorso anche se “la luna è viola”. E leggi anche Top e Flop, i protagonisti di giovedì 23 gennaio 2025).
Da questo punto di vista però la titolare del Turismo pare proprio non sentirci, e sembra intenzionata a rilanciare l’ennesima palla alla premier Giorgia Meloni. Della serie io di mio non mi muovo, se qualcuno deve farlo quella sei te. Perché Santanché si ostina a fare “l’ultimo giapponese sull’isola”?
L’amicizia con La Russa

Buona parte della spiegazione risiede nel suo storico legame con il Presidente del Senato Ignazio la Russa, generale dello stesso partito di Santanché stessa e Meloni. Che alla “Pitonessa” deve il blando ma non trascurabile favore politico di essere stato da lei introdotto negli ambienti politici della Milano “bene”. Quella dei cumenda sciampagnosi o degli esegeti del “laurà” che senza la mistica leghista o di Forza Italia neanche l’avrebbe accettata, la colonizzazione dei Fratelli romani. Nelle ultime ore si era alluso ad un pranzo proprio tra Meloni e La Russa per trattare il caso della titolare del Turismo, ma Palazzo Madama ha smentito.
Quello che si sa è che i prossimi giorni vedranno entrambe le protagoniste, la ministra resistente e la premier titubante, incrociare le loro rotte in terra araba.
Lo riporta Open: “Nei prossimi giorni, dal 27 al 30 gennaio, la ministra sarà a Gedda in Arabia Saudita per il tour mondiale della nave scuola Amerigo Vespucci. Stessa tappa toccata dalla premier Meloni nell’ambito della sua prossima missione internazionale. Ma premier e ministra non si incroceranno. Stando a quanto trapela da fonti italiane, infatti, la presidente del Consiglio dovrebbe essere a Gedda sabato 25 e partire il giorno seguente alla volta di Al’Ula, dove si trova il sito archeologico patrimonio Unesco”.
Ma il programma “è in continua evoluzione e potrebbe cambiare nelle prossime ore”. Quello che invece si sa è che la data cruciale, quella in cui potrebbe scattare la tagliola meloniana, è il 29 gennaio.
La deadline del 29 gennaio

Perché? Perché a quella data la Cassazione deciderà sulla competenza territoriale, tra Milano e Roma, del fascicolo Visibilia. Specie in ordine all’ipotesi di truffa aggravata ai danni dell’Inps sulla cassa integrazione del periodo Covid-19. Ed ove il procedimento dovesse essere trasferito a Roma, come chiede la difesa di Santanchè, si tornerebbe alla fase delle indagini e “i tempi finirebbero per allungarsi sensibilmente, dando ‘ossigeno’ prezioso alla ministra del Turismo che così potrebbe congelare la sua posizione restando in sella”.
Insomma, è solo questione di timing strategico? Probabilmente la ministra conta molto su questo aspetto “tattico”, ma tiene poco conto del clima politico ed istituzionale su questa sua “resilienza” un po’ troppo sfrontata per non avere altri puntelli.
Da poche ore ad esempio, spiega il Corsera, c’è stato un summit per fare il “punto” su temi politici. Una riunione di “due ore filate tra Meloni, Lupi, Salvini e Tajani”, che avrebbe ribadito: ‘Noi siamo garantisti, finché una persona non è condannata in via definitiva è innocente’”. E ancora: “Di Santanchè, in teoria, nessuno parla. Ma la linea è tracciata: a decidere sarà Giorgia Meloni”. Solo che Meloni vorrebbe che fosse la ministra a fare il suo passo indietro e non che possa essere lei ad ordinarglielo.
La base di Fdi preme: si dimetta

Anche perché la base di Fratelli d’Italia, quella che ha sempre visto nell’ex pitonessa azzurra una pavenu, preme perché ella schiodi. E lei, la diretta interessata? “Io mi dimetto solo se me lo chiede Giorgia. Ma lei le dimissioni non me le ha chieste”.
E a chiosa belluina: “Non mi fascio la testa prima di averla rotta. Resto qui, e combatto”. Già, combatte; come l’ultimo giapponese sull’isola. Che nella giungla aveva raccolto i segreti per tenersi in vita. In guerra come in pace.