Solo una sana e consapevole de-escalation salverà il Pd da “Giuseppi”

Il paradosso del Movimento Cinquestelle che ormai ha una rotta univoca e dei Dem che invece ne hanno ancora troppe

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Giuseppe Conte ha un sogno, ce lo ha sempre avuto da quando ha assaggiato l’aria di Palazzo Chigi per due fiate, ed è il sogno omerico dei “nostoi”. Dei ritorni cioè, in particolare del suo nello stesso posto che lo vide “duellare” per il Pnrr e contro il Covid.

In questi anni perciò l’avvocato del popolo ha perfezionato un format preciso, che è quello del pacifismo senza compromessi, del green senza remore e della mistica pop senza lasciare mai che essa venga appaltata da altri.

Altri che sognano di assaltare la cittadella del destracentro al timone del Paese ma che hanno il piombo di un formato diverso a cui attenersi è più difficile, altri come il Pd. Si scrive Partito Democratico, si legge Elly Schlein ma con inchiostro velatamente simpatico e si pronuncia riformisti in almeno tre salse, un casino.

Piccoli ma compatti

Giuseppe Conte (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

Casino che sta impedendo alla Segretaria del Nazareno di scodellare una linea omogenea, che invece Conte ed il Movimento Cinquestelle hanno. Perché questa discrasia? Semplice, a pensarci bene. Conte ha approfittato della “Costituente” vinta da lui di novembre scorso e dello scontro con Beppe Grillo per setacciare un Partito più piccolo ma solido.

Un ormai ex movimento tutto in perfetto endorsement con la sua linea, senza fronde e senza sicari inside.

L’opera green di Ilaria Fontana

Ilaria Fontana (Foto: Alessia Mastropietro / Imagoeconomica)

“Con il cuore colmo di emozione, vi annuncio l’uscita del mio libro: ‘Cicatrici di terra, semi di speranza’. È un viaggio profondo tra bonifiche ambientali, memoria ferita e desiderio di cura”. E ancora: “Un intreccio di tecnica e umanità, di dolore e possibilità. Di resilienza che si fa azione”. Parole recenti ed orgoglio legittimo di Ilaria Fontana, deputata del M5s di Frosinone che è green come il suo leader. Che ha dato alle stampe un’opera che sembra settata paro paro con la concezione dello stesso, oltre che stare perfettamente nelle corde del partitoti con cui oggi Conte duetta di più: Alleanza Verdi Sinistra.

E che garantiscono a “Giuseppi” una vera e propria egemonia in ambito di opposizione su temi cruciali come la difesa e la politica estera italiane.

Il Pd di Schlein invece svacca congressi provinciali, dice e non dice, poi annaspa e si butta su termini ambigui, o comunque non immuni da una quota di ambiguità che fa il gioco di un Partito che con fronde, componenti, correnti e fazioni ci era nato.

Guai lessicali (e non solo) del Nazareno

Elly Schlein a Cernobbio (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

Quel termine è De-escalation. Sì, ma cosa vuol dire esattamente? Che pian piano le tensioni vanno aiutate a calare, certo e con atti e scelte politiche concrete ed unilaterali, e qui iniziano i guai per il Nazareno.

Perché la de-escalation è una faccenda che G7 ed Ue proclamano da tempo, mentre Schlein coltiva il sogno di accreditarsi come pasionaria rispetto ad essi, e qui è scattata la trappola di Conte. Che dai broker da fantapolitica verrebbe dato come ipotetico ministro degli Esteri di un ipotetico governo Schlein ma che invece sta pian piano isolando Schlein, portandola al largo dal suo sogno di diventare l’alternativa a Giorgia Meloni.

Come? Facendo in modo che il leaderismo “coerente” vero, quello che Conte persegue, abbia sempre come contraltare l’indecisione di un Pd bipolare. Un vero luogo fisico e concettuale dove per ogni cosa che Schlein dice o fa, spesso in contraddizione con se stessa, si materializzi la sponda cognitiva per realizzare un quadro. Quello, di lungo temine, con cui gli elettori massimalisti vedono in Schlein una che ogni tanto “si piega” ai poteri forti.

Ed in sincrono quello per cui gli elettori riformisti e moderati vedono in Schlein una che è troppo massimalista per aspirare alla guida di un Paese fondatore dell’Ue.

L’ora di scegliere

Perciò l’impressione è che sia arrivata l’ora di scegliere per la leader dem, scegliere se stare con la Nato o fuori dal suo recinto.

Se andare alle manifestazioni Pro-Pal o convocare un congresso dopo il flop referendario e chiarire una volta per tutte la linea. La sua linea.

Scegliere se nel proclamare la de-escalation lei si proclamerà atlantista che vuole un riarmo preventivo o pacifista che sente puzza di ipocrisia. Comunque scegliere, in maniera sana e consapevole.

Perché se Schlein non l’avesse ancora capito Giuseppe Conte non ce l’ha (solo) con Giorgia Meloni, ce l’ha (soprattutto) con lei. Senza rancore ma neanche senza remore.