Terzo mandato, addio. Salvini ammaina la bandiera, i governatori ribollono

La proposta di un terzo mandato per governatori e sindaci è naufragata, rivelando tensioni interne nella Lega e conflitti con Fratelli d'Italia. Salvini riconosce la sconfitta, mentre i governatori lamentano la mancanza di riconferma e il potere in scadenza.

Carlo Alberto Guderian

già corrispondente a Mosca e Berlino Est

Se ne fa nulla. La fascia da Governatore dovranno metterla nella valigia quando tra poco faranno il trasloco. E con loro anche i sindaci delle città con oltre 15mila abitanti: nessuna speranza. La norma sul terzo mandato per Governatori e primi cittadini non si farà.

Matteo Salvini l’aveva cavalcata stringendo le redini: nel Nord Est molti dei Governatori di Regione in scadenza del secondo mandato sono suoi. Poterli riproporre era un argine alle aspirazioni di Fratelli d’Italia che reclama ora quelle candidature. Niente da fare. Era partito da Capitano, ora sembra più il comandante di una nave che guarda il vento cambiare e dice: “Va bene, cambiamo rotta”.

Game Over

Luca Zaia

Il terzo mandato per i governatori? Game over. Lo dice lui. Con tono rassegnato, quasi afflitto, il leader della Lega prende atto che nessuno — a parte il Carroccio — vuole davvero questa battaglia. E allora si arrende. In automatico si ammaina anche la bandiera dei grandi Comuni con il destino dei loro sindaci: due mandati possono bastare.

Ma nel Nord, intanto, i motori si surriscaldano. Perché i Governatori non ci stanno. Non ci stanno a passare da uomini forti a numeri da archiviare. Zaia, Fedriga, Fugatti: tutti al secondo giro, tutti con la prospettiva di una porta chiusa in faccia. Il primo rintocco di rivolta è arrivato proprio da Trento, dove il leghista Roberto Fugatti ha visto la sua legge sul terzo mandato impugnata dal Governo davanti alla Corte costituzionale. “Scelta politica”, ha tuonato. E intanto ha tolto la vicepresidenza all’assessora di Fratelli d’Italia, Francesca Gerosa. Un avvertimento? Un avviso? Comunque un segnale.

Il clima tra alleati è tutto fuorché “buonissimo”, come va ripetendo Arianna Meloni per tenere la baracca in piedi. A Trento, durante il Festival dell’Economia, l’immagine era perfetta: Gerosa seduta accanto a Luca Ciriani, ministro degli Affari Regionali in quota FdI, mentre quest’ultimo dice chiaramente che due mandati bastano e avanzano. Altro che “non è un capriccio”: è una linea politica, netta. E chi rompe, paga. La frase è pesante come un macigno, e ha un destinatario preciso: Fugatti.

Se Trento piange, Trieste non ride

Massimiliano Fedriga

Nel frattempo, in Friuli, la giunta di Massimiliano Fedriga ha ballato sull’orlo della crisi per uno scontro a colpi di deleghe. Le frizioni con il ministro della Sanità regionale sono esplose e solo una mozione di fiducia dovrebbe rimettere i pezzi insieme. Ma il malessere è palese. Non è solo una questione di mandati: è la tensione per un potere che si sente congelato, non riconfermabile, quindi già in scadenza.

E Matteo Salvini? Dopo settimane in cui aveva promesso fuoco e fiamme, adesso sussurra: “Mi spiace, ma non ci sono i numeri. E se votiamo solo noi, che possiamo fare?”. Parole che sanno di resa. Il Capitano deve rassegnarsi all’evidenza di un arbitro che fischia la fine della partita mentre la sua panchina continua a protestare.

Il simbolo del conflitto

Maurizio Fugatti con Matteo Salvini

Ma dietro questo teatrino si muove qualcosa di più profondo. Il terzo mandato non è solo un tema tecnico o giuridico. È il simbolo del vero conflitto dentro il centrodestra: chi comanda davvero? Chi decide le regole del gioco? La Lega, spinta da governatori potentissimi nei loro territori, voleva una deroga alla legge. Fratelli d’Italia, oggi forza centrale, non intende concederla. Non è solo un “no” giuridico. È un “no” politico. È mettere in chiaro chi detta l’agenda. E poco conta se si porta a fondo anche la riforma del voto nei Comuni che invece avrebbe fatto molto piacere a Fratelli d’Italia.

E allora le opposizioni stanno a guardare — e incassano. Daniela Ruffino (Azione) osserva che la faglia si allarga col passare dei giorni, man mano che si avvicinano le elezioni vere, quelle che contano: Torino, Venezia, le Regionali del 2026. Perché senza terzo mandato, le caselle si liberano. E se Zaia, Fedriga, Fugatti non si possono ricandidare, qualcuno dovrà prendere il loro posto. Ed è lì che il centrodestra rischia di sbranarsi da solo.

Il paradosso è che Salvini aveva intuito il rischio. Ma non ha trovato la forza per forzare la mano. Alla fine ha scelto la via dell’equilibrismo, il “spero si ricuciano i rapporti”, il “rispetto le scelte”. Troppo poco, troppo tardi.

Così il terzo mandato muore tra le righe di un comunicato. Ma lascia aperte tutte le ferite. Nel centrodestra, nella Lega, nei territori. E soprattutto tra quei governatori che pensavano di avere ancora un giro da fare e che invece devono scendere dal treno. Magari proprio quello dell’Alta Velocità.