Tesla sapeva, la Farnesina no: lo sgarro di Meloni a Tajani e l’eco alla Pisana

Il capo della Farnesina che aveva mediato per Meloni in versione Ursula “snobbato” per il volo da Trump e le possibili ripercussioni in Regione Lazio ed in Campania

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Chiunque in queste ore pensasse che il viaggio speed and smart di Giorgia Meloni nel villone di Donald Trump in Florida sia stato scusa per un abboccamento tattico irrituale con Elon Musk sbaglierebbe. Non nel senso di aver del tutto toppato: c’erano altri temi come il caso Sala (risolto con il ritorno a casa in queste ore della gornalista) e nessuno che si chiami Giorgia oggi è immune dalle lusinghe di una chiacchierata su Star-Link con Elon. No, il senso vero sarebbe quello per cui chi si fermasse al giudizio sull’azione estera della premier avrebbe perso concentrazione.

Perché la parola chiave è “estera” ed il tema chiave non porta il nome di Elon, ma di Ndonio, per la precisione Antonio Tajani. Che è ministro degli Esteri, vicepremier ed alleato “giuringiurello” della Meloni, ma che pare di questo viaggio non sia stato messo al corrente. Insomma, c’è una chiave politica la cui lettura rimanda a certe frizioni che qui da noi avevano caratterizzato ad esempio l’ultimo semestre 2024 della Regione Lazio.

Pisana ingessata, poi rientra tutto

Francesco Rocca

Con il palazzo della Pisana ingessato in attività amministrativa per settimane proprio perché le rivendicazioni assessorili di Forza Italia nei confronti della Lega avevano messo Via della Scrofa e gli azzurri post arcoriani ai ferri cortissimi. Tutto questo prima che Francesco Rocca ricucisse uno strappo che, solo per poco, aveva minacciato addirittura ecumenicità e timing del bilancio e dei collegati regionali.

Tutto rientrato in Regione Lazio dunque, ma il pagliaccetto malevolo stavolta è “zompato” fuori a piani molto più alti. Tanto alti da coinvolgere non lo scalpitante Claudio Fazzone, ma l’olimpico segretario nazionale, il successore di Silvio Berlusconi.

Il volo di cui la Farnesina non sapeva

Che pare non sia stato informato della decisione della premier-alleata di volare fino a Mar a Lago e parlare di cose che tutto sommato a Tajani competono. Una sgroppata fuori ordinanza, quella della Meloni, che ove asseverata certifica due cose, entrambe cruciali per il 2025 dell’Esecutivo stanziato a Roma. La prima, quella per cui Meloni non sa rinunciare al suo ruolo di “master and commander” e sa rinunciare benissimo a quello di prima inter pares che l’impalcatura istituzionale italiana le assegna.

In sede official, durante la conferenza stampa di oggi con i giornalisti, la premier ha evocato la coralità dell’azione. Coralità assoluta ad esito ottenuto, ma del tutto ignorata, per la parte attinente la Farnesina, nelle ore più concitate. Ha detto Meloni: “Non è un lavoro che ho fatto da sola, ringrazio Mantovano, intelligence, il ministro Tajani, il corpo diplomatico e voi stampa. Perché sapete che la famiglia ha chiesto una sorta di silenzio stampa ho trovato atteggiamento stranamente responsabile che ha aiutato molto”.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontra a Mar a Lago il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, Donald Trump.

La seconda, meno concettuale, per cui sempre Meloni ha questa sua pulsione costante di voler far coincidere i successi (o il dinamismo nel cercarli) del Governo con quelli del suo partito. E qui si innesca un discorso molto più sottile ed infido. A parziale attenuante della premier c’è il fatto – ormai acclarato – per cui Meloni deve un po’ “fare tutto da sé” per portare acqua al mulino tolkeniano di Via della Scrofa.

Istituzione e “bottega”

Non ha quadri dirigenziali di rango medio o alto tali – in competenza e nerbo abituale – che le garantiscano inside questa mission. Perciò deve essere lei e lei sola testimonial di un partito che non ha numi minori a cui affidare il suo carisma. I sondaggi su Fdi sono sempre e solo sondaggi sulla sua leader, mai sul partito.

Anche perché alla lunga e sul fronte politico interno le ossessioni complottarde della premier hanno talmente tarantolato uomini e donne del partito che ormai in Fdi quelli che hanno skill neanche ci provano. A far cosa? Ad essere migliori del tribalismo sindacale a cui sono condannati.

Nicola Procaccini

Tanto per dirne una, oggi Meloni alla Camera e come capogruppo ha Galeazzo Bignami. Uno che in meno di sei ore era arrivato quasi a farsi “picchiare” (in un caso senza virgolette) da tutti, con le sue scalmane da caporale di giornata. Ed uno di competenza specchiata come Nicola Procaccini la “capa” ce l’ha in areale Ue ormai da tempo. Perciò fuori mano per fare risultato al di qua della Alpi.

Il domino innescato dalle Europee

Sono guai innescati anche dal domino innescato dalle Europee, dove l’avanzare dei quadri ha liberato posti in posizioni cruciali, spesso a persone non ancora “tarate” per andare oltre il malpancismo urlato. Tajani, dal canto suo, si è dovuto sorbire questo mezzo “affronto”. Ed Il Foglio ha spiegato che “secondo quanto scritto da La Stampa, la missione oltreoceano della presidente del Consiglio è avvenuta in gran segreto, tanto che nemmeno il titolare della Farnesina è stato informato. Se questo non fosse già sufficiente, ciò che rende il fatto ancor più doloroso è che dall’altra parte, quella che fa capo a Trump e Elon Musk, la visita non è stata invece trattata come un segreto da custodire”.

Che significa? Qui torniamo a Bomba, anzi: ad Elon. Che sa Tajani – un ministro a tema ed un premier in seconda – non sapeva o pare non sapesse, il Ceo Tesla in Italia Andrea Stroppa sapeva benissimo che Meloni sarebbe volata in Florida.

Stroppa che sapeva, Ndonio no

Per ore ha lanciato messaggi coi quali lasciava intendere di essere perfettamente a conoscenza della visita imminente. Stroppa aveva scritto poco prima del volo: “Rimanete collegati per grandi novità”. E non parliamo di una crepa di etichetta sanabile per quanto grossa e legata ad un format grossolano. Ma di unosmacco che Tajani potrebbe non digerire facilmente. Anche perché il tema di discussione principale era la liberazione della giornalista Cecilia Sala arrestata in Iran. Un dossier che, fino a oggi, era affidato, come è normale che sia, al capo della diplomazia”.

Cioè al capo della Farnesina. Il che porta ad una riflessione: dato che Meloni tutto è meno che stupida, anche al netto delle sue ossessioni, e dato che Tajani ha la titolarità assoluta del caso Sala, allora c’è un dato. Non sbaglia del tutto chi pensa che da Trump la premier ci sia andata “anche” per il caso sala ma principalmente per il “caso Musk”.

Nodo al fazzoletto e dove scioglierlo

Claudio Fazzone ed Antonio Tajani (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Ed a quel punto il non aver informato Tajani rappresenterebbe sempre un’indelicatezza, ma non una scoppola istituzionale. Scoppola all’uomo che in Ue aveva lavorato per conciliare il pedigree sovranista di Meloni. Sposarle con le sue mire, realizzate, di entrare in una maggioranza Ursula bis che dei sovranisti neanche ne voleva sentir parlare. Il che lascia pensare che oggi, nella tasca di qualcuno, ci sia un fazzoletto con un grosso nodo.

Fazzoletto azzurro, il fazzoletto di Tajani che a questo punto potrebbe andare a colpire e restituire il “favore” oltre che in Cdm. E proprio dove meno Meloni se lo aspetta. Nel Veneto, ad esempio, dove Forza Italia preme per un candidato azzurro che interrompa il ciclo Zaia. O a Roma, zona Pisana, oppure alle prossime Regionali in Campania.