Il potere di "far fallire le feste" del nuovo M5s perso tra fedeltà a Conte e riconoscenza a Grillo: come alle Regionali del dopo Toti
“Grillo? Un padre ha diritto a dare vita ai propri figli, non la morte”. Ormai siamo ai toni biblici in casa del Movimento Cinquestelle. “Quindi non esiste la possibilità che ci si arroghi con prepotenza il diritto di determinare un’estinzione. Il Movimento oggi è la comunità degli iscritti, al di fuori di questi esistono concezioni padronali che non si giustificano per le forze politiche”. Chi è che ha “concezioni padronali”? Gavino Ledda mise su carta “Padre padrone” e Beppe Grillo padre e padrone un po’ ci si sente.
Perciò invoca il diritto di “distruggere” quel che ha creato e di farlo in barba al funzionalismo new age di Giuseppe Conte. Questione di stipendi, opinioni sul movimento e di lessico. Lessico mutato e non più univoco da anni ormai. E calato in una realtà politica in cui i pentastellati ormai sono funzionalisti al 100%. Tanto da aver consegnato, di fatto, la vittoria a Marco Bucci in Liguria togliendo ad Andrea Orlando quell’un percento o poco meno che alle Regionali di ieri loro avevano riservato a Nicola Morra.
Questioni di idee, lessico e stipendio
Ad esempio nel 2021 Ilaria Fontana aveva idee molto chiare su quella che in annalistica verrà ricordata come la prima “crisi” del Movimento Cinquestelle. Erano i giorni dell’accordo su statuto e struttura del M5s, della cena a Marina di Bibbiona tra i due immortalata in uno scatto meno sincero di quel che ritraeva.
E di queste considerazioni social della deputata di Fosinone che, nella corsa per il Parlamento, si era lanciata oltre il nastro di fine corsa uno sputo più avanti di Mario Abbruzzese. E gli aveva tolto un seggio parlamentare dato per certo da molti, incluso lui.
In ordine alla pace fatta tra Beppe e Giuseppe Fontana la mise così: “Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno definito concordemente la nuova struttura di regole del MoVimento 5 Stelle”.
La Fontana del 2021 e cosa accade oggi
Concentriamoci su quel “concordemente”, perché di lì a pochi anni e ad oggi si sarebbe riproposto come i peperoni serali. “Il MoVimento si dota così di nuovi ed efficaci strumenti proiettando al 2050 i suoi valori identitari e la sua vocazione innovativa”. Segniamoci anche questa deadline di vita politica, quella del 2050, perché anch’essa è importante. E a chiosa: “Determinante è stato il contributo scaturito dal lavoro svolto dal comitato dei sette che Grillo e Conte ringraziano”.
Insomma, pochi anni fa, tanto pochi da sembrare un’era geologica a misurarli oggi, i guai del M5s vennero risolti da sette saggi e due leader. Fondamentalmente è vero, ma in politica ci sono letture plurime che non vanno mai trascurate. Sono letture parallele e non necessariamente divergenti da quella madre. Letture magari più “infide”.
L’addio di “Giggino” e la tempesta
Di lì a pochi mesi dalla cena della sogliola, ad esempio, Luigi Di Maio si sarebbe dimesso, testimoniando che no, i problemi del M5s erano stati solo inattivati con antinfiammatorio ma non resettati con antibiotico. L’infezione c’era ancora e, se aveva resistito, dipendeva da altri fattori. Il primo dei quali forse era che no, non era un infezione, ma un esantema necessario.
Fattori come il più essenziale e basico di tutti: chi la mollerebbe, una poltrona parlamentare, solo per assecondare le ubbie di due capoccia in urto? Ecco, arrivare ai “guai” odierni del Movimento senza partire da questa cinica ma inamovibile base cognitiva significherebbe mentire. Come sarebbe mentire non riconoscere un fatto, parallelo come quelli di prima.
Oggi che Giuseppe Conte e Beppe Grillo si apprestano ad affrontare il ring di una Costituente cruciale ciascuno ha ragioni forti che scavalcano il lato tecnico. Ricordiamolo: Grillo non vuole (ex post non voleva) che si tocchino regola del doppio mandato, simbolo e nome. Conte è aperturista verso ogni tipo di mutamento che possa tenere in vita il M5s che ha guidato da leader post-fondativo.
Addio contratto da 300mila euro
Proprio in questi giorni Conte, nel nome di un “casaleggismo” che vorrebbe far apparire l’ex comico come il solo eretico, pare abbia tagliato i “viveri” al fondatore, che però aveva inizialmente smentito via staff.
L’ex premier aveva annunciato che “sono venute meno le ragioni per una collaborazione contrattuale” con Beppe Grillo. Perciò niente astio, solo causa-effetto. Tradotto: addio contratto di consulenza da 300 mila euro con il comico. O meglio, addio rinnovo implicito nel nome di una leadership degna dei Patres romani e benvenuta risoluzione dello stesso a naturale scadenza. Conte spiega che Grillo è un “sabotatore” e Grillo il solo sabotaggio che vede è quello della condotta eretica di Conte. Un casino.
Ma ci sono altre chiavi di lettura, chiavi pregresse: ad esempio quella per cui Grillo è di fatto colui che ha preso letteralmente dal nulla un pattuglione di signor e signora Rossi. E li ha fatti diventare in un battibaleno “deputati, senatori, sottosegretari e ministri”.
Il potere di Jep Gambardella
Cioè membri di un apparato che hai voglia a dire che devi cambiarlo da dentro e che devi “aprire come una scatoletta di tonno”. E che alla fine ti risucchia a suon di soldi, benefit, mutui accesi a razzo con tassi agevolatissimi, visibilità da establishment e potere sconfinato.
Il potere sia di Robespierre che di Jep Gambardella, di decidere dove fare la festa e perfino di farla fallire, come accaduto in Liguria con l’ennesimo campo largo mancato. Insomma, il senso di quello che aveva esposto benissimo Salvatore Merlo su Il Foglio è che Grillo, come dicono dalle nostre parti, è quello che i pentastellati “li ha fatti cristiani”. Ed oggi lo ricorda con altro lessico.
E Conte? Lui, contrapposto al fondatore oggi ex Garante che per tutti è stato un vero “ascensore sociale” è quello che deve lanciare un altro messaggio. Quello per cui, se chi oggi è in sella ci vuole rimanere, deve seguire lui assieme ai suoi soldi, benefit, mutui accesi a razzo con tassi agevolatissimi, visibilità da establishment e potere sconfinato. Se Grillo era stato un ascensore Conte è il pulsante che lo deve tenere al piano giusto, piano abbastanza in alto da non far crashare tutto.
Senza iperboli sugli “ultimi arrivati”
E’ molto più che uno stallo messicano, è la prova provata che la politica è (anche) bussola esistenziale di nicchia. E che dietro ogni grande trasformazione c’è sempre la somma aritmetica delle singole istanze di un cinismo che è umano. E che non puoi mettere da parte solo perché l’immagine totemica della politica è quella che mostra la sola faccia austera del “servizio”.
Ovviamente non è da considerarsi l’iperbole di Merlo per cui oggi, chi nel M5s osteggiasse l’ortodossia del fondatore, sarebbe tacciabile di “irriconoscenza”. La politica non è un campo scout e sì, poggia su basi etiche solide (o dovrebbe poggiarci). Tuttavia sono basi tutte proiettate all’esterno, dove dovrebbero fare massa e risultato.
Però pretendere che ogni politico sia nella pienezza dei suoi comportamenti singoli solo e soltanto un sacello di morale da spargere a semente nel mondo è utopico. E disonesto in un certo senso.
La gratitudine pericolosa
Il senso perciò è un altro e paradossale. Se oggi a decidere le sorti del M5s che verrà ci sono “ex crudisti, ex abbracciatori di alberi, ex cacciatori di complotti, ex marzianofobi, ex sgominatori di rettiliani, ex disoccupati cronici, ex falliti e squinternati d’assalto”, come li definisce Merlo, la polpa non cambia. E la polpa è che nessuno dovrebbe rispondere di gratitudine eterna a nessun fondatore di sistemi complessi.
Perché la fedeltà eterna è la cosa più da Prima Repubblica del mondo. Quella per cui oggi un operaio ex Fiat oggi inguaiatissima Stellantis dovrebbe ricordarsi finché campa di portare il prosciutto a Natale al politico che lo ha fatto assumere. Anche oggi che il lavoro glielo stanno sfilando da sotto le chiappe.
E votare secondo suo diktat fin quando al voto non ci va in carrozzella. Uccidendo quella democrazia che è, invece, perseguibile proprio con il cinismo dei singoli e con la perdita di memoria etica.
Fare come sta facendo il Pd
Oggi ogni iscritto che si rispetti del Partito Democratico, portato davanti a De Gasperi o a Berlinguer, dovrebbe solo infilare la testa sotto due metri di “pozzolana”. Ma non lo fa perché è andato avanti: un po’ per il partito, un po’ per se stesso. Anche a costo di dover digerire la beffa ligure.
Come stanno facendo i Cinquestelle che non vogliono essere più “cristiani”. E che per dire che ci sono fanno fallire le feste degli altri.