Dalle doglianze contro la linea Ruspandini a quelle per la condotta di Bignami, tutto va a finire sulla scrivania della Sorella d'Italia
Le prime avvisaglie nella nuova verve “scrivana” di Fdi le si erano avute proprio in Provincia di Frosinone. Ed in più occasioni spalmate su più scenari. Quale verve? Quella che nel corso dell’ormai cassato 2024 aveva portato più esponenti del Partito di Giorgia Meloni ed in più occasioni a mettere mano alla carta intestata e digitare scritti di “fuoco”. Lettere che più o meno e nelle intenzioni denunciavano condotte da parte di quadri e/o dirigenti del Partito che i mittenti indicavano come censurabili.
A Veroli, ad esempio e nell’imminenza delle ultime elezioni amministrative, qualcuno aveva scritto per segnalare che la linea politica del presidente provinciale e deputato Massimo Ruspandini era troppo eterodossa. E che l’uomo forte del Partito di Meloni in Ciociaria stava giocando sulla scacchiera del civismo anche con strusciate, sempre in salsa civica, addosso a Partiti di centrosinistra.
Cara Sorella ti scrivo da Veroli…
Dal canto suo Ruspandini questa cosa se l’era legata al dito. Ha atteso i risultati elettorali e lasciato che a parlare fossero loro: piaccia o meno, gli elettori hanno stravotato i candidati sindaco di Veroli e di Ferentino che sono scesi in campo aggregando pezzi di centrosinistra e di centrodestra intorno ad un progetto amministrativo chiaro e garantito da un sindaco credibile. La ‘confusione ideologica‘ che sarebbe dovuta derivare dagli strusciamenti? Balle: i numeri delle vittorie a Veroli ed a Ferentino lasciano pochi spazi per i dubbi. In entrambi i casi ha contato molto la contingenza delle situazioni: per il bis si sta provando a studiare una coalizione tradizionale.
Ma in Ciociaria i dolori per il centrodestra, paradossalmente, stanno venendo proprio lì dove FdI governa con Lega e Forza Italia. Vedasi il Comune capoluogo: a Frosinone gli azzurri fanno le bizze e sono usciti dalla maggioranza.
Ed anche da Frosinone e Cassino
Le altre lettere hanno riguardato proprio un esponente di punta del Partito a Frosinone: Fabio Tagliaferri. Già vicesindaco, s’è ritrovato al timone della partecipata dal Ministero della Cultura ALeS S.p.A. Alcuni le lettere non le hanno indirizzate al Partito ma in forma anonima le hanno girate ai giornali: dogliandosi del fatto che Tagliaferri non fosse stato candidato a niente e venisse premiato con quella presidenza (più la carica di Amministratore Delegato) mentre chi aveva affrontato le elezioni era rimasto al palo. Più gustosa ancora la storia delle sue frequentazioni con i terroristi che aveva messo al Comune di Frosinone.
Balle. In entrambi i casi. Nel primo: è storia che Fabio Tagliaferri abbia compiuto un psso di lato in virtù di un accordo politico nazionale ed abbia per questo rinunciato alla candidatura come sindaco di Frosinone. Nell’autunno del 2022 era in lista per Montecitorio: gli hanno chiesto un sacrificio. A marzo del ’23 era già nell’organigramma della Giunta regionale: anche lì è stato necessario un passo di lato per questione di equilibri. Il ristoro è stato ritenuto un atto dovuto. Nel secondo. Vero che ex terroristi hanno pulito l’e erbacce dalle strade di Frosinone per conto del Comune ma l’hanno fatto su indicazione del Ministero della Giustizia nell’ambito di un accordo fatto da un altro vicesindaco (Fulvio De Santis) al quale poi era subentrato un Tagliaferri che non era Fabio ma Massimiliano.
Lettere da Cassino sono state inviate quando è stato necessario individuare il candidato sindaco nelle scorse Comunali. Messaggi al veleno (e piene di veleni) su Gabriele Picano e su Angela Abbatecola con reciproche accuse: al punto che il Circolo viene commissariato.
Le intemperanze di Galeazzo
Molte lettere dunque, o comunque un mood consolidato. Ma lettere a chi? Alla Domina cadetta ma non troppo del partito, quella Arianna Meloni che rischia ormai di diventare come la casella postale di una Iside Martufoni, di certo più morigerata del personaggio originario. Quello interpretato da Simona Marchini negli anni ‘80 ed absit iniuria verbis cento volte, ma sicuramente altrettanto impegnata a ricevere vagonate di missive.
Alla Sorella d’Italia ormai scrivono tutti nel Partito. Ed ogni volta che all’interno del medesimo qualcuno “scapoccia” tocca a lei sedare animi e/o lanciare moniti. Il caso di Galeazzo Bignami ad esempio è più di forma che di sostanza rispetto a quelli frusinati, ma altrettanto urticante, se non di più.
Recap sul personaggio: Bignami è da poco il capogruppo di Fdi alla Camera, chiamato a sostituire Tommaso Foti a sua volta chiamato come ministro a sostituire Raffaele Fitto chiamato a casa Ursula. Di Bignami si ricordano cose come la vice ministratura di Matteo Salvini ai Trasporti e l‘episodio del 2016. Quando cioè era spuntata una sua foto, scattata qualche anno prima, che lo ritraeva vestito da nazista. Il diretto interessato si era giustificato spiegando che si era trattato di “una festa di addio al celibato, una goliardata tra amici”.
Crociata contro gli assenteisti
La cosa era finita lì ed oggi, col 2025 che esordisce, Bignami è l’uomo forte di Giorgia Meloni a Montecitorio, secondo alcuni troppo forte, tanto forte e conscio della sua “forza” da essersi fatto in poche ore più nemici di una migale ad un convegno di aracnofobici. Il Foglio l’ha messa meglio con il solito, inappuntabile Simone Canettieri. “Vuole far lavorare i 117 deputati di Fratelli d’Italia che presiede. Ha modi spicci, diretti. Ce l’ha con gli assenteisti, coloro che bigiano le commissioni di competenza e si fanno sostituire”.
Ed “ha dato mandato agli uffici di farsi inviare un report dettagliato di chi c’è e chi non c’è”. Cioè? Nulla di particolare, a ben vedere, solo quelle piccole ma solide scalmane da sergente di ferro che deve essere ancor più ferreo perché la sua promozione arriva direttamente dallo Stato Maggiore. E perché quei galloni sono il segno luccicante della benevolenza dei vertici di Via della Scrofa.
O serpi in seno o tipi imbarazzanti
La solita solfa in salsa meloniana insomma, dove per timore maniacale di allevarsi serpi in seno ci si affida a giannizzeri di provata fede ma non sempre di specchiata empatia. E Bignami pare sia proprio così, un po’ come il nerd della classe che la prof lascia a scrivere i nomi di buoni e cattivi alla lavagna mentre lei va in bagno e si concede un ginseng veloce alla macchinetta.
Come tutti quelli ligi al dovere al punto da mettere al rischio il potere Bignami non si è risparmiato, ed ha fatto alcune sfuriate, tutte inside al partito ed all’alleanza di centro destra accasati a Montecitorio. “Durante la conferenza dei capigruppo (…) se l’è presa con la lentezza degli uffici nel mettere a punto i testi che sarebbero dovuti andare in Aula. Un’uscita legittima, ma dai toni abbastanza aspri”.
Il richiamo di Fontana
Tanto aspri che alla fine persino un bonzo zen come Lorenzo Fontana non si era potuto sottrarre ai suoi doveri di Presidente della Camera ed aveva convocato Bignami con un “mi segua”. Canettieri spiega che “durante il faccia a faccia, raccontano fonti di Montecitorio, la terza carica dello stato ha in qualche modo redarguito Bignami. Gli ha detto di usare modi più consoni al ruolo che ha”.
Il guaio è che Bignami si era lamentato non solo dei “suoi” parlamentari, ma anche “delle 36 ore richieste dagli uffici per mettere in ordine i testi perché in ballo c’era la manovra”. E “del lavoro di tutti i dipendenti, non solo quello dei parlamentari, di Montecitorio”. Lo stesso Foti aveva dovuto poi camomillare gli animi e telefonare a Fontana per doverose scuse.
Mezza lite con Mangiavalori
E’ finita qui? No, perché pare che sempre Bignami abbia avuto un “faccia a faccia abbastanza ‘maschio’ con Giuseppe Mangialavori di Forza Italia, presidente della commissione Bilancio. Complice la stanchezza e qualche nervosismo di troppo, il forzista avrebbe stoppato gli assalti verbali del collega di Fratelli d’Italia con parole nette: ‘Se continui così, ti butto dalla finestra’”.
Insomma, al netto di spigolosità che sono rientrate, il tipo è ostico e pare giochi a fare “er mejo fico der bigoncio”. Tanto fico che alla fine dal “bigoncio” sono partite lettere e telefonate. A chi? Ovvio, sempre a lai, ad Arianna Meloni che dovrà piallare i modi di da diavolo della Tasmania di “Galeazzo e di quel codice un po’ troppo duro, da parte di chi non ha esperienza d’Aula.
Al di là delle dinamiche interne di un partito che non deve mai e poi mai mostrare divisioni, fronte o fronti fratti resta un dato che ha rimandi storici. Rimandi che non vogliono alludere a nulla di “ereditario”, per carità, ma la Storia è così, un po’ maligna, e a volte ti mette di fronte gli esempi meno calzanti e più calzanti al tempo stesso.
Come quando illo tempore che non è il tempo di oggi per carità, qualcuno si accorse che Achille Starace forse era troppo kitsch anche per quel Pnf, in quanto ad irruenza e codina applicazione di regole troppo formali ed astruse. E sempre quel qualcuno lo fece fuori. Sempre con una lettera.