Un giornale è il suo territorio ed è lì che deve stare

La decisone di trasferire a Latina la redazione de Il Messaggero toglie a Frosinone uno straordinario presidio del territorio. Le pagine continueranno ad uscire. Ma la sensibilità di una notizia si può fiutare bene solo stando vicino ai fatti

di ALDO SIMONI

già Caposervizio de Il Messaggero
Responsabile della Redazione di Frosinone

Quando, per la prima volta, varcai quel portone, nero e austero, fui investito da una nuvola di fumo. Fumavano tutti e senza sosta: sembrava l’ingresso di un girone Dantesco o forse era l’impressione che faceva a me, non avendo fumato mai nella vita. In fondo al corridoio, dalla stanza del caposervizio, riecheggiava una sfilza di improperi e grida. Era lì, in quell’appartamento al terzo piano di Corso Repubblica 67 – con l’insegna traballante su cui era scritto “Il Messaggero” – che si litigava per un articolo, per un commento, per un’intervista. Ma c’era poco da fare: l’ultima parola – quella del caposervizio – chiudeva sempre ogni discussione; poi, di corsa, in Questura, in Consiglio Comunale, in Ospedale… per raccogliere le notizie.

Era una scuola severa, ma rigorosa e puntuale. E lì si sono formati giornalisti come Maria Rita Grieco (oggi vice direttore del Tg1), Raffaella Regoli (Mediaset), Fabiana Della Valle (Gazzetta dello Sport). E ancora: lì sono cresciuti Alessio Porcu (Teleuniverso), Francesca Coppola all’epoca ventenne da Cassino che nascondeva la timidezza dietro un cespuglio di capelli neri e dopo pochi anni è approdata alla Rai a Napoli. E il sottoscritto Aldo Simoni (Corriere della Sera).

In quella redazione passavano tutti

Angelo Cristofari nel 1960

Magari solo per un saluto: ma in quella Redazione passavano tutti. Dovevano. Il posto dove nasceva l’edizione di Frosinone del Messaggero era la chiesa secolare in cui si componeva la liturgia dell’indomani per tutti coloro che avrebbero cominciato la loro giornata con una preghiera laica al mattino.

L’allora sindaco Angelo Cristofari (1990) prima di entrare in Consiglio comunale saliva al terzo piano per carpire gli umori della città. Abitudine che avevano anche Miranda Certo, Giuseppe Marsinano e Lucio Valle. Perché il Messaggero aveva la rubrica delle lettere in cui la città si raccontava, si lamentava, si celebrava: a seconda dei casi. Ed aveva a dirigerlo un Caposervizio collerico ma di spessore, ruvido ma leale: capace di dialogare con il potere senza lasciarsene contaminare.

Roberto Turriziani (Foto: Carlo Carino / Imagoeconomica)

Per questo passavano anche i presidenti di Confindustria (Roberto Turriziani) e della Camera di Commercio (Augusto Pigliacelli). Il colonnello Gilberto Murgia un giorno ci trovò il consigliere economico del Ministro delle Finanze, passato a spiegare le prospettive sui finanziamenti per le caserme italiane; scoprì così che Frosinone avrebbe ottenuto i finanziamenti per la ristrutturazione. Prima di trasferirsi da Frosinone al Comando dei carabinieri responsabili della sicurezza del Senato (1998), fece parcheggiare il suo autista accanto al portone della Redazione e salì con un mega vassoio colmo di pasticcini, tutti tipici della sua Terra, la Sardegna, di cui (nel 2004) prese il comando regionale.

Il posto dove sapere la città

Il ministro Dante Schietroma

L’allora senatore Dante Schietroma., nonostante i suoi impegni di Governo (ex ministro ed ex presidente della Commissione Aldo Moro) voleva avere tutte le notizie sulla sua città, sui progetti; ma era avido anche delle indiscrezioni, dei commenti.

Esattamente come lo era l’allora principe del foro, l’avvocato Fabrizio Pagliei.

Erano anni nei quali non esisteva l’informazione locale inventata nei decenni successivi da Giuseppe Ciarrapico. Le televisioni locali erano il prodromo di ciò che sarebbero diventate in futuro.

Pigiare sulla telescrivente

Ecco, questa era la Redazione del Messaggero di Frosinone: un gruppo di professionisti che “consumava le scarpe” e che, nel pomeriggio, sul tardi, iniziava a scrivere sulle telescriventi. Una tastiera che, ad ogni battuta, incideva un nastro azzurro che era l’articolo del giorno dopo. E dove (avendo inciso il nastro con una serie di forellini) era impossibile fare correzioni.

Il sistema di videoscrittura Olivetti

Quando, nei primi anni ’90, arrivò una Olivetti da videoscrittura con tastiera e schermo da 20 pollici (dove – finalmente – si potevano fare le correzioni) ci fu la svolta. I tempi per scrivere un articolo si dimezzarono perché non avevi più l’incubo di scrivere senza refusi. Furono i primi anni in cui tecnologia cominciava a modificare la nostra giornata, ma il metodo di lavoro era sempre lo stesso: perché lo spazio a disposizione era di poche pagine, i centimetri di testo si contrattavano col sangue. E non potevano essere sprecati. Per questo, mai pezzi banali, inconcepibile la cronaca senza particolari, da scomunica la bianca senza commenti.

Chi non riusciva a sostenere questi ritmi, andava a casa. Non era facile, una palestra difficilissima perché selettiva. Quello che veniva scritto a Frosinone, la sera stessa passava al vaglio del Capo delle Regioni a Roma. E se aveva dubbi, chiedeva conto davanti a tutti l’indomani mattina alle 10, nel corso dell’audioconferenza con i Capi delle Province (in 6 collegati sulla stessa telefonata, cosa fantascientifica per quei tempi). Per questo solo i più tenaci sono riusciti a fare strada.

Fotografi, una specie a parte

E che dire dei fotografi… Una specie a parte, capace di qualunque scorrettezza pur di avere la foto che raccontasse la notizia. C’è poco da aggiungere alle splendide pagine che su questo sito ha scritto qualche tempo fa il Direttore Alessio Porcu in occasione della scomparsa di uno degli ultimi grandi fotoreporter del territorio, Lino Palmesi (Leggi qui: L’ultimo scatto di Lino Palmesi, professione fotoreporter).

Al Messaggero, per un’intera stagione, le foto poi le ha procurate il fratello Edoardo Palmesi. Bastava un fischio, nel borsone aveva sempre la sua fedele Canon con il 35 millimetri luminosissimo e decine di rullini smozzicati che all’epoca non si buttava mai niente. Il mistero che la scienza non ha mai spiegato è come si tenesse tutta insieme la sua scassatissima Renault: ma ci arrivava dappertutto. Talmente scalcagnata che una volta a San Vittore del Lazio lo inseguirono i carabinieri: era andato a scattare le foto di una banca e dall’interno lo presero per un rapinatore andato a fare il sopralluogo.

I fotografi di cronaca erano quelli che davano spesso il giudizio definitivo sulle decine e decine di giovani aspiranti corrispondenti: meteore. Il primo ostacolo era rispettare le regole e i metodi, rudi e burberi, del Caposervizio. Il secondo era sopravvivere alle uscite con i fotografi: che avendone viste tante fiutavano subito se il ragazzo era troppo timido, impressionabile, condizionabile…

Pochi sono sopravvissuti. Tra loro il giovanissimo Alessio Porcu: veniva da una breve esperienza a “Il Tempo”. Capii subito che aveva la stoffa e lo inviati a salire in Redazione per un colloquio. Sopravvisse anche alla Renault di Palmesi: nel giro di un paio di anni divenne il corrispondente più affidabile e credibile di tutto il Basso Lazio.

Ogni giorno 11mila copie

da sinistra, seduti: Alessandro Salines, Luciano Di Domenico, Achille Iafrate. In piedi: Paolo Romano, Alessio Porcu, Roberto Pontiroli Gobbi, Luciano d’Arpino, Daniela Robles, Edoardo palmesi, Aldo Simoni, Maurizio Di Rienzo (Clicca per ingrandire)

Nei primi anni 2000 ho diretto e guidato una squadra di giornalisti che hanno fatto la storia di questa professione in Provincia. Quasi tutti erano figli di quella ‘Cantera‘ che era la redazione di Frosinone de Il Messaggero. Con questa squadra il nostro giornale vendeva, nel frusinate, 11 mila copie al giorno. Era il giornale per antonomasia: perché era credibile, affidabile, completo. Anche l’ultimo dei corrispondenti era tenuto a rispettare delle regole non scritte di condotta e di etichetta.

Il tempo ha imposto nuovi modelli. Chi li ha dovuti interpretare lo ha fatto nella maniera scolasticamente più precisa. Dimenticando però un fattore che fu la chiave dell’Epopea del Piave: a distanza di pochi giorni dalla Disfatta di Caporetto quegli stessi fanti sbandati si trasformarono in leoni. Che sbaragliarono gli Austroungarici.

La differenza stava nel fatto che sul Piave quei soldati erano schierati a difesa della loro terra. Per anni le sorti della redazione di Frosinone sono state affidate a colleghi catapultati in Ciociaria e che per questo erano portatori di altri valori, esperienze, principi. Una terra, per raccontarla, bisogna conoscerla. Il Mattino di Napoli ebbe a dirigerlo un professionista di rara levatura come Sergio Zavoli che fece uno straordinario prodotto: ma privo della sua matrice di napoletanità che lo faceva piacere ai napoletani. Anche per questo, l’emorragia di copie a Frosinone è stata graduale, fino a rendere inevitabile la chiusura degli uffici.

Tutto a Latina

La gloriosa redazione de “Il Messaggero” di Corso della Repubblica ha le finestre sbarrate da un pezzo. La storia si è trasferita in via Aldo Moro. Da oggi ha cessato le sue funzioni. Il centro decisionale è stato spostato a Latina: le pagine continueranno ad uscire ma confezionate da lì. Seguendo un destino che negli ultimi anni ha portato a Latina la Camera di Commercio, la Commissione Tributaria, Coldiretti ed i sindacati. (Leggi qui: Tutti via da Frosinone, anche la Tributaria ed Il Messaggero).

Ed ora si porta via anche i ricordi di quella che fu una straordinaria stagione.