Uniti a Genova e divisi su Gaza: il campo largo “flexible” alla Tafazzi

Lo strano caso di un centrosinistra che riesce a vincere se unito ma che non rinuncia a dividersi in tempi record invece di consolidare un format su una grande questione etica

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La botta mezza agiografica di Francesco “Frank” De Angelis dopo il terremoto elettorale a Ceccano che aveva consacrato Andrea Querqui sindaco ed il ritorno della sinistra alla guida della “Contea” ci era stata tutta. “A Ceccano e ovunque in Italia il centrosinistra unito riaccende la speranza nei cittadini e nelle cittadine. Il risultato di Ceccano è straordinario, restituisce dignità e valore a un territorio ferito. Andrea è il Sindaco della gente, saprà amministrare con generosità e competenza, insieme alla sua coalizione piena di risorse inestimabili”.

“Andrea è la forza di una comunità che oggi si è rialzata”. Benebravobis, e soprattutto saggiamente nuncio di un dato ineccepibile. Dato che rimandava dalla Stalingrado ciociara ad un capoluogo di regione come Genova.

Dove pure era arrivata una sindaca che, a seconda delle chiavi di lettura, può essere considerata una indipendente di sinistra o, come aveva scritto Il Giornale, “l’ultima Papessa del Pd”.

Il pugile che finalmente “mena”

Silvia Salis (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Ma il contesto della prima tornata delle ultime amministrative quello è: il centrosinistra diventa un pugile capace di dare cazzotti micidiali e, a volte, risolutivi, quando esso diventa concrezione numerica del cosiddetto campo largo. Largo o larghissimo, a contare che in realtà e fatta la tara a splendide realtà civiche determinanti ad esempio su Ceccano, dare scoppole al centrodestra è molto più facile se della partita comune sono anche Italia Viva ed Azione.

Questo era il preambolo ed il dato cardinale, con un messaggio uscito dalle urne che mediamente diceva “signori miei federatevi e fatelo con continuità da format ché sarete sempre o competitivi assai o addirittura vittoriosi”.

Poi però, passata Genova (come archetipo) è arrivata (c’era sempre stata, purtroppo) Gaza. Premessa: gli orrori che si stanno consumando in quella striscia di terra a sud est di Roma non sono sindacabili nella purezza agghiacciante della loro epifania, tuttavia la politica è anche altro dalla morale.

Morale, politica e stramberie

Foto © Andrea Apruzzese

E’ un modo, involontario per carità, per “usare” anche le brutture del mondo come cartina di tornasole delle stramberie delle sue parti più bizantine. Ed in quanto a stramberie alla Tafazzi il centro sinistra italiano non è secondo a nessuno. Tanto da aver inaugurato il secondo, o terzoquarto, modello di Campo Largo: quello “flexible”.

Come nel celeberrimo album di Steve Vai nel quale i virtuosismi da shredder del chitarrista ad un certo punto diventano talmente intorcinati che ti viene voglia di andare a casa sua, bussare e fargli saltare una capsula col portacassette anni ’80. Non perché non sia immenso, ma perché ha deciso di essere immensamente immenso, cioè palloso ed inutile.

Il dato è che sul tema Gaza il campo largo che aveva dimostrato di essere vincente si è diviso.

Divisi subito dopo

Carlo Calenda (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Non solo su questioni cardinali, ma anche su pelosità. Su faccende che non solo non fanno bene all’ecumenicità che dovrebbe appartenere alle empatie vere sugli orrori, ma che ammalano le speranze di una rotta omogenea che a livello politico italiano battezzi un format vincente sempre, non a tratti.

La chiave di volta sta tutta in Azione di Carlo Calenda ed in Italia Viva di Matteo Renzi, che il 6 giugno terranno una manifestazione a Milano, mentre a Roma il 7 ci sarà quella di Pd, Avs, M5s.

E parlando di Renzi in particolare, nel senatore fiorentino si ravvisa una nuova esigenza che ha messo bene a registro Mario Lavia su LInkiesta.

Cosa ha in mente Renzi

“Va colta la novità di un Renzi che per la prima volta da tempo si smarca platealmente dal trio Schlein-Conte-Fratoianni: lo fa ovviamente perché c’è una questione di merito su un problema epocale come quello della guerra tra Hamas e Israele e le sue conseguenze terribili che il mondo sta vedendo con costernazione.

Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Poi il core politico e strategico: “Ma forse lo fa anche perché Italia Viva ha bisogno di cominciare a caratterizzarsi nel centrosinistra, pur non mettendo in discussione la sua appartenenza a quel campo. Soprattutto se, come pare, si va verso l’eliminazione dei collegi uninominali, Renzi ha bisogno di superare quello che sarà lo sbarramento (tre per cento?) e dunque di correre con un suo profilo riconoscibile”.

Al di là delle singole esigenze il dato però è un altro, ed è quello di un centrosinistra che una settimana dopo aver avuto la prova provata della sua potenza di fuoco ha deciso di cedere alle grandi pulsioni ideologiche dei suoi leader.

Gli assi di Conte e Schlein

Giuseppe Conte (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

E se Giuseppe Conte è più o meno leader ecumenico di un partito che deve dare stoccate sul pacifismo in purezza (anche sul fronte Kiev-Mosca) Elly Schlein è leader parziale di una parte del Nazareno che non deve cedere rispetto al suo elettorato.

Che però per parte maggioritaria non è del Pd e che potrebbe non fare massa in futuri cimenti elettorali, o che potrebbe farla ma a discapito dei voti dei riformisti dem, che infatti hanno salomonicamente (cioè paraculescamente, ed hanno fatto benissimo) vogliono andare ad entrambe le manifestazioni.

Elly Schlein (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

E se su Genova todos caballeros ma su Gaza ognun per sé allora vuole dire che il centrosinistra italiano non ha capito due lezioni.

Quella morale su un posto che non ammette tattiche e quella pratica su una Nazione che non ammette fratture part time. Perché su quelle e sull’astensionismo il centro destra ci campa, e rischia di camparci cent’anni.