Il caso delle assoluzioni per il voto di scambio a Piedimonte San Germano. Non c'è prova a carico dei politici che avrebbero promesso posti di lavoro in cambio dei voti. Ma c'è a carico di quelli che hanno accettato. E due elettori sono stati condannati. Perché è così
Il sindaco di Piedimonte San Germano Gioacchino Ferdinandi non ha promesso posti di lavoro in cambio dei voti con i quali è stato eletto sindaco nel 2018. Lo ha detto il magistrato dell’accusa che ha indagato su di lui, chiedendone l’assoluzione; lo ha certificato il tribunale di Cassino, assolvendolo.
Che a promettere qui posti di lavoro allora siano stati il suo vice Leonardo Capuano, l’ex sindaco Vincenzo Nocella e l’imprenditore Piero Varlese non c’è prova. Non ne è convinto il Pubblico ministero che ha indagato: per lui le prove ci sono e per questo ha chiesto le condanne; che non ci siano prove sulle quali poter giudicare ne è convinto il tribunale che li ha assolti. E non perché gli elementi portati dal magistrato dell’accusa siano evanescenti. Anzi, sono concreti.
Concreti al punto di condannare a 6 mesi di reclusione (pena sospesa) i due elettori che accettarono di dare il loro voto in cambio della promessa di un lavoro. Allora perché i politici e l’imprenditore sono stati assolti e gli elettori sono stati condannati? Come è possibile che chi accetta la promessa sia colpevole e chi eventualmente l’ha fatta sia innocente?
Proviamo a spiegarla.
I fatti
La vicenda risale alle elezioni Comunali del 2018, vinte da Ferdinandi per pochi voti di scarto sull’allora primario del Pronto Soccorso di Cassino Ettore Urbano. Nei giorni successivi alla proclamazione degli eletti i carabinieri ricevono una segnalazione molto circostanziata con i nomi di quattro elettori che avevano votato Ferdinandi in cambio della promessa di un posto di lavoro.
Subito scattano le indagini e gli accertamenti danno vita a due filoni d’indagine, uno sui politici ed uno sugli elettori. Perché finiscono sotto indagine anche gli elettori e perché a parte? Diventano indagati in base ad un principio stabilito nel frattempo dalla Suprema Corte di Cassazione: “anche solo l’accettazione della promessa di un vantaggio in cambio dell’appoggio elettorale, pure in mancanza della concreta esecuzione dell’accordo, integra il reato“. E cioè: tu mi prometti un lavoro ed io in cambio commetto il reato di venderti il mio voto, se poi tu il lavoro non me lo dai resta il fatto che io ti ho votato ed il reato l’ho compiuto.
Il Giusto Processo
Nel 2022 il tribunale stabilisce che i due procedimenti, quello sui politici e quello nato dopo sugli elettori, andasse unificato. Perché il fatto per cui venivano giudicati era lo stesso. Non era logico che per uno stesso fatto si tenessero due processi.
Nel corso del dibattimento oggi i due elettori si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Il Codice lo consente: gli imputati non sono tenuti a parlare, se vogliono si difendono parlando e se vogliono si difendono tacendo. E così hanno deciso di fare. Come a dire: visto che mi processi, veditela tu.
È quello che ha fatto il Pubblico Ministero: ha chiesto l’acquisizione dello loro dichiarazioni rese durante le indagini. Ma sulla base delle ultime norme introdotte, quelle dichiarazioni non possono essere usate contro altri imputati perché non avrebbero la possibilità di controbattere. Spieghiamola con un esempio concreto. Ai tempi di Tangentopoli ci fu la fila di imprenditori che andò in Procura per confessare di avere pagato tangenti all’allora ministro della Sanità Francesco De Lorenzo; una volta davanti al processo si avvalsero della facoltà di non parlare. Così il povero De Lorenzo si trovò condannato ad una quindicina d’anni senza poter controbattere.
La prova che non c’è
Un’ingiustizia che è stata eliminata negli anni successivi. Introducendo un principio: se chi fa delle accuse poi si avvale della facoltà di non parlare al processo, le sue accuse non valgono per gli altri ma valgono solo quelle che ha fatto contro se stesso. Spieghiamola: immaginiamo che un signore convinca due persone ad accusarsi di una rapina ed a dire che con loro c’era un terzo complice in realtà innocente e poi in udienza non parlano; con il vecchio sistema (quello di De Lorenzo) l’innocente veniva condannato, con le nuove regole le accuse valgono solo per la parte fatta contro se stessi.
È quanto accaduto nell’udienza di oggi. Avvalendosi della facoltà di non parlare i due testimoni hanno fatto cadere ogni indizio a carico degli amministratori: perché tutta l’inchiesta e tutto il processo si basava sulla loro dichiarazione. Lo hanno fatto rilevare gli avvocati delle difese: Claudio Sgambato (per il sindaco Ferdinandi), Giancarlo Corsetti (per il vicesindaco) Mosè De Rubeis (per l’imprenditore) Alessia Gargano (per l’ex sindaco).
Ma sono rimaste le accuse fatte contro loro stessi: perché avevano ammesso di avere votato in cambio del lavoro, auto accusandosi. E nei loro confronti, quelle parole, potevano essere utilizzate nel processo. Se qualcuno gli abbia promesso un lavoro non si saprà mai: con certezza non c’è nessuna prova. Che loro abbiano commesso il reato di vendersi il voto lo hanno confessato con quelle dichiarazioni.