Bettino il cazolaio e la leggenda di Lilli Carati (di F. Dumano)

Foto: copyright Archivio Piero Albery, per gentile concessione

La storia di Bettino il calzolaio: devoto, riservato, si narra che avesse sistemato anche le calzature della bella Lilli Carati

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

Ci sono dei personaggi che restano nell’immaginario collettivo e non sai più distinguere le leggende dalla realtà… Certamente lui, Bettino Zuffranieri occupa un posto speciale.

 

La prima associazione mentale era la sua bottega di calzolaio alla via vecchia, la via dell’Aquila Romana. Da bambina quella via era popolata, era un quartier generale: eh già non eravamo ”autistici” chiusi in una stanza a giocare con amici immaginari, niente videogiochi.

 

Gli amici erano in carne ed ossa e capitava spesso di ”sbucciarsi”. La via vecchia era una trappola speciale e nel laboratorio di Bettino c’era l’occorrente del pronto soccorso: lo spirito e l’acqua ossigenata. Come tutte le botteghe dei calzolai era un mix di odori, compreso quello acre dell’ umidità, tipica in molti locali della via vecchia.

 

La bottega di Bettino era sempre aperta ed era un punto di incontro. Chi passava si fermava a chiacchierare e qui, ricordi in bianco e nero, le leggende si confondono con la realtà. Si narra che sarebbe stato anche il ‘ciabattino di Lilli Carati quando venne a girare il film “La professoressa di scienze”. (leggi qui Lilli Carati la Prof di Scienze… e Arpino si trasforma in un set).

 

La leggenda metropolitana narra che camminando per la via vecchia un tacco della bella attrice rimase ”stecchito al suolo”. Si narra che la ”scarpetta” della Carati fu venerata come quella di Cenerentola e più di qualche fanciulla avrebbe chiesto al Bettino di calzarla. Sono quelle storie, ricordi in bianco e nero, che si tramandano di generazione in generazione. Nessuno ha mai saputo se fosse vera o solo frutto della fantasia di paese.

 

Bettino non volle mai svelarlo. Viveva a Civita Falconara, un altro quartiere storico di Arpino. La chiesa era la sua seconda casa. Aveva un senso del rispetto e della riservatezza non comuni. Anche per questo mai un segreto dei tanti che apprendeva ogni giorno nella sua bottega, venne svelato.