Quel taglio di capelli che aiutò Lucia ad uscire dalla depressione

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

Lucia entrò nel mio studio un pomeriggio di qualche tempo fa. Pioveva, ma non era per questo che aveva l’aria disfatta. I capelli bagnati, il trucco leggero messo al mattino e mai ravvivato durante il giorno, i vestiti scelti senza troppa cura: tipico di chi non ha voglia d’avere cura di se.

«Come va?». La classica domanda per rompere il ghiaccio, accompagnata da un sorriso.

Lei cerca un posto dove fissare lo sguardo, scappa da un dettaglio all’altro dello studio, tra le tante cose mi dice «Sono qui perché ormai ho l’impressione che tutte le mie giornate siano uguali, sono tutte giornate qualunque , sono grigie senza né alti né bassi. Mi sento sempre stanca, troppo stanca per fare, pensare, agire, decidere…»

Non è stanchezza Lucia. Sono i segnali di una depressione che si sta facendo largo.

Non a caso l’hanno definita ‘il male del secolo’: la depressione non è solo un disturbo psicologico. Per chi ne è affetto rappresenta un vero e proprio modo di vivere. I primi che la studiarono la chiamarono ‘melanconia’, l’ultimo a definirla è stato Galimberti nel 2004: «alterazione del tono dell’umore verso forme di tristezza profonda, con riduzione dell’autostima e bisogno di autopunizione».

Lucia era già a buon punto nel percorso che porta alla depressione. «Ho smesso di prendere caffè eppure dormo poco, mi sveglio alle due della notte e non ho voglia di riaddormentarmi… Poi arrivano giorni nei quali dormo, dormo e basta: mi sveglio al mattino, non ho voglia di andare a lavorare, resto a dormire fino a mezzogiorno, mi risveglio, guardo una mezzora la televisione e subito mi torna il sonno. Non mi alzo prima delle cinque del pomeriggio…. Mangio qualcosa e poi mi riaddormento. A questo punto, la sera, dovrei essere con gli occhi sbarrati: invece dormo come se fossi stata sveglia tutto il giorno»…

All’umore depresso si possono associare problema di insonnia o ipersonnia, difficoltà di concentrazione, sentimenti di disperazione, scarso o molto appetito e scarsa energia.

Per gran parte delle persone, la depressione si configura come un modo di raffigurarsi la vita, un modo per interpretare e reagire alle esperienze. C’è la forte tendenza a leggere la realtà come negativa, povera, vuota, ricca di insuccessi, assolutamente non degna di essere affrontata. A scatenare tutto questo era stata una delusione: un banalissimo traguardo nella vita che Lucia considerava non raggiunto. E forse non era nemmeno vero che non l’avesse raggiunto.

Il depresso spesso viene guidato da distorsioni cognitive forti. E questo condiziona la sua vita, genera conseguenze sul piano personale, familiare, sociale e lavorativo. In poco tempo, Lucia ha mandato all’aria il rapporto che aveva da tre anni con il compagno, ha ridotto progressivamente le amicizie, esce sempre meno.

«Non ho voglia di pensare, di avere opinioni, francamente non m’interessa di nulla». E’ il peggiore sintomo: l’abulia di pensiero che conduce progressivamente ad un totale disinteresse per i propri progetti di vita.

Lucia iniziava a stare male. A mandarla da me era stato un medico di base: dopo averle prescritto tonnellate di analisi, tutte negative, aveva intuito che i suoi disturbi nascevano da un malessere interiore che fino a quel momento Lucia aveva tenuto nascosto a tutti. La ridondanza, sul piano fisico è notevole: numerose ricerche hanno accertato l’influenza che la depressione ha sul sistema immunitario, conducendo ad alterazioni tali da mettere a rischio la funzione degli ormoni regolatori della risposta immunitaria. Non è uno scherzo: lo capii all’inizio della carriera quando, con il mio prof, conducemmo una ricerca e fu chiara la relazione tra l’affrontare un lutto, soprattutto per i coniugi, e lo svilupparsi di una neoplasia.

Si instaura, quindi, un circolo vizioso, che intrappola il corpo e la mente.

Il condizionamento conduce alla paura di vivere ed amare, la paura di scegliere, di provare piacere e di cercarlo dove si nasconde.

Si crea così, un radicamento dei sentimenti vissuti come irrealizzabili, uno spazio privato, dove si vive ciò che non trova espressione nella realtà: nessun obiettivo, nessuna meta, nessun riconoscimento di ruoli,

Non fu facile, indicare a Lucia la strada che l’ha portata adesso ad avere una vita più serena. Iniziò a muovere i primi passi dopo due anni di sostegno psicologico, quando decise di andare dal parrucchiere: si fece un taglio di capelli che le piaceva. Si sentiva e si percepiva, per la prima volta dopo tanto tempo, in maniera ‘accettabile’. Guardandosi allo specchio, fu lei stessa ad individuare il percorso che le ha consentito di curarsi. E regalarsi, così una nuova giovinezza, un nuovo vigore, a tratti avevo anche l’impressione che avesse quasi un nuovo corpo capace di ricercare gioia e piacere nel proprio esistere.

Pioveva, il giorno in cui nel mio studio decidemmo che potevamo sospendere il sostegno. Ma Lucia non aveva più i capelli disfatti ed il trucco consumato.

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