Quello che ogni mamma deve sapere sulla Balena Blu (di M.R.Scappaticci)

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger


di MARIA RITA SCAPPATICCI

Psicologa e blogger

 

 

Gli animali e i bambini hanno sempre rappresentato un binomio perfetto. Una delle prime uscite da piccoli, con i propri genitori, era proprio la visita dello zoo o di un acquario, per conoscere tigri, leoni, elefanti, pesci strani.

Ai bambini piacciono gli animali, non li temono.

E probabilmente accetterebbero di vedere anche uno squalo da vicino, per poi accorgersi che può uccidere e fare davvero paura.

Non a caso il nome scelto per il bestiale gioco manipolatorio dedicato agli adolescenti è balena blu, un animale non feroce, pacato e libero.
Se perde la rotta però, va a morire da sola, spiaggiata da qualche parte.
E i ragazzi non sanno davvero cosa significa perdere quella rotta.
Addirittura perdono di vista che, partecipando a questo -definito- gioco, la conquista del podio equivale a perdere la propria vita.

Ma perché?

Tralasciando i sentimenti di rabbia profonda che tutti gli adulti maturi provano nel conoscere questa nuova terribile modalità per provare di essere forti, ci si chiede come sia possibile aderire ad un simile sterminio ed in maniera più che consapevole.

L’età a cui è rivolto il gioco va dai 9 ai 17 anni, il momento di crescita peggiore per fare raccomandazioni e ramanzine. E mettere in atto castighi e punizioni.

Ma allora questa nuova generazione ha perso il senno? Chi sono questi poveri sprovveduti che si affidano a qualcuno che li consegnerà nelle mani della morte?

Sono ragazzi qualunque, quelli che incontriamo ogni giorno davanti le scuole, figli di una generazione digitale, super comoda, dotata di ogni benessere, dai telefoni di ultima generazione agli abiti firmati.

Sono ragazzi vestiti come figurini, ma forse sono solo delle figure.
Non amano scambiarsi uno sguardo, forse non sanno come si fa, ipnotizzati dagli schermi che li circondano dal primo risveglio fino a notte inoltrata.

E sono cognitivamente intelligenti ma usano le loro doti per scovare qualcosa che gli dia adrenalina perché non hanno mai provato, forse, la vita vera quante emozioni può riservare.

Questi sono i figli di adulti stanchi, sempre di corsa e con lo sguardo sfuggente, impegnati a capire come guadagnare di più. E non sempre il problema economico ha a che fare col tirare avanti la famiglia.

A volte l’avarizia è solo dettata dal vizio, dal sentirsi presenti sulla terra solo se ci si può permettere una bella macchina o belle cose.

Oggetti, cose, prodotti, accumulare, senza mai guardarsi in faccia per dirsi che qualcosa non va. Senza mai chiedere, senza mai scovare un sentimento, un profondo stato d’animo che può aprire una conversazione.
Essere genitori è una lotta continua e non esiste essere perfetti e probabilmente nessuno sarà risparmiato dalla porta in faccia della camera dei figli per violazione della privacy.

Ma il punto è proprio questo. Gli adulti devono essere adulti. Non posso abbandonarsi al dolore dell’allontanamento del proprio figlio.

Non possono dare le spalle per primi aspettando che i piccoli li rincorrano e dicano loro che non possono vivere senza. Ma devono insegnare loro che la maturità non è fatta di oggetti. Ma di presenze, costanti e silenziose.

I ragazzi questo lo denunciano, implorano attenzioni anche se apparentemente ci respingono.

E invece vogliono solo essere inseguiti e dirottati verso il mare aperto, verso la vita.

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