Vuoi guarire? Butta tutto quello che dentro ti fa stare male

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

di MARIA RITA SCAPPATICCI
Psicologa e blogger

 

 

Prima di guarire qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare”.
Lo ha sostenuto Ippocrate, considerato il padre della Medicina e colui che ha rivoluzionato il concetto della clinica, secoli e secoli fa.

Ma cosa significa, in termini psicologici, quella frase, che viene considerata una verità assoluta nelle aule di formazione di tutti coloro che si occupano della salute mentale?

Per un paziente che chiede un aiuto è scontato: vuole ottenere un miglioramento della sua condizione. Vuole superare il disagio, dimenticare la sofferenza e ritrovare il benessere per se stesso. E lo vuole nel più breve tempo possibile perché il dolore è forte e la sua vita è influenzata dal quel tremendo peso.

Prendete una donna che ha subìto maltrattamenti dal compagno. O un figlio che si è visto abbandonato dai propri genitori. Gli esempi potrebbero essere milioni. Eppure tutti sottendono la stessa base: sentirsi svuotati nell’animo da qualcuno o da qualcosa.

E allora dovrà apparire facile, una volta trovata la causa del malessere, rinunciarvi e cambiare strada.

Eppure il vero problema della sofferenza ed il suo perdurare sta proprio qui: nell’impossibilità di rinunciare a ciò che ci crea dolore.

Potrà sembrare una vera assurdità ma lo scoglio più grosso per ritrovare la propria serenità e lasciar andare ciò che ci ha fatto male.

I motivi sono altrettanto validi. In primis se qualcosa ci ha colpito nel profondo sicuramente vi avevamo investito parte di noi se non tutto ciò che possediamo. Quando un rapporto parte da dentro, quando investiamo tutte le nostre risorse per riuscire costruiamo dei legami forti, ci affidiamo e togliamo barriere difensive diventando, quindi, più attaccabili e vulnerabili.
Rinunciare ad una simile interazione significa lasciare andare una parte importante di noi che chiaramente non siamo disposti a cedere.

E la vera lotta è proprio cercare un’integrità nuova di noi stessi che è venuta meno. Un’ulteriore difficoltà risiede in una ulteriore irragionevolezza che lascia ogni paziente sbalordito quando si affronta il problema. Nonostante la grossa sofferenza, si nasconde sicuramente una motivazione che mantiene in vita lo stato di malessere.

La scoperta sensazionale è che tale motivazione è voluta da colui che soffre e non intende rinunciarvi.

Lo stato di malessere è mantenuto da un vantaggio di cui continuiamo a beneficiare. Inconsapevolmente. E che ci impedisce di modificare lo schema mentale nonostante sia sbagliato e non funzioni come vorremmo.

Ciò che ci ha fatto ammalare, per qualche motivo alimenta in positivo le nostre emozioni, rendendo difficile l’abbandono per ottenere un cambiamento.

Rispondere ad Ippocrate e chiedendosi se vogliamo rinunciare a cosa mantiene in vita il dolore, equivale a rendere consapevoli noi stessi di ‘rituali maldestri‘ che opera la mente. Ma scoprirne l’esistenza ci apre la via per il cambiamento.

E gli antichi difficilmente sbagliano strada.

 

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