La scelta di Noa e la strada per Utica (Il caffè di Monia)

È stata la settimana di Noa e della sua scelta. Dell'epilogo di una lenta discesa nell'abisso. Che ha diviso tra chi difende la vita e chi reclama il diritto di decidere quando dire basta. Ma c'è anche un altro punto di vista...

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Era una giornata di tuoni, nuvole e vento e sottilissime lame di pioggia. Era la giornata giusta per arrivare a Utica. Per primo fu Catone. Non è difficile arrivare su Utica. Ascendere nello spazio profondo come pennellate scure su fondo nero. Su Utica si arriva per una deviazione maligna del destino che aggancia la spina dorsale e ti spinge lentamente ed inesorabilmente verso una cantina chiusa.

Poi, con un viaggio lento, lungo, ma quasi impercettibile, si scopre di essere giunti su un altro pianeta e che la terra e la sua gente sono solo un puntino lontano, indistinguibile dal bene e dal male.

Utica è un luogo ostile. Il tuo peso aumenta e il vento, implacabile, ti strappa gli abiti dal corpo. Una volta e una volta ancora. Così che ti trovi sola in un altrove che nessuno ha mai descritto e che, tu stessa, non sapresti raccontare. E ci pensi, che non hai mai visto l’aurora boreale.

Su Utica si arriva, ma da Utica non si parte. Su Utica c’è una nebbia che ha il potere di farti perdere la strada. Così, immersa in quella bruma per una strana distorsione, le usuali coordinate perdono di significato e passato, presente e futuro si appiattiscono insieme e tutto sembra destinato a compiersi secondo un disegno che puoi solo assecondare.

Quando si arriva su Utica si diventa di un’altra specie che nulla ha più a che fare con quella nella quale si è stati concepiti. Perciò si cammina tra la gente senza capire quello che dice, senza comprendere perché ridano o per quale motivo certe cose gli appaiano importanti, benigne o malvagie. Su Utica le colpe spariscono in tristezza come sassi a balzi lungo un dirupo. Si arriva su Utica, ed è un viaggio che si compie internamente, così che il corpo e lo spirito si separano a milioni di chilometri di distanza. E non essere più corpo e spirito è forma sottile di oscura, buia, assassina solitudine.

E’ questo il punto in cui l’orologio fermo segna l’ora esatta e la vocazione torva delle strade è disarmonia che rassicura. Su Utica c’è un lampo che inclina un raggio di luce in cui le cose perdute un poco smettono di morire. E di nuovo giù ad aiutare l’anima schiacciata a riaversi dal peso. Il rumore su Utica esalta e scioglie il chiasso di un crollo, nasconde la mano sporca, la propria piccolezza incurabile e sacra. E questa non è un peccato, non è redenzione. E’ solo un’oscura condanna. E’ solo un’oscura condanna. Come quella che ha chiesto Noa.