Questo non è più il mio mare (Il caffè di Monia)

Il mare chiassoso e caciarone di tanti anni fa è stato sostituito dal circuito bar, slot, pizza, bar, friggitoria... Un infinito loop dove il mare ha smesso di essere il posto dove svagarsi, dove dimenticare le proprie tensioni. Un mare che non è più lo stesso

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Controllo i messaggi: nessuna risposta. Le notifiche da Facebook, poche ed irrilevanti. Caldo appiccicato come bava di lumache. Il sole è infisso nel cielo indaco come un boia indifferente. Verifico le mail: dalle poche ricevute di proposte vacanze in mari da favola capisco che il segreto bancario ancora esiste.

Il minuscolo insetto a spasso tra i peli del mio braccio va lento e stanco come chi scavalca tronchi. Non ho molte cose da fare, e quelle che avvio risultano inutili e assonnate. Ho deciso, lo faccio, vado al mare. Prendo la macchina ormai più stanca delle mie abitudini e dei miei ripensamenti.

Ci siamo, zona mare. Mi guardo intorno. Bar, centro scommesse, bar, friggitoria, centro scommesse, bar, paninoteca, bar, slot machines, centro scommesse, bar, bar, bar, centro scommesse, bar, centro scommesse, rosticceria, bar, bar, slot machines, pizzeria, bar, pizzeria, centro scommesse, bar, slot machines, gelateria, bar, bar, friggitoria,bar, bar, bar, centro scommesse. L’economia dei posti di mare ruota intorno al conforto a basso costo, quello che si sviluppa intorno allo spaccio di carboidrati e l’industrializzazione dell’affidamento alla speranza attraverso le “bollette” giocate nei centri scommesse, annunciati da grandi bandiere festose ai lati dell’ingresso.

Completano il quadro decine di attendamenti di locali dell’ultima ora che dispongono i loro capannoni di plastica sui marciapiedi a pochi metri dal traffico infernale.

Tutto sembra provvisorio, appiccicato con lo scotch, iniziato e non finito. Non era quello il mare che ricordavo. A proposito, dov’è il mare? Forse ancora lì, dove lo avevo lasciato da bambina, dietro a cementificazioni e finto fogliame sparso dai proprietari dei lidi che lo nascondono come si nasconde una vergogna. Parcheggio, osservo, scendo. cammino. 

Atto I: Il papà, sui 45 anni, capelli radi e lunghi tirati all’indietro tenuti insieme dal gel, occhiali da sole specchiati poggiati sulla cocuzza unta, pelle lampadata di bronzo, catena d’oro al collo che giganteggia sotto la camicia fantasia aperta fino al quarto bottone sul petto completamente glabro, raschia attentamente un gratta e vinci dorato con disegni di fiori e di stelle illustrando le varie possibilità di vincita casella dopo casella.

Il figlio, sui dieci anni, cresta di capelli da galletto caduto nel gel, pantaloni a vita bassissima con clamorosa molla mutande marchiata, segue concentrato, senza perdere una mossa. La madre, capelli raccolti a coda di cavallo, pantacollant strettissimi con camel toe adiposo, riprende sorridente con lo smartphone questo intimo interludio tra padre e figlio. 

Atto II: Proseguo e scendo. La carovana di spiaggianti e ombrelloni sistemati da un lato come guardie svizzere e capisci subito che qui le regole contro natura del vivere comune vengono abolite dagli ancestrali diktat del branco.

Un Gomorra boy entra in spiaggia con un costumino bianco e camicia di lino stropicciata da mercato rionale; due fidanzati, che come scimmie Bonobo passano il tempo a ispezionarsi le pelurie; tre signore over 50, con leggins e canotte nere sintetiche, capelli ossigenati e grossi orecchini di plastica, passano sotto gli ombrelloni a chiedere offerte per bambini disabili; una nubile solitaria: 40 anni circa, bikini tigrato, capelli blu, trucco marcato e rossetto spalmato oltre il contorno labbra, scarpino con strass e ipotono da dimagrimento; un aeroplano con striscione “40 anni Caterina: Auguri!!!” vola per quaranta volte sul litorale.

Atto III, casalinghe rapite da lettura di bassa cilindrata, depilazioni integrali, discussioni estenuanti su smalti da unghie. Di fronte una famigliola consuma silenziosamente con fame da dopoguerra il suo picnic. Grandi protagoniste: la frittata di maccheroni, pizza fritta, uova sode e ricotta salata. I due fratellini più piccoli, poco più di dieci anni, ampiamente in sovrappeso, abbandonano il banchetto e iniziano a darsi da fare con un Super Santos.

Grida, parolacce e sabbia che vola dappertutto. Vedo il padre dirigersi deciso verso i rampolli con espressione determinata. Col braccio alzato l’uomo chiama la palla e quando la riceve con un cross morbido pennellato si esibisce in una mezza rovesciata che si conclude con una grande culata sulla sabbia e sottili nuvole di polvere grigiastra a granelli che si librano leggere sotto la lama a calor bianco del sole.Suonerie rap, urla e schiamazzi.

Atto IV: A fine giornata sulla spiaggia scorrono i titoli di coda portati a riva dalle onde: un sacchetto nero, un Tampax, una scorza di anguria, una medusa morta. Sulla strada del ritorno sorrisi più forti del caldo; sudore e aria condizionata fanno a schiaffi come nei vecchi film americani, la musica a connotazioni più scadenti della carne in scatola scaraventata da automobili e locali.

No, la classe non è acqua. Non di mare. Torno a casa. Mia madre mi chiede se lo straccio che ho lasciato sul balcone è ancora lì o se l’è portato il vento. Insieme ai miei sogni da mare.

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