Mondi piccoli e mondi grandi (Il caffè di Monia)

Un caffè tra mondi piccoli e grandi. Che a volte si confondono. Ed altre si sovrappongono. Come in questa mattina.

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Mondi piccoli. Vi racconto il mondo piccolo di mio padre: il suo bar all’angolo, i suoi amici che si alzano presto per andare a pulire i giardinetti, il panificio dove compra il pane ogni mattina, la sua vecchia Rover grigio metallizzata, la sua casa che da sulla strada che porta in centro, lui e mia madre che ogni sera, cascasse il mondo, vedono “Caduta Libera”. Lui, che è stato l’albero all’ombra del quale sono cresciuta, ora è come se avesse piantato le radici in un vaso di terracotta, avvizzendo ogni giorno di più. Di pomeriggio, dopo mangiato, si siede sul divano e si addormenta senza stendersi, quasi che questo preservi le sue prerogative di vigilanza. Il pomeriggio caldo dell’estate inonda il suo soggiorno con la violenta irruenza di una fornace spalancata.

Mondi piccoli. Ho guardato nella borsetta di mia madre e ci ho trovato un borsellino di stoffa a fiori, un pacco di fazzolettini di carta, uno specchietto con la cornice di plastica scura, una salviettina profumata in una bustina gialla con su scritto “Benessere e Freschezza”, un caricabatterie legato con un elastico di caucciù, la ricetta di una ciambella scritta con una grafia sottile e chiarissima che iniziava con “3 uova” e terminava con “in forno per 30 minuti a 180 gradi non ventilato”, delle monetine finite nelle pieghe della federa, una foderina di plastica consumata con dentro la fototessera di suo padre, quando era giovane, coi baffi scuri, gli occhi vivi e il cappello da bersagliere piegato di lato sulla testa. 

Mondo grande. La principessa timida dell’estate breve ha piccoli mobiletti bianchi con graziose tazzine di porcellana. Le vetrine si illuminano di minuscole stelle con il tocco leggero della punta di un dito. A lei obbedisce quella brezza rara che si solleva nella cesura sottile che separa il giorno dalla notte. A volte la vedo camminare, con gli occhi luminosi di sorpresa, lungo le strade che avrei voluto percorrere, ma non ho mai avuto il coraggio di prendere.

E così la guardo da lontano, mentre si allontana con la sua scia di lucciole, portando con sé le speranze, le labbra e quella ferita che con tanta prudenza sono riuscita a schivarle. Mentre si allontanava è caduta e ha battuto i denti ancora una volta. Quando la vedo piangere e soffrire mi sento persa. Le ho comprato delle pentoline rosse di metallo, coi loro bravi cucchiai lucenti. La sera lei riesce di nuovo a parlare e mi cucina un ovetto nelle sue pentoline.

E a me piace molto. Tutte e sei le volte.

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