Stanotte ho sognato Alda (Il caffè di Monia)

Un caffè per risvegliarsi dopo un sogno che porta nel mondo di parole e poesia. E riscoprire sul comodino da dove nascono quelle immagini

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Stanotte ho sognato Alda Merini. Non era uno di quei sogni che poi ti svegli e ricordi tutto. Cioè non era proprio lei, ma assomigliava ad Alda.

Era estate ma una giornata di quelle piogge d’inverno che danno l’impressione di non finire mai. Di fronte avevo il mare stanco, riottoso, stracarico, colpevole, drogato di sogni, ma anche struggente come una lacrima.

Lei era lì. Nel sogno Alda lì ci abitava. Una casa sul mare senza porte e cancelli. I corridoi avevano il sapore acre che portano le finestre quasi sempre chiuse, come se aprirle comportasse il rischio di veder volare via qualcosa di importante. A pensarci bene non era proprio una casa, ma più una dichiarazione d’indipendenza.

Lei era lì, con la sua collana più lunga della sua sottana. Fumava, fumava continuamente e la cenere finiva sulla veste e la bucava come un chiodo arrugginito. Quando smetteva di fumare strusciava il rossetto sulle labbra. Fuori contorno in un gesto compulsivo come i petali di fiori di ciliegio quando somigliano a leggere nevicate.

Ha il dolore di stomaco. Non me le lo ha detto, ma io lo so. Si accorge di me ma non se ne cura. Continua a fumare e a passare dalla risata feroce al pianto. Sono spaventata. Ho paura di quella donna qualunque che ha una bocca senza denti e che sogna a occhi chiusi e a occhi aperti.

Riesco a guardare a malapena dentro quella casa. Lei entra in bagno, copre lo specchio, si lava. Sorseggia qualcosa. Mentre cammina lascia un solco che subito scompare. Torna fuori, guarda il mare. Parla con il mare, ma io so che sta parlando anche con me: “Un tempo sono stata Dio. Salivo al cielo cavalcando il tuono. Sopra di me avevo due ali grandissime ed ero la Signora del silenzio. Ho visto sorgere il sole prima di chiunque altro e ho volato insieme ad un uccello affusolato. Poi quel tempo è finito ed ora sono nuovamente di carne. Almeno credo. Sì, credo di sì. C’è stato un tempo, poi, che sono andata oltre la tenebra. Mi sono uccisa lentamente per lunghissimi anni. Alla fine, ancora una volta, sono sopravvissuta. Sì, sono sopravvissuta perché sono qui a raccontarlo. Almeno credo. Sì, credo di sì. Ho amato un uomo bellissimo. Il suo corpo era un tratto tenue di armonia e dolcezza”.

Non ho più paura. La pelle s’increspa come carta vetrata. È l’ultima luce del pomeriggio. Qui il tramonto non esiste. Silenzio. Lei ricade sulla sabbia. Era giorno, ma c’era la luna. In quella stellata mattina d’estate, in quel cielo terso scuro di un blu assoluto, in quel momento che sapeva di vento e panna, ho visto Alda volare.

Tutto questo non è successo. Se fosse successo lo ricorderei. Se non è successo devo averlo sognato. Non so come possa essere successo. La notte, da tempo, non sogno. Questa mattina il rombo di una macchina che attraversava la strada mi ha svegliata. ero sudata, sentivo brividi salmastri attraversarmi il corpo. Sul comodino ho trovato un libro, qualcuno deve avercelo messo. “Fiore di Poesie” di Alda Merini. Istintivamente lo apro, metto a fuoco ma le pagine sono vuote. Credo di stare ancora sognando. Sfoglio ancora, poche righe spezzano tutto quel bianco: “ Rinnovate ho per voi le antiche date, sino a quando l’Ellade gioiosa si compiaceva d’ogni assurdo. Giorni e anni di disperazioni e lacrime, sdrucciole, corpi, cancelli e fremiti. Che poetessa son io ma non ricordo dove e quando finì dentro il mio cuore tanto gelo. E’ ancor più sola la mia anima ed è rotta, non pensavo di finir sotto i vostri selfie da mignotta”.

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