Vita da… cani (il Caffé di Monia)

Ci vuole fortuna anche a nascere cane. Ma loro ci amerebbero lo stesso. Pure se continuassimo a trattarli da animali. Senza umanizzarli fino all'esasperazione

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Questa vita è uno stress. La mia storia inizia qualche anno fa, non so esattamente quanti. Io non so contare. Me ne stavo tranquillo, acciambellato sullo scalino del bar della piazza. Lì avevo sempre la colazione assicurata. Ricordo che ogni mattina allo stesso orario passava sempre quella cagnetta niente male. E ci guardavamo. Che emozione!

Un giorno, uno di quei giorni un po’ freddini, vedo avvicinarsi una signora. Io sono un tipo educato, mi alzo e le vado incontro. Scodinzolo, mi metto a pancia all’aria, le lavo una caviglia. Insomma tutte cose che fanno i cani come me. Questa signora, che solo ora so che si chiama “Mamma” o “Mammatua”, ogni tanto si cambia nome da sola, questa signora dicevo, non so cosa deve aver capito. Forse ha avuto paura. Insomma ha messo le mani alla bocca ed ha cominciato a dire cose strane con una vocetta stridula, tipo “Oddio, ma quanto sei bello? Hai fame? Chi ti abbandonato? Da dove vieni?”.

Io non lo so signora, me lo dica lei. Guardi signora che io sto bene, non ho fame, non ho freddo, non ho sonno, nessuno mi ha abbandonato. Io qui ci sono nato. Penso che abbia qualche problema e per togliermi dai guai, mi alzo con disinvoltura e mi riparo sotto una di quelle cose grandi e rumorose che passano sempre veloci. Ma quando stanno ferme sono una delizia, a volte anche tiepide.

Lei, la signora un po’ matta però simpatica, non deve averla presa bene e fece di tutto per tirarmi fuori da lì. Continuava a dire cose, a fare versi. Mah!

Alla fine mi arresi. E da quel momento è iniziato il mio calvario. Mi prese in braccio, beh, lì ci stavo bene e mi portò nella sua casa. Vedevo che mi indicava tutta una serie di ciotole e piattini, di posti morbidi e di posti vietati. Assaggiai qualcosa, niente male.

La signora aveva cose buone, va bene resto. Ma solo per prova.

Mi ricordo che quel giorno dormii tanto, giocai tanto con delle cose strane che suonavano appena le mordevo, un po’ fastidiose, ma divertenti. Ah, dimenticavo, mi chiamo Lucky credo. O forse Reginadellacasa. O Figliomiobello. A me però Lucky piace di più.

Mi ricordo, che come ogni giorno cercai un angolo e feci pipì. La signora si mise ad urlare come un’ossessa. Ma che è? In questa casa non si può fare pipì? Mi prese di peso e mi fece entrare in una strana cosa celeste, piena di sabbiolina bianca. Cosa ci faccio qui? Si spieghi meglio signora Mamma. Alla fine capii: la pipì dovevo farla lì dentro, in quella cosa strana celeste. E va bene, se per fare pipì lì dentro mi riempie la ciotola di cose buone, è uno sforzo potrei anche fare.

Una mattina la sento parlare al telefono, mi guardava. Lo capii che parlava di me. “Amore di mamma, adesso arriva lo zio e ti fa la punturina, così non prenderai le malattie brutte brutte”. Lo zio? La punturina? Io non lo voglio lo zio, e nemmeno la punturina. Non so cosa siano ma non li voglio. Non vi racconto la paura, ma a pensarci ora era il meglio che potesse capitarmi.

Passarono i giorni, i mesi. In fondo la signora Mamma o Mammatua, non era poi così male. Carezze, cose buone, passeggiate. Parlava troppo e troppo strano, ma bastava non ascoltarla.

Ieri mi ha portato con sè a fare la spesa. Doveva comprare la “ciccia” per me, ha detto. Mi prende in braccio e mi porta dentro un posto strano. Si sentivano odori allettanti. Io facevo per scendere, ma lei no “Lo sai, che non puoi toccare niente”. No, non lo so. E che mi ci hai portato a fare allora se non posso toccare niente. Fai come gli altri “mammitui” che quelli come me li lasciano fuori, beati loro! 

Oggi invece è stata giornata piena. La signora Mamma ha deciso che dovevamo andare a farci belli. Mi infila addosso una strana cosa di un colore sbiadito. Mi solleticava la coda, lei ha detto che era come il tutù di Carla Fracci. Ma valli a capire questi umani! Ho sopportato perchè le voglio bene. Entriamo in una strana casa. Arrivano due tipe, mi strappano dalle braccia di Mammatua e mi chiudono dentro una stanza. Ho pianto.

Mi ritrovo immerso in una vasca, piena di una strana cosa bianca. Quattro mani che mi scuoiavano con finta delicatezza. Ad un certo punto sento che dicono qualcosa sul mio pelo. E no, il pelo no. Mi tirano fuori e iniziano a tagliare, tagliare. Voglio morire. Dentro di me pensavo a quei cani abbandonati in autostrada, a quelli che li legano ai guard rail: potrei fare lo stesso e autoabbandonarmi appena uscirò da questo strazio. Ma non era ancora finita. Mi prendono le zampe e iniziano a colorarmi le unghie. “Vedi come scodinzola? E’ contento!” No, non sono contento, ma la coda è l’unica cosa che posso muovere in questo momento.

Mi riconsegnano alla mia padroncina. “Ma come sei bello a Mammatua, adesso andiamo al parco a farci vedere da tutti”. Mi alzo sulle due zampe posteriori, in modalità preghiera. “Vedete com’è intelligente, capisce tutto”. Io non capisco tutto, ma sicuramente qualcosa più di te, signora Mamma, la comprendo. Io non voglio andarci al parco conciato così. Mi sento ridicolo, compresso, non so più chi sono. Se vogliamo dirla tutta, cara signora Mammatua, io non dormo sul letto perchè somiglio ad un bambino. Ci dormo perchè sto comodo. Non faccio il “sorrisetto” come i neonati. È la mia bocca che è fatta così. Non mangio solo cose per cani vegani perchè sono una Regina. Mangio solo cose vegane che costano un tuo stipendio, perchè mi dai solo quelle. Se potessi, me ne tornerei a scavare buche, a nascondere ossi, a pisciare sotto gli alberi…Ok non dico così perchè sennò divento volgare e tu ti arrabbi. E me ne tornerei ad aspettare la mia bella che ormai si sarà scordata di me.

Non te l’ho chiesto io di comprarmi solo la carne selezionata direttamente da Carlo Cracco mentre tu mangi il minestrone a 24 centesimi con dentro l’amianto. Non te le ho chieste io le salviettine alla camomilla bio per non farmi venire il prurito quando mi pulisci, mentre tu fai la doccia interamente col detergente intimo perché per comprarmele hai ipotecato la macchina. Io sono un cane, uno che abbaia all’ombra della sua stessa coda. Uno che ti avrebbe amata anche se non lo avessi portato alla SPA, ma al parco dei drogati sotto casa. Uno che ti avrebbe amata anche senza il tutù di Carla Fracci, anzi forse di più.

E poi, dai, sono pur sempre un maschietto. Se resto con te, a subire queste torture, signora Mammatua, è perchè ti voglio bene. Perchè nel profondo del mio cuore sei come la visione di un palo immacolato non ancora “personalizzato” o, quantomeno, un pezzettino di salsiccia che ti cade a terra mentre la tagli per un risotto.

È alla sera che mi rendo conto di quanto ti voglia bene. Quando stanco e snaturato ti vengo accanto e ci guardiamo negli occhi, ciascuno dai confini del proprio mondo. Poi alle sei ti svegli, corri spedita da me e vieni a svegliarmi già con riti di toletta e richiami festanti.

E tutto meravigliosamente ha di nuovo inizio.

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