Le parole della Lettera agli Ebrei rivolte da Papa Francesco ai detenuti di Rebibbia rappresentano la prospettiva del Giubileo che si è aperto in questi giorni. Proprio nei momenti difficili la fede ci può consentire di non essere travolti dalle circostanze, dalle guerre, dalle stragi, dagli imbrogli, ma può permettere di recuperare la terraferma da cui i morsi della storia ci hanno strappato
“la speranza ci è posta davanti. In essa abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda“. (Eb 6, 18-19)
Il testo è quello utilizzato da papa Francesco nelle parole che ha rivolto ai detenuti e al personale del carcere romano di Rebibbia, il 26 dicembre, memoria di S. Stefano, dove ha aperto la Porta Santa. Si tratta delle parole che l’autore della Lettera agli Ebrei, per tanto tempo ritenuto S. Paolo ma oggi non più, rivolge ad una comunità di seguaci di Gesù, sconvolta da tanti avvenimenti negativi in quella seconda parte del I secolo.
Tutta la prospettiva giubilare è legata al tema della speranza, Pellegrini di Speranza appunto, recita la bolla di indizione.
Quella speranza che divide
La speranza è uno dei temi più divisivi di tutta la cultura occidentale: la sapienza greca la considera come l’ultimo dei mali, quello più sottile, più pericoloso, perché illude. Quando Pandora, secondo una delle versioni del mito, apre il vaso con i mali del mondo, proprio in fondo c’è la speranza, a concludere drammaticamente l’esperienza devastante del male.. Più volte, nel corso dei secoli, diversi intellettuali hanno disprezzato la prospettiva della speranza: basterebbe soltanto il giudizio che emerge dal carme i Sepolcri di Ugo Foscolo, anche la Speme ultima Dea.
La speranza invece è elemento fondamentale della cultura biblica: tutto è proiettato nella dimensione del futuro, dell’attesa di un cambiamento, che non va atteso nella tranquillità della propria situazione ma va preparato con la costruzione di un mondo più giusto. I simboli del Giubileo corrispondono esattamente alla dimensione della speranza. Innanzitutto la porta: è elemento caratterizzante dell’architettura cristiana. Quando siamo di fronte ad una porta dobbiamo prendere una decisione: lasciarla chiusa oppure aprirla e varcarla.
Il dilemma: cercare Dio o ritenerlo un avversario
E’ la decisione fondamentale della vita: fidarsi di Dio o considerarlo un avversario, andare a cercarlo oppure far finta che non esista? I grandi portali delle cattedrali gotiche rappresentano plasticamente questa decisione: chi vi si avvicina, vede il Cristo seduto in trono, come un re, attorniato dai quattro esseri viventi che rappresentano i vangeli, il modo attraverso il quale noi possiamo conoscere il Cristo.
Siamo noi a dover decidere se varcare o no la porta, se accettare o no la salvezza che ci viene offerta, nonostante tutte le cose tremende che possono accadere attorno a noi. Questo è un periodo storico in cui la speranza, in un miglioramento delle condizioni di vita dei popoli del pianeta, sembra essere fuori luogo. Guerre, cambiamento climatico, violenza tra persone e gruppi, rinascita di atteggiamenti razzisti e antisemiti. Come potremo salvarci?
Invece proprio nei momenti più difficili la speranza è indispensabile: è l’ancora, che ci può consentire di non essere travolti dalle circostanze, dalle guerre, dalle stragi, dagli imbrogli, che ci può permettere di recuperare la terraferma da cui i morsi della storia ci hanno strappato.
Il viaggio della coscienza
Il segno giubilare del pellegrinaggio rappresenta proprio la decisione di muoversi, di non stare fermi, di raggiungere un obiettivo, anche faticoso, anche impiegando tempo, di raggiungere quella porta e finalmente varcarla grazie alla fede e alla speranza, che sono le virtù che consentono all’uomo di dialogare con Dio. Un cammino dunque e una porta che possono anche essere un itinerario intimo verso Dio.
San Bonaventura, uno dei successori di S. Francesco, lo definiva Itinerarium mentis in Deum, il viaggio della coscienza verso Dio, mentre la posta, come ha detto il papa, è quella del nostro cuore: possiamo tenerlo chiuso alle esigenze delle persone che stanno attorno a noi, oppure aprirlo e non temere di allargarlo quanto più possibile.