Giobbe, Halloween e la speranza di vedere Dio: dai santi alla sfida del male

Giobbe è il simbolo della speranza che resiste al dolore, della fede che non crolla davanti al male. La sua parabola, letta oggi, parla a un mondo che festeggia Halloween dimenticando la luce dei santi. Perché la vera rinascita parte dal desiderio profondo di vedere Dio, anche nel buio della sofferenza.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio.

Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro

Gb 19, 26-27

Vedere Dio, il più alto desiderio di Giobbe, piagato fin nel suo intimo dalle malattie, dalle disgrazie, dai lutti. Giobbe è il protagonista di un grande midrash, una parabola, come chiameranno in greco questo genere letterario. Si tratta di un racconto che ha lo scopo di insegnare agli ascoltatori, una tecnica narrativa insomma: Giobbe è oggetto di una scommessa tra il demonio e Dio.

La speranza di vedere il volto di Dio

Il demonio sostiene che la devozione di Giobbe scomparirà non appena incontrerà le avversità della vita. Dio punta invece sulla fedeltà di Giobbe al suo Dio, nonostante tutto quello che potrà succedergli. E a Giobbe accade di tutto, scompaiono le sue ricchezze, gli muoiono moglie e figli, è piagato dalla lebbra in tutto il suo corpo. La lebbra era la malattia che mostrava l’abbandono di Dio, perché stravolgeva la somiglianza dell’uomo al Creatore, come riteneva la cultura popolare in cui si sviluppa il racconto.

Giobbe – Olio su tela – Leon Bonnat – 1880 – Musée d’Orsay

Gli amici di Giobbe vanno a parlare con lui e così il racconto delinea le varie posizioni delle culture umane sulla presenza del male nella vita e sul suo rapporto con Dio. Ma Giobbe, pur nella disperazione delle sue innumerevoli disgrazie, espressione sensibile della presenza del male nella vita degli uomini, resta fedele a Dio, anche se, ripetutamente, protesta contro la sua sorte.

Egli rimane saldo nella speranza che vedrà il volto di Dio, lo conoscerà finalmente e finalmente capirà il perché delle cose che gli capitano. Vedrà lui stesso il volto di Dio, non ci sarà bisogno che qualcuno glielo racconti… Parlerà  con Dio, come il padre Abramo gli ha parlato.

Halloween ed il modello della vita dei santi

Scrivo queste righe nelle ore in cui tante persone, soprattutto i bambini, si preparano a quell’evento della società dei consumi chiamato Halloween. Riflettevo che questa festa, che ormai pervade anche le nostre scuole, alcune delle quali celebrano la giornata per poi, magari, negare la possibilità di allestire un presepe, è stata effettivamente, nella sua origine, un tentativo della chiesa di integrare all’interno dei riti cristiani la festa pagana della fine dell’estate, dell’inizio del periodo buio, quando è troppo pericoloso addentrarsi nelle foreste, totalmente avvolte nell’oscurità e abitate da chissà quali mostri pericolosi.

Una maschera di Halloween (Foto © DepositPhotos.com)

Si proponeva così il modello della vita dei santi, all Saints, tutti i santi, con una vigilia (Eve), una veglia per contrastare le forze del male, che le culture celtiche attribuivano alla presenza dei morti. Ai mostri che spuntavano minacciosi dal buio delle foreste,  si contrapponeva la sfolgorante esperienza dei santi.

Nelle culture mediterranee, invece, che non subiscono il terrore del buio, i morti non sono nemici da tenere lontani, illuminando zucche, ma continuano a vivere nell’al di là, in quello che la chiesa cristiana chiama la comunione dei santi. In alcune regioni, addirittura, i morti portano regali ai bambini.

I morti presenze affettuose a cui chiedere aiuto

La differenza è sostanziale. Nelle culture celtiche bisogna sbarrare la strada ai morti che terrorizzano le lunghe notti del nord. Nelle solari culture del Mediterraneo, i morti continuano a vivere con noi, sono presenze affettuose di cui invocare l’aiuto, con cui confidarsi. Sono i santi.

Tutti i Santi

Giobbe è il modello della vita dei santi. Protesta contro Dio per quello che gli accade, non ne riesce a comprendere il senso, non capisce in che cosa ha sbagliato ma conserva quelle virtù che gli consentono di vedere il volto di Dio, nonostante tutto. Sono quelle virtù  che la tradizione catechetica definisce “teologali”: la fede, la speranza, la carità. 

La fede in Dio consente di avere la salda speranza che il male che ci circonda non prevarrà nella nostra vita e potremo dominarlo, in quella prospettiva di amore, la charitas latina, in cui tutti gli uomini amati da Dio trovano senso per la loro esistenza dando la vita per gli altri.